Apprendistato necessario per evitare dispersione


 

Il ripristino dell’apprendistato a 15 anni è legge

Ed è subito scontro, miope e inconcludente

di Alessandra Cenerini

ADI – 25 ottobre 2010

Dopo un iter molto travagliato, durato due anni, il Ddl Collegato sul Lavoro è stato approvato in via definitiva il 19/10/10. Il comma 8 dell’art. 48 ripristina l’apprendistato a 15 anni, così come era stato normato dal Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, attuattivo della legge Biagi (legge 14 febbraio 2003, n. 30). Quell’articolo, come noto, era stato modificato sotto il ministero Fioroni dalla Finanziaria 2007 (articolo 1, comma 622 della legge 27 dicembre 2006, n. 296), che specificava che l’eta’ per l’accesso al lavoro veniva elevata da quindici a sedici anni. Va anche ricordato che quell’innalzamento fu  decisamente respinto  sia dalla provincia autonoma di Bolzano, sia da quella di Trento, dove vige una lunga positiva tradizione di apprendistato che facilita la transizione dalla scuola al lavoro.

Come era del tutto scontato, secondo un copione che si ripete identico da moltissimi  anni, questa norma ha sollevato lo sdegno e le proteste della CGIL, dei Democratici e di tutta la sinistra, ancorata all’idea che solo la scuola tradizionale sia formativa. Quella scuola che espelle un numero impressionante di giovani, e che lo stesso centrosinistra si è dimostrato  incapace di cambiare (basti pensare allo scempio fatto con l’istruzione professionale nella legge 40/2007).  Così all’incapacità del governo di costruire un qualificato settore tecnico professionale fa da contraltare un’opposizione fumosa e inconcludente.

Non intendiamo alimentare polemiche, ma fare parlare i numeri.

SULLA SCUOLA:  DATI  ISTAT 2010

Dal Rapporto annuale  sulle situazione del paese  nel 2009 presentato dall’ISTAT  il 26 maggio 2010, ricaviamo questo quadro:

1.                  oltre due milioni di giovani (il 21,2 per cento dei 15-29enni) risultano fuori dal circuito formazione-lavoro, cioè non lavorano e non frequentano alcun corso di studi (Not in education, employment or training, Neet); una situazione che “rende questo insieme di persone a forte rischio di esclusione sociale.(….) più si protrae la permanenza in questo stato tanto più difficile si dimostra il successivo inserimento nel mercato del lavoro e nel sistema formativo”

2.                  l’Italia si distingue negativamente nel contesto europeo per la quota di early school leavers (giovani che abbandonano precocemente  gli studi senza aver conseguito un diploma di scuola secondaria superiore), pari al 19,2 % nel 2009, oltre quattro punti percentuali in più della media europea e nove punti al di sopra del valore fissato dalla strategia di Lisbona;

3.                  il 12,2 per cento del totale degli iscritti al primo anno abbandona il percorso d’istruzione non iscrivendosi all’anno successivo e un ulteriore 3,4 per cento lascia gli studi alla fine del secondo anno;

4.                  Il 7,7 per cento degli iscritti alle scuole secondarie superiori nell’anno scolastico 2008/2009 ha ripetuto l’anno di corso (il 10,3 per cento se si considerano gli iscritti al primo anno), con percentuali più elevate per le scuole a indirizzo tecnico e professionale.

SUL LAVORO : DATI DEL RAPPORTO 2010 EXCELSIOR-UNIONCAMERE

A fianco della situazione sopradescritta si scopre, da uno studio della Confartigianato elaborato sui dati del Rapporto 2010 Excelsior-Unioncamere e reso noto il 22 ottobre 2010, che mancano installatori di infissi ( è di difficile reperimento il 90% del fabbisogno), panettieri (60%), pasticceri (56,5%), sarti (56,5%), falegnami (46,8%) ecc…(v, tabella sottostante).

Complessivamente per le aziende italiane nel 2010 è difficile reperire il 35,2% di operai specializzati, una carenza superiore del 6% rispetto allo scorso anno.Questi dati impongono una sola domanda: “E’ possibile  che queste due situazioni, che vedono da un lato dispersione, abbandoni e NEET (giovani fuori dalla scuola e dal lavoro) e dall’altro una crescente carenza di manodopera qualificata non riescano ad incontrarsi?

Non è forse da qui che bisogna ripartire?
Cosa fanno le regioni?
Che si fa dell’orientamento?
Se si escludono le province autonome di Trento e Bolzano e la regione Lombardia, non ci risulta che ci sia un impegno ad affrontare seriamente questi temi.

L’apprendistato in Italia non è mai decollato, è una delle gravi carenze del nostro sistema formativo.

In Svizzera il 60 % di una coorte di età segue, dai 14 anni, un percorso di formazione in alternanza scuola-lavoro, e non è sfruttamento, ma un percorso prestigioso.

Non è forse ora, dunque, che si smettano  stantie polemiche ideologiche, che nulla hanno a che fare con un’istruzione equa e giusta, e si cominci a costruire una seria formazione in alternanza?

Il prestigio di un percorso scolastico non dipende da dove inizia ma da dove finisce.
E l’apprendistato può portare oggi alla qualifica, e la qualifica dà accesso al diploma quadriennale e  a quello quinquennale, consentendo di proseguire nell’istruzione tecnica superiore o  all’università. E’ questa rete di percorsi che va realizzata, abbattendo compartimenti stagni, attivando più vie per arrivare alla meta, intersecando spazi e tempi che possono articolarsi lungo l’arco della vita.

Gli esempi, anche in Italia, di un buon apprendistato non mancano, bisogna impegnarsi su questo fronte e smettere di demonizzare la cultura del lavoro.

Apriamo gli occhi sul fatto che tanti adolescenti non sopportano più la vita scolastica, hanno bisogno di essere trattati da adulti, a fianco degli adulti nel mondo del lavoro.

La grande sfida è ricomporre formazione e lavoro attraverso un nuovo apprendimento esperienziale: un lavoro debitamente tutorato e una formazione motivante, capace di impartire le necessarie competenze chiave e un’adeguata formazione tecnico professionale.

A sostegno dell’esigenza di un impegno forte sull’apprendistato riportiamo alcune affermazioni contenute nello SPECIALE RAPPORTO APPRENDISTATO del giugno 2009.

In esso si legge:

“La mancata regolamentazione di una forma di apprendistato specifica per un’utenza di minori (Apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere) rischia di generare un’ulteriore spinta verso una contrazione nel numero di minori assunti come apprendisti, che rappresentano ormai solo il 6,5% degli apprendisti occupati, a vantaggio del reclutamento di questi giovani con altre forme contrattuali meno tutelanti, soprattutto dal punto di vista formativo.

Nell’ambito degli accordi di rinnovo contrattuale le parti contraenti hanno difficoltà a definire una disciplina per gli aspetti di competenza in mancanza di un quadro normativo di riferimento.

Si consideri, invece, che esiste un bacino di utenza aggiuntivo a quello dei circa 40 mila adolescenti attualmente occupati con un contratto di apprendistato, ovvero quei 110 mila ragazzi 14-17enni che in base ai monitoraggi svolti dall’Isfol risultano fuori sia dai percorsi scolastici che da quelli della formazione professionale.
Per almeno una parte di questi adolescenti si potrebbe efficacemente garantire l’espletamento del diritto-dovere attraverso tale forma di apprendistato.

Ad oggi, per la maggior parte dei minori l’apprendistato è ancora e solo un contratto di lavoro, per il quale è molto limitata la possibilità di assolvere all’obbligo di formazione esterna. Infatti, nonostante sia istituito il diritto-dovere all’istruzione e formazione per i ragazzi fino a 18 anni, nel 2006 hanno partecipato alle attività di formazione esterna poco più di 8.800 apprendisti minori i, scesi nel 2007 a 6.500 circa.
La formazione esterna quindi raggiunge una quota modesta di adolescenti che espletano il diritto-dovere di istruzione e formazione in apprendistato (circa 20%),  e talora le attività formative organizzate coprono solo una parte del percorso obbligatorio di 240 ore.”

Un ulteriore campanello che ci dice, che occorre intervenire, anziché perdersi in pseudodispute ideologiche.

Vogliamo concludere con l’intervista rilasciata da Chiara Saraceno a Repubblica

Gli artigiani non si trovano, perché?

«Perché non è facile che un diplomato alle magistrali si riconverta subito in idraulico. Ai giovani non vengono date le giuste informazioni, gli istituti tecnico-professionali , eccellenze a parte, non sono in grado di preparali in maniera adeguata e poi le famiglie non spingono di certo i figli al lavoro manuale»

Come diceva la canzone “Contessa” «anche l´operaio vuole il figlio dottore»?

«Sì, ma questo è lecito. Il problema, semmai, è che il dottore, a tutti i costi, non vuole un figlio operaio. Per coprire la domanda bisogna prima di tutto dare riconoscimenti a queste figure»

Le imprese hanno qualche responsabilità in proposito?

«Sì, perché l´apprendistato invece di essere considerato un momento di crescita è interpretato solo come un contratto che permette alle imprese di contenere i costi del lavoro. E forse le associazioni di categoria potrebbero fare qualche sforzo per essere più innovative».

Ma non solo le associazioni di categoria! Dove sono le Regioni? E non sono solo i genitori a disprezzare il lavoro manuale,  la scuola non è senza responsabilità. Chi orientiamo all’istruzione e formazione professionale al termine della terza media? Sempre e solo quelli che consideriamo, secondo i nostri parametri, i “somari”.

 
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