Pubblichiamo le proposte inviate in breve da DiSAL (i testi in azzurro) alla consultazione avviata in materia di formazione inziale dei docenti, a seguito dell'incontro svoltosi il 24 febbraio con le Associazioni professionali a cui si rinvia ( http://www.disal.it/Objects/Pagina.asp?ID=9535).
DiSAL, fin dal proprio inizio, è intervenuta su questo tema: in queste pagine "Comunicati" si possono trovare documenti inviati al Ministero o presentati alle audizioni parlamentari già fin dal 2002.
Dirigenti Scuole Autonome e Libere
Associazione professionale dirigenti scuole statali e paritarie - Ente qualificato dal MIUR alla formazione
Milano, 2 marzo 2009
Scheda di proposte relative alla Formazione iniziale dei docenti
Premessa
Poiché l’accordo fu anche per l’introduzione di osservazioni aggiuntive, come associazione in premessa ci permettiamo di ribadire che la riforma della formazione iniziale dei docenti deve essere completata (salvo futuri andamenti “zoppi” del sistema e inefficacia dei cambiamenti al fine di una migliore qualità della docenza) con i seguenti elementi:
- affiancare anche la riforma della formazione iniziale dei dirigenti scolastici oggi assente;
- inquadrare e strettamente collegare la formazione iniziale dei docenti e dei dirigenti nel contesto di una riforma del loro stato giuridico e del reclutamento.
In termini normativi questo significa che un futuro Regolamento per la formazione iniziale dei docenti, al quale aggiungere quella dei dirigenti, dovrebbe essere coordinato con il cosiddetto “PdL Aprea” che dovrebbe contenere lo stato giuridico dei docenti e dei dirigenti.
A. Laurea magistrale
Stante il contesto Universitario attuale nel quale il Documento propone l’inserimento della formazione, siamo fortemente contrari al numero rigidamente programmato, anche perché non è possibile che la scelta per almeno il triennio sia esclusiva di altri sbocchi professionali.
Tutto sarebbe diverso se si seguisse (lo abbiamo sostenuto dall’inizio, sei anni fa fin dal Ddl Santulli) il modello francese degli IUFM (aspetto che descriviamo per accenni al punto A5). In questo caso, trattandosi di scelta esplicita per istituti che preparano solo alle professioni della scuola (non solo docenti, ma anche documentalisti e specialisti) allora un accesso pari ad un numero aumentato del 15% del fabbisogno annuale avrebbe senso.
Comunque non è possibile in nessun modo valutare a priori (cioè prima di un impatto con l’esperienza reale dell’insegnamento almeno con un tirocinio di un anno) l’attitudine.
Condividiamo in pieno la differenza di durata, contenuti e metodi della formazione alla scuola dell’infanzia, alla primaria, alla secondaria di I grado ed alla secondaria di II grado. Si tratta di preparazione al lavoro con età psicofisiche diverse, che esigono contenuti, metodi, approcci, conoscenze e competenze diverse. Si potrebbe al limite fare due percorsi nettamente separati, con due differenze parziali al loro interno.
L’equiparazione di tutta la formazione discende dall’assunto sindacale del ruolo unico, che nulla a che fare con la qualità, specificità, adeguatezza della preparazione alla professione.
La piramide non è fatta dalla differenza, ma dalla disparità contrattuale di trattamento del servizio, del salario e delle condizioni di lavoro. Oltre che naturalmente dalla discutibile cultura di certa docenza attuale che vede il liceo classico come l’approdo terminale al vertice della professione. Questo di fatto è quello dove è meno difficile insegnare e dove si sono formati gli stessi opinion leaders.
Nessuna formazione iniziale può assicurare questo dal punto di vista della sua adeguatezza alla docenza, salvo considerare la mobilità come puro diritto sindacale, per il quale la preparazione non conta nulla (come avviene adesso). Si deve prevedere invece l’obbligo di corsi annuali integrativi con esami abilitanti da superare per il passaggio. La semplice mobilità attuale (maestri che vanno a fare filosofia al liceo o docenti di filosofia che vanno a fare i maestri – questo caso è solo teorico per il principio sopra ricordato) è di solito (salvo le debite eccezioni) fonte permanete di problemi didattici.
La laurea magistrale deve ridurre l’eccesso di discipline, limitarle alle essenziali dell’area, evitando inutili doppioni con la laurea di primo livello. Tutto il secondo anno deve essere dedicato a laboratori di ricerca e verifica didattica in contemporanea a stretto collegamento con il tirocinio, che va collocato nel secondo anno per un numero di ore pari alla metà del secondo anno.
Insistiamo sul modello degli IUFM francesi, da cui escono da tempo i docenti di quel sistema scolastico. Si tratta di Istituti a carattere universitario, con sede regionale o sub regionale (per le zone più abitate), autonomi, governati da Consigli di Amministrazione composti da quattro componenti (Università, Ministero regionale, Scuole autonome, Associazioni professionali).
All’interno di questi il primo anno è prevalentemente disciplinare, mentre il secondo anno è prevalentemente laboratoriale (laboratori di elaborazione critica e sistematica di esperienze didattiche). Il tirocinio inizia il secondo anno e occupa la metà dell’orario. A questo, dopo l’esame finale abilitante, segue un anno di prova indispensabile per la conferma del contratto a tempo indeterminato.
B. Tirocinio formativo attivo
Il tirocinio (inserito nel secondo anno come detto sopra) deve essere in classe, osservativo e attivo, affiancato da un docente tutor anziano designato dal dirigente scolastico tra i docenti appartenenti al secondo livello della carriera docente (anche per questo non è possibile riformare la formazione iniziale senza riformare lo stato giuridico docente – l’errore sarebbe intendere la riforma della formazione come una questione dell’Università). Il tirocinante fa parte del Collegio docenti dell’istituto di tirocinio, salvo il diritto di voto, programma con il tutor il piano annuale che deve essere collegato anche con i laboratori di ricerca didattica frequentati nella laurea magistrale. Il tirocinante potrà godere di un contratto con l’istituto con un compenso non superiore al 50% dei docenti di primo livello e potrà essere utilizzato anche per le supplenze. Il tirocinio termina con una valutazione da parte del dirigente scolastico, su proposta del docente tutor e con una tesi parte integrante dell’esame finale della laurea magistrale.
Non si tratta di “valorizzare” quanto di avere di diritto un ruolo paritetico all’Università, proprio perchè si impara ad insegnare "insegnando". Questo ruolo dovrà essere : nella programmazione, con il tirocinante, dei laboratori del secondo anno; nella programmazione e conduzione del tirocinio sotto la responsabilità del dirigente scolastico e del docente tutor; nella designazione da parte del dirigente scolastico di docenti esperti per i laboratori del secondo anno (appartenenti al terzo livello della carriera docente); nella valutazione finale del tirocinio da parte del dirigente scolastico con il parere del docente tutor (con possibilità che in caso di sospetta inadeguatezza del tirocinante questo sia obbligato a ripetere l’anno ed il tirocinio, anche in altra scuola, dopo di che sia possibile esprimere da parte dell’istituzione scolastica un giudizio vincolante e motivato sulla ammissione o meno all’esame finale); nella valutazione finale nell’esame abilitante con la presenza del dirigente scolastico e del docente tutor.
La norma deve contenere requisiti minimi (dimensioni minime 600 alunni, presenza di docenti di secondo e terzo livello della carriera docente, assenza di conflittualità gravi interne, punteggi superiori alla media raggiunti nelle prove nazionali di valutazione degli apprendimenti). Le scuole si candidano presso il Consiglio di Amministrazione degli Istituti Universitari. I docenti tutor sono nominati dai rispettivi dirigenti scolastici tra gli appartenenti al secondo livello della carriera docente.
Fatto 100 il punteggio finale d’esame della laurea magistrale e 60 il minimo per il superamento, 60 punti dovrebbero provenire dagli esami e dai laboratori e 40 dal tirocinio (che deve essere la metà dell’orario del secondo anno).
C. Formazione iniziale, reclutamento, formazione del personale
Le classi di abilitazione vanno drasticamente ridotte alla metà della attuali. Occorre uno stato giuridico della professione docente che, attuando il reclutamento su base di singola scuola o di scuole consorziate, permetta l’assunzione anche per discipline per le quali l’aspirante mostri il possesso (verificato) di competenze pur non possedendo l’abilitazione alla classe di concorso (come succede in Germania dove, ad es., un docente di francese può insegnare anche storia dell’arte o geografia se ne mostra la competenza necessaria). E’ questo un altro elemento che mostra come non si possa separare la riforma della formazione iniziale dal nuovo stato giuridico della professione docente.
Non è possibile costringere gli attuali precari laureati inseriti nelle graduatorie permanente (che come si sa sono state abolite, ma in realtà sono dureranno anni) a frequentare altri corsi di laurea. D'altronde occorre rifuggire da nuovi "ope-legis". L’unica modalità per uscirne e per verificare il possesso di competenze necessarie all’insegnamento, potrebbe essere quella del concorso di istituto. Il docente in graduatoria formalmemte è già abilitato. Se ha fatto almeno due anni di servizio senza aver subito provvedimenti disciplinari o segnalazione negative, nel singolo istituto o negli istituti consorziati dove viene messo a concorso un posto sosterrà il concorso di ammissione all’anno di prova. Superato poi positivamente l’anno di prova valutato dal dirigente scolastico, è ammesso al contratto a tempo indeterminato. Altrimenti potrà ripetere l’anno di prova anche in altra scuola. Alla seconda valutazione negativa non può più essere ammesso a concorsi di insegnamento.
E’ assolutamente indispensabile una formazione specialistica integrata per chi è disposto ad insegnare ad alunni H non solo nel I ma anche nel II ciclo.
La direzione nazionale di DiSAL
Milano 2 marzo 2009
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