Dibattito/Tecnici e professionali dimenticati


Professionali e Tecnici, dopo grandi annunci la Buona scuola li ha dimenticati

ItaliaOggi -  23 settembre 2014

Roberto Pellegatta, dirigente DiSAL

Durante la conferenza stampa al Meeting di Rimini, il ministro Giannini esplicitamente interpellato sull’intenzione di attuare la varifica della riforma Gelmini, espresse un chiaro diniego: “di ordinamenti non ci vogliamo occupare !”. La stessa risposta negativa fu data alla richiesta se si sarebbe valutata la riduzione di un anno da più parti proposta per il secondo ciclo.

Eppure il documento sulla “Buona scuola” vorrebbe “mettere definitivamente a sistema la formazione professionale nel sistema di istruzione”, affrontando il nodo che, da Profumo in poi, neppure il riordino Gelmini aveva risolto: avviare un moderno ordinamento per tutto il canale dei percorsi di studio in preparazione al mondo del lavoro, risolvendo il mancato e organico  coordinamento tra l’istruzione tecnica, l’istruzione professionale, la formazione professionale regionale ed il mondo del lavoro.

Dunque, quanto previsto dal c. 3 dell’art. 7 dei DPR 87 e 88 del 2010, non si farà. Con l'anno scolastico 14/15 il riordino della scuola secondaria di II grado entrerà a regime su tutte le classi. Anche il D.L. 104/2013 convertito nella L. 128/2013 aveva fissato per febbraio 2014 l’inizio del monitoraggio e della valutazione dei sistemi di istruzione professionale, tecnica e liceale finalizzati anche alla ridefinizione degli indirizzi, dei profili e dei quadri orari previsti dai relativi percorsi di studio. Monitoraggio e valutazione avrebbero dovuto concludersi entro 12 mesi (febbraio 2015).

Quindi il Parlamento (oltre a Invalsi, Indire e Isfol) non verranno chiamati a valutare, dopo ben più dei tre anni previsti, gli esiti dei nuovi Istituti Professionali e Tecnici nati nel 2010.

Nel frattempo continuiamo a registrare segnali di perdita di competitività del sistema economico e di crisi del sistema di istruzione nazionale.  I confronti di Education at Glance ci ricordano che le risorse globali per la scuola italiana sono simili a quelle degli altri paesi europei (3,5% del PIL), o addirittura più alte (spesa per studente), mostrando che alcuni paesi sembrano raggiungere risultati migliori spendendo molto meno degli altri. “Il vero problema del nostro paese – ha sostenuto giustamente Attilio Oliva -  è che spendiamo male, non che spendiamo poco”, cioè la spesa non è correlata ad una chiara scelta di sistema, che neppure il riordino del 2010 ha fatto.

Eppure in questi tre anni sono cresciuti tanti “spezzoni” finalizzati al recupero del ritardo formativo verso il lavoro: l’alternanza è (volotaristicamnente) aumentata; sono nati gli ITS; è aumentato il numero degli IFTS; si sono avviati tentativi (scoordinati) per recuperare l’assenza dell’apprendistato. Così come è fortemente cresciuto il canale formativo regionale giungendo oggi a coinvolgere l’11% dei giovani dell’istruzione secondaria di secondo grado.

Mentre il documento governativo sulla Buona scuola riconosce che l’attuale riordino del secondo ciclo “è in corso di digestione” perché “non è ancora arrivato alla sua piena realizzazione” che avrà una sua verifica al termine di quest’anno scolastico con “la prima maturità dei nuovi indirizzi”, contemporaneamente, però, sostiene (come il ministro) che l’attuale sistema non deve essere modificato.

Ma lo stesso documento nel capitolo seguente, occupandosi della grave situazione dei rapporti tra scuola e lavoro, implicitamente riconosce che la soluzione data all’istruzione tecnica e professionale ha lasciato gravi lacune nel preparare all’ingresso nella vita attiva.

Peccato che nelle proposte avanzate poi non si tenga in nessun conto di quelle scelte del riordino Gelmini che hanno causato queste lacune: forte riduzione delle ore di laboratorio e degli insegnanti tecnico-pratici (le une e gli altri pressoché spariti nei tecnici); mancato avvio del sistema formativo in apprendistato per l’adempimento dell’obbligo; pratica abolizione (nonostante gli enunciati dei regolamenti) di un inserimento delle attività di lavoro nel percorso scolastico; assenza di un quadro normativo che incoraggi le imprese a lavorare con la formazione. Il tutto mentre il documento conferma (nel caso della geografia) o sostiene (nel caso della musica, della storia dell’arte, della filosofia) un aumento di materie e di ore dilezione, dimenticando la cultura tecnica e professionale.

 

 

 
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