Dibattito/Scuola: verso dove guardare?


Calma piatta. Eppure il vento “soffia  ancora”

A che cosa bisogna guardare

Tuttoscuola - marzo 2019 - EZIO DELFINO

 

Che aria tira nelle nostre scuole, tra gli insegnanti, nelle sale docenti, tra gli operatori scolastici?

Il titolo del film di Phillip Noyce ne esprime efficacemente l’immagine: “Dead calm”. Dopo gli anni della Buona Scuola, delle proteste dei precari, delle vivaci prese di posizione dei dirigenti scolastici sul tema della loro valutazione, delle agitazioni studentesche, del dibattito sui vaccini: “Ore 10: calma piatta”.

Sul fronte dei docenti e del personale tecnico amministrativo la prospettiva della Quota 100 a portata di mano crea, infatti, un’aspettativa che, almeno nell’immaginario, sembra quietare il disagio quotidiano.

Sul fronte dei dirigenti scolastici l’indebolimento progressivo delle novità della Legge sulla Buona Scuola avviato dal nuovo corso ministeriale (la chiamata diretta, l’allentarsi del percorso di valutazione, il recente contratto, etc.) e l’atteso aumento in busta paga dopo la sigla dell’accordo sembrano stemperare l’affanno delle tante incombenze, favorendo una strana rassegnazione alla quotidiana routine.

Un concorso DSGA e la (presunta) possibilità di veder concluso l’iter del concorso per dirigenti scolastici sembrano zittire, di colpo, lamentazuino, ansie da prestazione, fatiche degli operatori scolastici.

Anche le famiglie quest’anno sembrano non avere più temi da dibatttere dopo che anche quello sui vaccini é, improvvisamente, scomparso (e non risolto) anche dai talk-show televisivi.

Quiete prima della tempesta o rassegnazione da assuefazione?

Dal 52º Rapporto del Censis - che da sempre “fotografa” situazioni e tendenze sociali - è arrivata una diagnosi poco rassicurante: l’Italia è definita disgregata, incattivita, impoverita e anagraficamente vecchia. E impaurita. Tutti abbiamo paura del futuro e non siamo disposti ad abbassare i ponti. Anzi, ci stiamo abituando ad alzarli.

Una calma “sociale”, quindi, frutto di una paura che ci attraversa, che silenziosamente ci penetra, ci rende inebetiti e annebbiati. E che è terreno per una politica che sembra proprio voler cercare soluzioni che “tranquillizzino” il cittadino, diano risposte sicure, risolvano i problemi non guardandone la natura, ma dando soluzioni forti che assecondino un consenso.

 

Eppure il vento soffia ancora

Così cantava Pierangelo Bertoli. Oggi più che mai, e proprio nelle nuove generazioni di studenti, la vita tuttavia c’è, è rilevabile, e c’è in tanti educatori, insegnanti, dirigenti scolastici, nelle classi, nelle scuole. Partire da questo, allora, come antidoto alla cappa esistenziale e culturale che ci avvolge “tornando alle domande, ed esigendo da noi risposte nuove o vecchie, purché scaturite da un esame diretto” (H. Arendt). Partire da qualcosa che c’è, che è reale, che interessa, in quei baluardi di incontro, di impegno e civiltà che sono potenzialmente le scuole dove, chi accetta questa sfida sta generando, proprio oggi, progettazioni formative, innovazioni, avanguardie educative, reti, ricerca, proposte di bellezza, incontri.

Soggetti: di questo, oggi, c’è bisogno. Non solo persone capaci, ma docenti e dirigenti che, accogliendo la sfida e la ricchezza dell’oggi, riscoprono sé, si aprono al dialogo ed alla ricerca formativa, realizzano spazi di lavoro e di innovazione, condividono luoghi di corresponsabilità decisionale.

E questa è il lavoro che sta accadendo in tante scuole, in molti gruppi di interesse, in gruppi di progetto nei quali tanti stanno riprendendo sul serio la domanda degli studenti ed il gusto rinnovato del sé. Facendo scuola.

A queste esperienze occorre guardare, valorizzare e da esse ripartire, oggi più che mai.

Quale proposta? La responsabilità nelle scuole, in un contesto così instabile e liquido, dove molte certezze del passato sono crollate, non è quella di creare una zona franca, un recinto per non far fare fatica agli studenti nel reale, ma quella di renderli consapevoli della loro dignità, della loro capacità di giudicare tutto. Altrimenti non avranno quella iniziale certezza che consentirà loro di vivere in qualsiasi posto al mondo.

La condizione è, per questo, che i ragazzi possano vedere adulti che incarnino questa possibilità di studium. Perché l’educazione è la comunicazione di sé, del proprio modo di rapportarsi con il reale. Questo sguardo da trasmettere, pieno di positività, necessario per entrare nel reale senza paura di incontrare nuovi contenuti, urge, oggi, e rappresenta il vero rimedio alla paura e all’incertezza.

 

Dentro le occasioni del lavoro

Questa novità di posizione, che mette ciascuno,  dirigenti,  docenti, genitori, al centro delle questioni, non illude che una nuova tecnica didattico - organizzativa sia in grado, da sola, di risolvere tutto, ma coinvolge ciascuno come soggetto di cambiamento ed aiuta a guardare la propria realtà  scolastica e professionale con una apertura a tutti i fattori.

Gli ambiti in cui impegnarsi, oggi, non mancano: l’innovazione didattica, la valutazione degli apprendimenti, la rendicontazione, il nuovo esame di stato II ciclo, la digitalizzazione, un rilancio delle discipline di studio, la progettazione di nuovi ambienti formativi, nuovi percorsi per l’inclusione, l’alternanza scuola lavoro.

Per i presidi, statali e paritari, è, a dispetto della calma piatta, il tempo per rilanciare un’autentica direzione educativa delle scuole che richiede la tensione a conoscere la realtà delle persone con cui si lavora, le caratteristiche degli studenti e il contesto in cui si opera. Una verifica quotidiana che l’originalità del proprio contributo professionale è quella interpretare ed assecondare tutte le istanze che emergono - educative, didattiche, organizzative - secondo un fine generativo.

E, in questa ottica, convocare, far crescere e sostenere la corresponsabilità dei soggetti che la costruiscono quotidianamente: un modo culturalmente nuovo di concepire la collegialità e la corresponsabilità educativa. In una logica non applicativa semplicemente di norme e di adempimenti, ma, appunto, generativa di fatti, luoghi e persone.

È in questo protagonismo comunitario intelligente e consapevole che può essere ripercorsa, allora, l’idea di autonomia scolastica, non come decentramento funzionale o semplice trasferimento di gestioni dal centro alla periferia, ma come espressione di spazi di libertà con la quale i diversi soggetti fanno didattica, ricerca e innovazione a servizio della comunità sociale.

A 20 anni dalla pubblicazione del DPR 275 del 1999 sarà interessante ricomprendere (e ritrovare) l’autonomia delle istituzioni scolastiche come dimensione e strumento indispensabile per realizzare, per quanto sopra detto, la piena responsabilità dei soggetti che le costruiscono.

 

 
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