L’esperienza e il libro
Dall’ufficio all’officina la scelta che gratifica
Avvenire – 29 aprile 2010
Resiste in Italia una generazione di persone capace di risolvere qualsiasi (o quasi) piccolo problema pratico: dal lavello che perde al muro da stuccare, al pedale della bicicletta che gira male. Si tratta in genere di persone di una certa età cui hanno insegnato che nella vita bisogna arrangiarsi a saper fare un po’ di tutto.
Ma è un patrimonio (anche culturale) che rischia di disperdersi, in parte perché il lavoro manuale gode di scarso apprezzamento sociale, in parte perché molti 'prodotti' sono costruiti in modo tale da renderne incomprensibili i meccanismi di funzionamento e quindi difficoltosa l’eventuale riparazione 'in proprio' (provate ad aprire il cofano di un’auto di recente fabbricazione: chi trova il carburatore è bravo).
Queste considerazioni sono alla base di un libro di Matthew Crawford: «Il lavoro manuale come medicina dell’anima» (Mondadori, 17,50 euro). Il volume è un inno al lavoro manuale, inteso come professione, ma anche come abilità a farsi le cose da sé, mettendo in campo le proprie risorse individuali. L’autore, per evidenziare la bellezza e le soddisfazioni che offre un’attività manuale (contrapposte alle frustrazioni, spesso, generate da quelle meramente intellettuali), racconta la sua storia: dai primi lavori come elettricista, alla laurea in filosofia politica a Chicago, dall’assunzione in un centro di studi politici di Washington, fino alla decisione di togliersi giacca e cravatta per aprire un’officina meccanica in Virginia, dove ancora oggi ripara motociclette.
Scrive Crawford: «Quando vedo una motocicletta che, arrivata pochi giorni prima col carro attrezzi, lascia la mia officina muovendosi sulle sue ruote, improvvisamente non mi sento più stanco, anche se sono rimasto in piedi sul pavimento di cemento tutto il giorno». E ancora, a proposito del suo lavoro nella capitale: «Ero sempre stanco e non riuscivo a capire la logica in base alla quale riscuotevo uno stipendio: quali beni tangibili, pratici stavo producendo? Questo senso di inutilità era deprimente. Mi pagavano bene: tuttavia mi pareva di ricevere, più che un salario, una sorta di 'risarcimento' ». (M. Cer.)
Lavoro manuale, lavoro di testa.
Secondo una rilevazione di Confartigianato, l’Italia ha «il primato europeo per numero di imprenditori e lavoratori autonomi under 40».
Avvenire - 29 aprile 2010
di Mauro Cereda
«Due secoli orsono, Kant ebbe a osservare: 'La mano è la finestra della mente'. La scienza moderna ha fondato la propria fortuna su quell’osservazione. Di tutti gli arti umani, la mano è quello che compie i movimenti più svariati, movimenti che possono essere controllati a nostro piacimento. La scienza ha cercato di spiegare come quei movimenti, nonché le varie modalità di prensione e il senso del tatto, influiscano sul pensiero»: Richard Sennet, nel suo saggio 'L’uomo artigiano' (Feltrinelli, 25 euro), ha messo bene in evidenza il legame tra la mano e la testa.
Nell’essere umano «viaggiano insieme». Eppure in pochi se ne rendono conto. I lavori manuali non hanno lo stesso appeal di quelli intellettuali. Questione di immagine, soprattutto. Nella società moderna una mansione (presuntamente) intellettuale, ancorché ripetitiva, parcellizzata, spersonalizzata, è più apprezzata di una manuale.
«I ragazzi – osserva Marco Colombo, presidente nazionale dei Giovani imprenditori di Confartigianato – non prendono volentieri in considerazione l’idea di svolgere una professione manuale. Al riguardo ci sono tanti pregiudizi. Il lavoro manuale è associato alla fatica, alla sporcizia, a qualcosa di dequalificante. In realtà oggi le piccole aziende artigiane operano con la tecnologia, fanno ricerca, innovazione di prodotto.
Forse tocca anche a noi comunicare meglio com’è cambiato questo mondo. Dobbiamo fare un’operazione di marketing ».
L’indagine Excelsior di Unioncamere e ministero del Lavoro evidenzia che, anche nel 2009, tra le figure più ricercate dalla imprese e più difficili da reperire ve ne sono molte alla voce 'operai specializzati': falegnami, ebanisti, meccanici collaudatori, tappezzieri e materassai, intonacatori, gioiellieri e orafi, installatori di infissi e serramenta, fabbri, lattonieri, vetrai, pittori e stuccatori, parchettisti, pavimentatori, saldatori, panettieri, sarti e via dicendo. Non semplici manovali, dunque. In sostanza è più facile trovare un ingegnere che un parrucchiere.
«In linea di massima – spiega Pietro Taronna, responsabile del progetto Isfol-Orientaonline – da parte dei giovani non c’è un atteggiamento positivo verso il lavoro manuale, che è visto come dequalificato e poco apprezzato socialmente. Tuttavia, a causa della crisi, qualcuno potrebbe prendere in considerazione l’idea di indirizzarsi verso mansioni di questo tipo. A maggior ragione se questa fase di difficoltà dell’economia perdurerà nel tempo. Monitorando sul nostro sito i percorsi di ricerca per aree di interesse, abbiamo rilevato che nel 2009 e all’inizio del 2010 ai primi posti ci sono i profili che hanno a che fare con le persone, quindi attività di relazione. I lavori manuali sono in sesta posizione su 29 possibilità , un risultato tutto sommato non così negativo».
Un osservatorio interessante è quello relativo alla formazione. I dati del ministero dell’Istruzione sulle scuole statali dicono che nell’anno scolastico 2009/2010 gli istituti professionali (quelli verso cui si indirizzano i giovani, tendenzialmente, destinati a svolgere un lavoro manuale) contano complessivamente quasi 548mila iscritti, superati solo dagli istituti tecnici (863mila) e dai licei scientifici (593mila). Prendendo in esame periodi diversi, si nota che tra il 2003 e il 2008, le iscrizioni al primo anno alle scuole professionali sono rimaste sostanzialmente stabili, attorno alle 145-146mila unità . Agli istituti statali bisogna poi aggiungere i percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale (Ifp), in gran parte gestiti a livello regionale.
Il ministero ha rilevato che i frequentanti sono passati dai circa 25mila dell’anno scolastico 2003/2004 agli oltre 142mila di quello 2008/2009. Un bel balzo in avanti, ma dove finiscono tutti questi studenti? Difficile dirlo perché il rapporto tra mondo della formazione e del lavoro è controverso.
«Bisogna creare una maggiore sinergia tra scuola e imprese – insiste Colombo – da un lato per far conoscere meglio agli studenti la realtà dell’artigianato, la sua evoluzione; dall’altro per aiutare la scuola a costruire percorsi professionali più in linea con le esigenze delle aziende. Oggi ognuno va un po’ per la sua strada e dalle aule escono troppe figure che non trovano sbocchi o giovani che quando arrivano sul mercato del lavoro non sanno fare quasi nulla.
Nonostante la crisi, il mercato offre diverse opportunità di impiego, il problema è che mancano i profili richiesti. Stiamo parlando di circa 20mila posizioni: tornitori, fresatori, carpentieri, piastrellisti…». Il governo sembra intenzionato a raccogliere l’allarme. La proposta di anticipare di un anno (da 16 a 15) il limite di età in cui si può cominciare a lavorare attraverso il sistema dell’apprendistato dovrebbe andare in questa direzione. Ma qual è la bellezza del lavoro manuale (qualificato)? Chi se ne intende evidenzia gli aspetti legati alla creatività , alla possibilità di mettere in luce le proprie capacità e di realizzare qualcosa di concreto. Una ricerca pubblicata dall’Istat nel 2008 ha rilevato che una delle due principali competenze richieste a chi svolge una professione manuale è l’abilità a «risolvere problemi imprevisti» (l’altra era «selezionare gli strumenti»). Detto in altri termini, l’attitudine ad usare la testa. Resta poi l’opportunità di mettersi in proprio. Non sono pochi i giovani che dopo avere imparato un mestiere a bottega hanno aperto una piccola impresa.