Sentenze/La registrazione di una conversazione tra colleghi

  Laregistrazione di una conversazione tra colleghi è ammissibile ma puòcompromettere il clima di lavoro

Orizzontescuola – 15/5/2019 - Avv. MarcoBarone


Una questione che si pone sempre con maggior frequenza, stante ilperdurante mutamento in senso peggiorativo del rapporto lavorativo, e del venirmeno della solidarietà tra colleghi, è se è possibile o meno ricorrere allaregistrazione di una conversazione tra colleghi per utilizzarla a finidifensivi.

Chiaramente va analizzato ilcontesto, il perché, e soprattutto l’uso che se ne dovrà fare. Una interessantesentenza della Cassazione, Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 10-01-2018)10-05-2018, n. 1132, affronta diversi punti su tale problematica, ponendo degliindirizzi giurisprudenziali di cui si dovrà tener conto.

Fatto

Un dipendente del settore privatoveniva licenziato per motivi disciplinare per aver , in sede di giustificazioniorali in merito ad altra precedente contestazione della società, consegnato unachiavetta USB contenente registrazioni di conversazioni effettuate in orario dilavoro e sul posto di lavoro coinvolgenti altri dipendenti, ad insaputa deglistessi e nell’aver il medesimo provveduto ad ulteriori registrazioni anchevideo come riportato in sede di segnalazione da parte di colleghi di lavoro cheavevano riferito di aver visto il dipendente continuamente scattare foto,girare video, registrare conversazioni sul posto di lavoro senza alcunaautorizzazione da parte loro, il tutto in violazione della legge sulla privacye con la recidiva rispetto ad altre precedenti contestazioni), la Corte dimerito, dopo aver ricostruito il contesto in cui andava inquadrata la condottache aveva portato alle contestazioni, così argomentava: – il lavoratore avevaadottato tutte le cautele al fine di evitare la diffusione dei dati raccolti e,contrariamente a quanto riportato nella lettera di contestazione circa lesegnalazioni di suoi colleghi di lavoro, le persone registrate non avevanosaputo nulla di tali registrazioni prima di esserne informati dal direttoredelle risorse umane cui erano stati trasmessi i files delle registrazioniconsegnati dal dipendente su pennetta usb ad un delegato dell’azienda inoccasione di un incontro relativo a precedente contestazione disciplinare; – illavoratore non aveva in alcun modo utilizzato o reso pubblico il contenuto diquelle registrazioni per scopi diversi dalla tutela di un proprio diritto; –era da escludersi la configurabilità nella vicenda di ogni rilevanza penale esussisteva l’ipotesi derogatoria, rispetto alla necessità di acquisire ilconsenso dei soggetti privati interessati dalle registrazioni, in ragione nellefinalità del lavoratore di documentare le problematiche esistenti sul posto dilavoro e di salvaguardare la propria posizione di fronte a contestazionidell’azienda non proprio cristalline. La condotta del dipendente,pertanto, pur potendo essere motivo di sanzione disciplinare – inrelazione al clima di tensione e di sospetti venutosi a creare tra gli ignaricolleghi dopo la rivelazione delle registrazioni – tuttavia non era tale daintegrare un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovveroaddirittura da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapportodi lavoro.

Registrazione conversazione e privacy

Va innanzitutto chiarito che, sullabase della normativa a tutela della privacy (D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196,oggetto di successivi aggiornamenti), per trattamento dei dati personali sideve intendere qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anchesenza l’ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, laregistrazione, l’organizzazione, la conservazione, la consultazione,l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto,l’utilizzo, l’interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, lacancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca didati – art. 4, lett. a) – e che per dato personale si deve intendere qualunqueinformazione relativa a persona fisica, identificata o identificabile, ancheindirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivicompreso un numero di identificazione personale – art. 4 lett. b) – e così,dunque, qualunque informazione che possa fornire dettagli sullecaratteristiche, abitudini, stile di vita, relazioni personali, orientamentosessuale, situazione economica, stato civile, stato di salute etc. dellapersona fisica ma anche e soprattutto le immagini e la voce della personafisica. (…) La giurisprudenza di questa Corte ha costantemente sottolineato, intermini generali, come la rigida previsione del consenso del titolare dei datipersonali subisca “deroghe ed eccezioni quando si tratti di far valere ingiudizio il diritto di difesa, le cui modalità di attuazione risultanodisciplinate dal codice di rito” (Cass., Sez. U., 8 febbraio 2011, n. 3034).Ciò sulla scorta dell’imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposteistanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale deldiritto dall’altra e pertanto di contemperare la norma sul consenso altrattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civileper la tutela dei diritti in giudizio.

La registrazione fonografica è una prova ammissibile nel processocivile

In linea con tale impostazione edin ambito più strettamente lavoristico è stato ulteriormente precisato che laregistrazione fonografica di un colloquio tra presenti, rientrando nel genusdelle riproduzioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c., ha natura di provaammissibile nel processo civile del lavoro così come in quello penale. Si è,quindi, ritenuto (v. Cass. 29 dicembre 2014, n. 27424 ed i richiami in essacontenuti a Cass. 22 aprile 2010, n. 9526 ed a Cass. 14 novembre 2008, n.27157), alla luce della giurisprudenza delle Sezioni penali di questa S.C., chela registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediantestrumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe, èprova documentale utilizzabile quantunque effettuata dietro suggerimento o suincarico della polizia giudiziaria, trattandosi, in ogni caso, di registrazioneoperata da persona protagonista della conversazione, estranea agli apparatiinvestigativi e legittimata a rendere testimonianza nel processo (espressamentein tal senso v. Cass. pen. n. 31342/11; Cass. pen. n. 16986/09; Cass. pen. n.14829/09; Cass. pen. n. 12189/05; Cass. pen., Sez. U., n.36747/03). E’ stato,altresì, chiarito che l’iporesi derogatoria di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003,art. 24 che permette di prescindere dal consenso dell’interessato sussisteanche quando il trattamento dei dati, pur non riguardanti una parte delgiudizio in cui la produzione viene eseguita, sia necessario, per far valere odifendere un diritto (Cass. 20 settembre 2013, n. 21612). Unica condizionerichiesta è che i dati medesimi siano trattati esclusivamente per tali finalitàe per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento (cfr. la soprarichiamata Cass., Sez. U., n. 3033/2011 nonchè Cass. 11 luglio 2013, n. 17204 eCass. 1 agosto 2013, n. 18443).Quanto poi al concreto atteggiarsi del dirittodi difesa, è stato ritenuto che la pertinenza dell’utilizzo rispetto alla tesidifensiva va verificata nei suoi termini astratti e con riguardo alla suaoggettiva inerenza alla finalità di addurre elementi atti a sostenerla e nonalla sua concreta idoneità a provare la tesi stessa o avendo riguardo allaammissibilità e rilevanza dello specifico mezzo istruttorio (v. la già citataCass. n. 21612/2013).

Diritto di difesa e utilizzazione registrazioni

Inoltre, il diritto di difesa nonva considerato limitato alla pura e semplice sede processuale, estendendosia tutte quelle attività dirette ad acquisire prove in essa utilizzabili, ancorprima che la controversia sia stata formalmente instaurata mediante citazione oricorso (cfr. la già citata Cass. n. 27424/2014). Non a caso nelcodice di procedura penale il diritto di difesa costituzionalmente garantitodall’art. 24 Cost. sussiste anche in capo a chi non abbia ancora assunto laqualità di parte in un procedimento: basti pensare al diritto alleinvestigazioni difensive ex art. 391 bis c.p.p. e ss., alcune delle qualipossono esercitarsi addirittura prima dell’eventuale instaurazione di unprocedimento penale (cfr. art. 391 nonies c.p.p.), oppure ai poteri processualidella persona offesa, che – ancor prima di costituirsi, se del caso, parte civile– ha il diritto, nei termini di cui all’art. 408 c.p.p. e ss. – di essereinformata dell’eventuale richiesta di archiviazione, di proporvi opposizione e,in tal caso, di ricorrere per cassazione contro il provvedimento diarchiviazione che sia stato emesso de plano, senza previa fissazionedell’udienza camerale.

Sì alla registrazione dei colloqui tra colleghi a loro insaputa per ildiritto di difesa

Nella fattispecie qui in esame, laCorte territoriale, con accertamento non censurabile in questa sede, dopo averpremesso che quelle di cui si discuteva erano registrazioni di colloqui adopera del lavoratore., vale a dire di una delle persone presenti e partecipi adessi, ha ritenuto che il suddetto dipendente avesse adottato tutte le dovutecautele al fine di non diffondere le registrazioni dal medesimo effettuateall’insaputa dei soggetti coinvolti ed ha considerato operante la derogarelativa all’ipotesi per cui il consenso non fosse richiesto, trattandosi difar valere o difendere un diritto in sede giudiziaria. Così ha evidenziato chela condotta era stata posta in essere dal dipendente per tutelare la propriaposizione all’interno dell’azienda, messa a rischio da contestazionidisciplinari non proprio cristalline e per precostituirsi un mezzo di prova vistoche diversamente avrebbe potuto trovarsi nella difficile situazione di nonavere strumenti per tutelare la propria posizione ritenuta pregiudicata dallacondotta altrui. Il tutto in un contesto caratterizzato da un conflitto tra illavoratore. ed i colleghi di rango più elevato e da inascoltate recriminazionirelative a disorganizzazioni lavorative asseritamente alla base delle indicatecontestazioni disciplinari in cui il reperimento delle varie fonti di provapoteva risultare particolarmente difficile a causa di eventuali possibilisacche di omertà come era dato apprezzare da quanto emerso in sede diistruttoria Ed allora, si trattava di una condotta legittima, pertinente allatesi difensiva del lavoratore e non eccedente le sue finalità, che come tale nonpoteva in alcun modo integrare non solo l’illecito penale ma anche quellodisciplinare, rispondendo la stessa alle necessità conseguenti al legittimoesercizio di un diritto, ciò sia alla stregua dell’indicata previsionederogatoria del codice della privacy sia, in ipotetica sua incompatibilità congli obblighi di un rapporto di lavoro e di quelli connessi all’ambiente in cuiesso si svolge, sulla base dell’esistenza della scriminante generale dell’art.51 c.p., di portata generale nell’ordinamento e non già limitata al mero ambitopenalistico (e su ciò dottrina e giurisprudenza sono, com’è noto, da sempreconcordi – cfr. la già richiamata Cass. n. 27424/2014 )

Sanzionabili le registrazioni effettuate a fini illeciti

Altro sarebbe stato – sia benchiaro – se si fosse trattato di registrazioni di conversazioni tra presentieffettuate a fini illeciti (ad esempio estorsivi o di violenza privata): ma nonè questo il senso della contestazione disciplinare per cui è causa che, perquanto si rileva dal contenuto della stessa testualmente riportato nellasentenza impugnata, aveva avuto ad oggetto la gravissima ed intollerabileviolazione della legge sulla privacy comportante l’ipotesi del trattamentoillecito dei dati punibile con la reclusione da 6 a 24 mesi.

La registrazione della conversazione può minare la serenitàdell’ambiente lavorativo e legittimare il licenziamento per giustificato motivooggettivo

Del tutto evidente è che il climadi tensione e sospetti venutosi a creare tra gli ignari colleghi dopo da rivelazionedelle registrazioni e cioè una situazione facente capo al prestatore di lavoroma non costituente inadempimento, al più poteva assumere rilevanza, in unaprospettiva del tutto diversa, in termini di obiettiva incompatibilità deldipendente con l’ambiente di lavoro, se tale da rendere insostenibile lasituazione incidendo negativamente sulla stessa organizzazione del lavoro e sulregolare funzionamento dell’attività, e dunque, ove ricorrenti i relativipresupposti, quale giustificato motivo oggettivo di licenziamento (cfr. Cass.25/07/2003, n. 11556; Cass. 11 agosto 1998, n. 7904), non certo sotto ilprofilo disciplinare.





 

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