La condanna di un dirigente scolastico
Scuola Oggi - di Federico Niccoli
Il dirigente scolastico Fausto Caielli è stato condannato a 5 anni e 6 mesi per omissione di atti d’ufficio e per non aver impedito l’attività criminosa di un docente accusato di abusi sessuali su alunni della sua classe.
La sentenza del Tribunale di Milano è stata definita “incredibile” e sorprendente da parte del
Ma, se pur incredibile, “ciò che è reale è razionale”, per cui dobbiamo misurarci con quel che è accaduto e sulle motivazioni della condanna.
Premesso che le sentenze della Magistratura debbono essere rispettate, ma possono anche essere civilmente criticate soprattutto in vista dell'appello, proviamo a fare qualche ragionamento sullo svolgimento di una vicenda che ha lasciato senza parole la comunità scolastica milanese. Vorrei rammentare a tutti i nostri lettori che una vicenda analoga (si trattava in quel caso di spaccio di droga in un istituto superiore di Rho) ha coinvolto il Preside, condannato pesantemente in primo e secondo grado – sempre per omissione e oggettiva connivenza- ma definitivamente prosciolto da ogni accusa e con formula piena da una mirabile sentenza della Corte di Cassazione, che –caso raro- ha assolto il Preside senza rinviare gli atti alla Corte di Appello per un nuovo esame dei fatti.
Nel caso in esame (come in quello appena ricordato) se il dirigente scolastico avesse avuto diretta conoscenza della consumazione – almeno presunta a causa di gravi indizi di reità- del vergognoso delitto di pedofilia avrebbe avuto il preciso e inderogabile dovere di presentare formale denuncia alla magistratura. E, ragionando sempre per ipotesi, in questo preciso caso bene avrebbe fatto la magistratura a sanzionare anche pesantemente una tale condotta omissiva ed irresponsabile. Ma , quella che in criminologia viene denominata “scena del delitto” , non era un ambiente vuoto ed isolato, bensì una classe di scola primaria frequentata quotidianamente da ben 7 insegnanti/educatori, che non si sono mai accorti di alcunché e, soprattutto, non hanno mai riferito al loro dirigente neppure dell’ombra di un sospetto. Solo quando alcuni genitori hanno esplicitamente descritto l’ipotesi di reato, il dirigente scolastico ha fatto immediatamente scattare la denuncia all’autorità giudiziaria.
Sembra di capire che, nel caso specifico, sia stata adottata l'infausta tecnica del "non poteva non sapere". In virtù di un fallace presupposto di questo genere, tutti i dirigenti scolastici d'Italia potrebbero essere trascinati in giudizio tutti i giorni e per i più svariati motivi (dalla sicurezza degli edifici, al rispetto della privacy e via elencando).
Noi viviamo in un paese di grande civiltà giuridica dove vige il principio secondo il quale la responsabilità penale è personale e va provata e non presupposta a causa delle funzioni esercitate.
Un dirigente scolastico non può essere trattato come la cosiddetta giustizia sportiva tratta le squadre di calcio che spesso vengono sanzionate a titolo di responsabilità oggettiva per fatti compiuti dai propri tifosi.
"Nello Stato costituzionale l'ordinamento vive non solo di norme, ma anche di apparati finalizzati alla garanzia di diritti fondamentali. In tema di istruzione, poi, la salvaguardia di tale dimensione è imposta da valori costituzionali incomprimibili"
Questa limpida "massima" della Corte Costituzionale esprime, come meglio non si potrebbe dire, l'esigenza, per gli operatori della scuola, di partire certo da un approccio giuridico all'interpretazione delle norme ma non di restarne prigionieri, perché debbono essere contestualmente utilizzate altre chiavi di lettura di natura pedagogica e sociologica.
In particolare, il dirigente scolastico deve far riferimento, nella sua azione quotidiana, al contratto che ha con lo Stato e che gli impone di organizzare l'attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formativa.
Cosa deve concretamente fare un dirigente scolastico nella scuola dell’autonomia, che ha l’inderogabile compito di assicurare il successo formativo di tutti e di ciascun alunno ?
Esistono due scuole di pensiero:
- la prima, fortunatamente minoritaria, fa scattare automatici riflessi d'ordine e pensa ad un preside "agente di vigilanza" che, insieme ai suoi collaboratori, si "apposta" vicino ai bagni, nei corridoi, nei giardini, per "pescare" i colpevoli e consegnarli a chi di dovere. Il corollario ineliminabile di questo modo di ragionare è la ricerca di una costruzione tra la scuola e il territorio circostante di un adeguato fossato, con tanto di ponte levatoio, per evitare ogni forma di contaminazione di un mondo peccatore e corruttore della nostra infanzia ed adolescenza
- la seconda scuola ritiene, invece, che le armi di distruzione di massa della nostra gioventù non possono essere eliminate con una sorta di dottrina Bush domestica e in sedicesimo.
Il Preside non dovrà trasformarsi in una sorta di Ispettore Clouzot, ma dovrà valorizzare le molteplici risorse esistenti sul territorio (enti locali, associazioni culturali e professionali, società sportive, gruppi di volontariato) allo scopo di realizzare un progetto ricco ed articolato in modo che l’offerta formativa della scuola assuma un più ampio ruolo di promozione culturale e sociale. In altre parole, la scuola si dovrà presentare come una comunità "aperta" dentro e fuori, dovrà "contaminarsi" con la realtà territoriale circostante, comprese le contraddizioni esistenti. La scuola non potrà mai combattere col manganello, ma dovrà presentarsi con un approccio pedagogico e sociologico ai numerosi problemi di devianza sociale esistenti "dentro", "vicino" e "fuori" dal suo perimetro.
Nel caso Caielli non si può sbrigativamente "chiudere la pratica" senza interpellare gli organi collegiali (il collegio dei docenti, il consiglio di istituto, i consigli di classe) responsabili del progetto educativo della scuola e senza approfondire le modalità concrete attraverso le quali è stata affrontata la lotta, anche e soprattutto culturale, a tutte le forme di pericolo potenziale degli alunni.
Bisogna seguire con attenzione la vicenda in appello certamente anche per manifestare concreta solidarietà a Fausto, ma anche e soprattutto per evitare che i comportamenti responsabili dei dirigenti scolastici possano essere tranquillamente rubricati come comportamenti penalmente perseguibili