Stato-Regioni: conseguenze della sentenza CC


da Tuttoscuola   -  Chi ha vinto e chi ha perso

Come dopo un confronto elettorale. La sentenza n. 200 del 24 giugno 2009, con la quale la Corte Costituzionale si è pronunciata sui ricorsi presentati da diverse regioni contro i provvedimenti della riforma Gelmini, ha provocato opposte reazioni di vittoria, proprio come capita dopo le elezioni politiche, quando ogni partito, secondo la propria visuale di valutazione, afferma il proprio successo o la propria "tenuta" (termine con il quale si cerca spesso di mascherare un risultato deludente) e parla di sconfitta dell'avversario.

"Un successo per le Regioni e una bocciatura per il metodo del ministro Gelmini" (Bersani); "riconosciuta la legittimità costituzionale dell'impianto complessivo dell'art. 64" (Gelmini); "è una vittoria della scuola, delle Regioni e della Costituzione" (Silvia Costa); "la sentenza conferma quanto da noi sostenuto nei ripetuti confronti con il ministro" (Borghi, Uncem); "è un successo per Regioni e Comuni, ma prima di tutto una vittoria per le famiglie e per i loro bambini" (Giambrone, IdV).

Anche sul fronte sindacale la sentenza è stata salutata favorevolmente come avvio di una nuova stagione di revisione della riforma Tremonti-Gelmini per la modifica delle norme di razionalizzazione del sistema di istruzione.

Ma cosa dice nel merito la pronuncia della Corte, contenuta in un ricco dispositivo di 23 pagine, e qual è la sua esatta portata? Ne riportiamo il testo integrale e un prospetto di sintesi con le norme impugnate, la posizione delle nove regioni ricorrenti (Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Puglia, Campania, Calabria, Basilicata e Sicilia) e l'esito dei loro ricorsi, diversi per quantità (il Piemonte ne ha presentati sei, la Calabria uno) e per qualità (cinque regioni contro tutto l'art. 64, quattro solo per la norma, espunta, sul commissariamento delle regioni).

Si può dire che la sentenza riguarda 6 punti dell'art. 64 della legge n. 133/2008. Su 4 punti dà ragione al Governo, su uno dichiara la cessazione del contendere, trattandosi di norma già espunta dalla L. 133, mentre su un punto accoglie il ricorso delle Regioni. Ma si tratta di un punto importante, soprattutto per il significato che assume la sentenza.

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  -  Tra norme generali e non

Tutto è cominciato con la previsione del commissariamento delle regioni e degli Enti locali contenuta nel decreto legge n. 154 del 7 ottobre 2008, nel caso di mancato adeguamento ai criteri di dimensionamento delle istituzioni scolastiche (a quella data vi erano più di 1.500 istituzioni scolastiche fuori parametro).

Le regioni non mettono in discussione tanto il merito (l'adeguamento ai parametri di dimensionamento), quanto il metodo di agire del Governo, lesivo delle prerogative regionali previste dal Titolo V della Costituzione. E impugnano la norma davanti alla Corte costituzionale, avviando contemporaneamente in Parlamento e in Conferenza unificata un forte contrasto alla norma di commissariamento. La legge di conversione (n. 189 del 4 dicembre 2008), oltre a cancellare la norma sul commissariamento, prevede interventi in materia attenti a rispettare le prerogative delle regioni e degli enti locali, compresa una apposita "intesa in sede di Conferenza unificata per disciplinare l'attività di dimensionamento della rete scolastica ... con particolare riferimento ai punti di erogazione del servizio scolastico".   

Nell'articolo 64 della precedente legge 133/2008 restano vive, però, alcune disposizioni, che non prevedono il concorso delle Regioni nel definire criteri, tempi e modalità per il dimensionamento delle istituzioni scolastiche. Le Regioni ricorrenti confermano così i loro ricorsi, alcune puntando a ottenere l'annullamento per incostituzionalità dell'intero impianto dell'articolo 64 di riforma del sistema di istruzione.

La sentenza dichiara però inammissibili o infondati quattro di quei ricorsi, riconoscendo nell'intervento riformatore del  Governo la fattispecie della "norma generale sull'istruzione" e, in quanto tale, rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, mentre dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 64, comma 4, lettera f-bis) e f-ter) accogliendo i ricorsi delle medesime regioni per gli aspetti concernenti il dimensionamento della rete scolastica, che è ricompreso nella potestà legislativa concorrente delle Regioni.  


da Tuttoscuola   -  Le ricadute sul sistema scolastico

La sentenza n. 200, sottratta a letture di parte, può costituire la base per l'avvio concreto di corrette relazioni di confronto tra lo Stato e le Regioni sull'applicazione del Titolo V per il settore istruzione, che rappresenta il vero nodo politico della questione. Un nodo che resta irrisolto.

Le parti continuano a non porsi su un terreno di discussione comune e costruttivo.

Per il ministro Gelmini la censura riguardante il dimensionamento risulta superata dall'art. 3 della legge 4 dicembre 2008, n. 189, che prevede entro il 15 giugno 2009 un'intesa in sede di Conferenza Unificata per disciplinare l'attività di dimensionamento della rete scolastica, con particolare riferimento ai punti di erogazione del servizio d'istruzione per gli anni scolastici 2010/2011 e 2011/2012. Il 15 giugno però è passato, e la stipula è ancora tutta da definire nei contenuti.

Silvia Costa, coordinatrice della IX Commissione istruzione della Conferenza delle Regioni, fa notare che la decisione della Corte arriva "mentre è in corso un difficile confronto tra le Regioni e il Ministero dell'Istruzione in merito ai nuovi criteri di dimensionamento della rete scolastica". La Costa ribadisce che "il mancato confronto con il Ministro Gelmini, nonostante una formale richiesta, acuisce le difficoltà delle relazioni istituzionali".

Quel che se ne ricava è che l'insufficiente attenzione alle ricadute del federalismo istituzionale sul ruolo delle singole amministrazioni statali e regionali aumenta la complessità del processo di modernizzazione del nostro sistema educativo, per il successo del quale ciascuno dei soggetti istituzionali è chiamato a fare la sua parte.

La scuola è oggi - sembra che a volte non lo si voglia capire - un servizio di tutti i soggetti istituzionali (Stato, Regioni, Province, Comuni e città metropolitane) che costituiscono la Repubblica, non più solo dello Stato, anche se lo stesso conserva responsabilità importanti anzi decisive per lo sviluppo del sistema educativo. Questo scenario rende pressante una corretta ripartizione delle funzioni tra lo Stato, le Regioni e i diversi livelli locali.

Si impone dunque una conclusione del confronto politico in Conferenza Unificata che renda effettivo l'esercizio delle competenze attribuite alle Regioni, anche con il trasferimento delle risorse finanziarie e di personale necessario per attuarle. Sarà la volta buona?

 

 
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