Dibattito/Scuola, cuore malato dell'Italia


Scuola, la vera emergenza

Su quei banchi ci siamo tutti

Corriere della sera - 13 settembre

di Ernesto Galli Della Loggia

D a anni l’istruzione è il cuore malato dell’Italia inferma. È lo specchio del nostro declino. Siamo agli ultimi posti nella classifica dei rendimenti scolastici, il che vuol dire che i giovani italiani sanno far di conto, scrivere e capire un testo peggio di quasi tutti i loro colleghi non italiani, mentre i due grandi punti di forza della nostra tradizione scolastica, la scuola elementare e il liceo, sono ormai solo la pallida ombra di ciò che furono. Sul versante finale, le nostre migliori università, gestite troppo a lungo dal potere arbitrario di chi vi insegna, e soffocate da problemi di ogni tipo, fanno una ben misera figura rispetto alle migliori straniere. È vero: da decenni la quota di spesa pubblica destinata all’istruzione è troppo bassa; ma attenzione: specie per quel che riguarda l’istruzione primaria e secondaria essa non è poi così catastroficamente bassa rispetto alla media europea. Guardando le cose nei loro termini più generali, il problema centrale del nostro sistema d’istruzione appare soprattutto un altro. È il fatto che l’ambito della scuola e dell’università è quello dove da circa mezzo secolo si manifestano con particolare virulenza tre aspetti critici della nostra vita collettiva: il potere sindacale, il timore sempre in agguato per l’ordine pubblico (comune a tutti i partiti e a tutti i governi), e infine la diffusione, nella scuola e fuori, di un senso comune culturalmente ostile alla dimensione del merito, del dovere, della disciplina, della selezione. I lettori sanno di cosa parlo. La scuola è rimasta un settore dove i sindacati e le loro logiche corporative hanno in buona parte ancora oggi un virtuale diritto di veto su qualunque decisione non solo di tipo organizzativo (circa le carriere e le assunzioni del personale), ma anche sui programmi e in generale sulla didattica. Egualmente, basta la più piccola minoranza studentesca che organizzi un corteo o un sit-in perché il mondo politico sia attraversato da un brivido di speranza o di paura credendo di scorgere all’orizzonte una riedizione del mitico Sessantotto. E nel complesso, poi, guai a chiunque dica che nell’istruzione il permissivismo va messo al bando, che ogni apprendimento esige anche sacrificio, che non tutti alla fine possono risultare capaci e meritevoli. 
In queste condizioni fare il ministro dell’Istruzione e dell’Università in Italia equivale a essere una specie di san Sebastiano: bersagliato da ogni parte, schernito, vilipeso e mostrificato alla prima occasione, destinato quasi sempre a scontentare tutti. Da Gui alla Moratti, passando per De Mauro e Berlinguer, è stato in pratica un vero e proprio martirologio politico, e anche l’anno scolastico che si apre in questi giorni minaccia come al solito tempesta sul capo del san Sebastiano di turno, il ministro Gelmini. Dal momento che scoccare frecce verso chi si trova legato al palo dell’istruzione è facile, molto facile: e infatti nel corso degli ultimi decenni nessuna forza politica si è sottratta alla tentazione di farlo ricavandone il misero utile del caso. 
Ma se le cose stanno così, se nella scuola e nell’università il blocco delle forze contrarie a qualunque cambiamento è così forte e variegato come a me pare, allora dovrebbe essere evidente che per rimettere ordine nel campo dell’istruzione è necessario come in nessun altro uno sforzo congiunto e consapevole di tutte le forze politiche interessate al bene del Paese. Alle quali dovrebbe pure venire in mente che, dopo aver assecondato tutte le pigrizie, le ipocrisie e i luoghi comuni della società italiana, è forse venuto il momento di cambiare strada. 
Se c’è un ambito cruciale per l’avvenire di noi tutti, dove si gioca più che in ogni altro il futuro dell’Italia, questa è l’istruzione. Sulle misure da prendere si possono avere idee divergenti, naturalmente. Quello che non è più tollerabile è il gioco al massacro, la strumentalizzazione demagogica, l’opposizione senza idee, l’essere contro per l’essere contro. Di fronte a quella che è diventata una vera e propria emergenza nazionale, l’emergenza dell’istruzione, come anche il Presidente Napolitano ha più volte sottolineato, tutti gli schieramenti, e il ministro per primo, dovrebbero sentirsi impegnati a un atteggiamento costruttivo e nei limiti del possibile collaborativo. 
L’Italia che si riconosce nella democrazia e nella lotta politica, ma che non ne può più della cieca rissa delle fazioni, aspetta solo che si chiuda la stagione delle escort e delle querele. Il momento sembra ormai giunto: chi può aiutare a farlo batta un colpo.

 
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