Gelmini: no a contributi di scuola. Il rifiuto dei presidi


La scuola e i soldi «chiesti» ai genitori
Il ministro ha parlato di «pratica lamentosa».  La Gelmini: non dovete farlo. E promette fondi per 10 milioni di euro. I presidi: questione di sopravvivenza
Corriere della Sera – 25 marzo 2010
Roma - «Non chiedere soldi alle famiglie? Senza il loro aiuto dovremmo chiudere oggi». Giuseppe Strada è il preside dell’Istituto tecnico Pacioli di Crema. I suoi 1.600 studenti pagano un «contributo volontario» di 140 euro l’anno. A cosa serve? «A tutto. A tenere in piedi i laboratori, all’acquisto di carta, di gesso, di tutto il materiale didattico... I fondi che arrivano dal ministero bastano solo per la carta igienica. A patto di farne un uso oculato». Quella del preside di Crema non è una voce fuori dal coro. Il ministro della Pubblica istruzione, Mariastella Gelmini, dice che le scuole non «dovrebbero chiedere contributi alle famiglie». Anzi, parla di prassi «un po’ lamentosa, in pochi casi giustificata» e promette dal prossimo anno 10 milioni di euro per le spese correnti. Fatti i conti, sarebbero mille euro l’anno per ogni istituto. «E noi che ci facciamo? », sbotta Mario Rusconi, preside del liceo Newton di Roma. Nella sua scuola il «contributo volontario» pagato dai genitori è di 100 euro l’anno, 120 per i generosi. «Pochi mesi fa - racconta - abbiamo aperto un nuovo laboratorio di chimica e fisica. Ci è costato 70 mila euro, tutti soldi versati dalle famiglie che usiamo pure per l’ordinaria amministrazione».
Il bello è che il suo liceo, come tutte le scuole italiane, ha un credito nei confronti del ministero dell’Istruzione. Quasi 140 mila euro nel suo caso, per altre scuole la somma è anche superiore. Soldi arretrati che chissà quando arriveranno, se arriveranno, per le continue riduzioni di bilancio degli ultimi anni. «È proprio per questo - spiega Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale presidi - che la maggior parte degli istituti è costretto a rivolgersi ai genitori. Nessun preside lo fa con leggerezza, è una questione di sopravvivenza». Il contributo volontario è la regola, dunque. Non solo per le medie e le superiori ma anche per le elementari dove almeno la "tassa" è più bassa. Racconta Massimo Spinelli, fino a poco tempo fa preside dell’istituto comprensivo di Caravate, in provincia di Varese: «Sono stato costretto a chiedere ai genitori 25 euro l’anno. Servivano per comprare pennarelli, carta, colla, cartelloni. Tutto il materiale che serve ai bambini per giocare ed imparare. Altrimenti che facevamo, passavamo la mattinata a raccontare favole?».
In alcuni casi, poi, la volontarietà del contributo è solo teorica. L’associazione skuola.net ha raccolto un piccolo campionario di pratiche borderline. All’istituto professionale Verri di Busto Arsizio, ad esempio, la famiglia di uno studente che non aveva pagato si è visto arrivare a casa una lettera della scuola. Cosa diceva quella lettera lo racconta Daniele Grassucci, che per skuola.net ha raccolto le segnalazioni: «In caso di mancato pagamento entro 20 giorni, la scuola non avrebbe dato allo studente moroso, diploma, certificato di iscrizione, certificato di frequenza ed altri documenti che per legge è tenuta a rilasciare». Anche per questo, pur di trovare qualche spicciolo, molte scuole si sono buttate sulla finanza creativa. Qualche esempio? L’istituto Fermi di Casazza (Bergamo) ha organizzato una lotteria, primo premio una bici. Il polo scolastico 3 di Fano ha chiesto una tassa di ingresso all’omino che vende le merendine durante l’intervallo. Alla Manzoni di Torino, invece, i genitori sono arrivati alle prestazioni in natura: due settimane fa hanno ridipinto cinque aule. Per protesta ed a costo zero.
Lorenzo Salvia

 

Gelmini: «Presidi attenti ai bilanci
Non chiedete soldi alle famiglie».  Il ministro: «Stanzieremo 10 milioni per spese correnti»

Il Messaggero  di Maria Lombardi
ROMA (24 marzo) - Due giorni al termine delle iscrizioni per i licei e tecnici. Sarà il debutto delle nuove superiori e c’è chi teme il caos. Ministro Gelmini, la scuola è pronta ad attuare le novità previste dalla riforma?«Io penso di sì. Da tempo la scuola sta elaborando una riforma organica delle superiori. Questo riordino è frutto anche del lavoro fatto dal governo di centrosinistra per i tecnici e dal governo Moratti per i licei. Ora è giunto il momento di passare dalla riforma alla sua applicazione e credo che si sia in grado di partire dal primo settembre. Un ulteriore rinvio non avrebbe avuto alcun significato».
Lei ha parlato di riforma epocale. Cosa risponde a chi sostiene che ci si è limitati a «tagliare» ore, sperimentazioni e cattedre?
«E’ una critica pretestuosa. Non nego che il governo abbia intrapreso un’opera di razionalizzazione, prevista nella Finanziaria, che ha portato a una riduzione degli sprechi e dei posti in pianta organica. Ma questo non c’entra nulla con la riforma della scuola. Noi stiamo realizzando un rinnovamento culturale, pedagogico e contenutistico: siamo usciti da una scuola autoreferenziale, burocratica e quantitativa e vogliamo ripartire dalla centralità del progetto educativo. Una scuola che valorizzi i talenti degli studenti, consenta percorsi flessibili e riduca la dispersione. Vanno in questo direzione la modernizzazione del sistema dei licei e la rivalutazione dell’istruzione tecnica, non più di serie B».
Più lingue straniere e matematica anche ai licei, ma perché meno geografia?
«In realtà non abbiamo eliminato la geografia fisica, le ore alla media sono rimaste le stesse. Semplicemente abbiamo accorpato nella storia, almeno in parte, la geografia antropica. E’ in linea con gli altri paesi europei, nessuno vuole togliere valore e peso specifico alla geografia».
I licei musicali saranno 28, la maggior parte al Nord. Come mai?
«Alcune sperimentazioni erano in atto e le abbiamo prese per buone. La competenza su dove dislocare i licei musicali è delle Regioni. Per adesso sono 28, ma il lavoro sarà completato dopo le elezioni regionali. Nulla esclude che all’indomani del voto ne saranno istituiti altri».
Come si può realizzare una riforma senza risorse? Il timore è che le ore in più di lingua straniera o di matematica saranno effettuate solo se l’organico lo consente, e così per il resto.
«E’ una sciocchezza. Non abbiamo carenze di organico. Semmai il problema opposto, quello di programmare l’inserimento dei nuovi insegnanti. Questo timore appartiene alla demagogia che viene utilizzata per attaccare la riforma».
C’è un grande squilibrio nel sistema dell’istruzione tra Nord e Sud. La riforma cerca di colmare questo gap e in che modo?
«Esiste questa discrepanza, ma riteniamo di poter elevare lo standard qualitativo medio puntando a un rilancio del Mezzogiorno che non può prescindere da un rilancio dell’istruzione. L’accordo siglato dal ministro Sacconi sulla formazione professionale e la riforma dell’istruzione tecnica sono provvedimenti che aiutano in particolare il Mezzogiorno».
I presidi denunciano: non abbiamo un soldo in cassa, non siamo in grado di garantire le spese correnti. C’è chi chiede contributi volontari alle famiglie.
«Una task-force del Ministero si sta occupando del problema. Sicuramente per il prossimo anno dovremo stanziare risorse per le spese ordinarie, una cifra da quantificare, saremo nell’ordine di 10 milioni di euro. Viene però da chiedersi come mai, a fronte di risorse limitate per tutti, alcune scuole chiedono il contributo volontario alle famiglie e altre no. Qui entra in gioco la capacità gestionale dei dirigenti. Sicuramente c’è una rigidità nell’impostazione del bilancio, magari le scuole sono in sofferenza per le spese correnti e hanno residui attivi inutilizzati. Noi vogliamo introdurre la massima flessibilità nella gestione delle spese, sarà il dirigente a decidere le priorità. Ma con troppa leggerezza si chiedono contributi alle famiglie. Sono assolutamente contraria, va evitata questa prassi un po’ lamentosa e in pochi casi giustificata. La scuola pubblica non deve costare».
Nella campagna elettorale per le regionali è stato sfiorato in qualche modo il tema della scuola?
«Gli elettori devono avere ben chiaro che in alcune questioni fondamentali, come lo snellimento della burocrazia, l’efficienza della scuola e della sanità, è fondamentale la convergenza e la corresponsabilità tra lo stato nazionale e quello regionale. Questo voto ha un grande significato politico».
Dopo una competizione così agguerrita, ritiene che sia alto il rischio astensionismo?
«Il rischio dell’astensionismo si vince passando dalla politica degli insulti a quella dei contenuti. Ha contribuito sicuramente a inasprire il clima l’esclusione delle liste del Pdl: nel Lazio questa tornata elettorale è caratterizzata da un vulnus della democrazia. E’ stato messo in discussione un principio costituzionale che è il diritto di voto. Tutto questo per un formalismo più che per un vizio di forma. Ho apprezzato comunque il coraggio, la determinazione e l’ottimismo della Polverini che lo stesso è andata avanti».

 

I presidi rispondono alla Gelmini: con 1000 euro a scuola che si fa?
Il Messaggero
Roma (24 marzo) - Lo stanziamento annunciato dal ministro Gelmini di 10 milioni di euro per le spese ordinarie delle scuole non tranquillizza affatto i dirigenti scolastici che ritengono la cifra «irrisoria, insignificante e inutile».
«Vorrei sfidare qualsiasi dirigente d'azienda a gestire la propria impresa a risorse zero», afferma il presidente dell'Anp (Associazione Dirigenti e Alte Professionalità della Scuola), Giorgio Rembado al quale non è piaciuto affatto che il ministro dell'Istruzione abbia tirato in ballo la capacità gestionale dei dirigenti. «Dissento totalmente. La situazione che sta a monte della decisione di molti presidi di chiedere alle famiglie un contributo - spiega - è l'urgenza di far fronte a un vero dissesto finanziario. Le scuole non hanno avuto alcun euro per il loro funzionamento. La cosa è cominciata nel 2000 ma nel 2008 siamo arrivati all'azzeramento totale di risorse».
Quanto ai 10 mln di euro annunciati dal ministro, considerando che in Italia le scuole sono circa 10.500, si traducono, calcolatrice alla mano, in neppure 1.000 euro a istituto. «Una scuola con 800, 1.000 alunni e 150 unità di personale con 80 euro al mese ci fa ben poco. E dunque anche se fosse vero l'impegno del ministro a stanziare quella cifra le scuole dovranno continuare a chiedere soldi alle famiglie per senso di responsabilità e per non chiudere». Oppure continuare ad arrangiarsi come già tanti istituti fanno: affittando le aule per set cinematografici, le palestre o i laboratori di informatica a esterni oppure affidandosi alla dea bendata attraverso lotterie e 'gratta e vincì. «Espedienti - fa notare Rembado - che forse sono peggio delle lamentazioni di cui parla il ministro. Anch'io valuterei negativamente la richiesta di contributi alle famiglie nel caso, però, che lo Stato si assumesse le sue responsabilità. Così non è e allora... a mali estremi estremi rimedi».

 
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