Occupazione giovanile: il crollo, specie nei mestieri


Un giovane su tre non trova lavoro. È allarme
Peggiora la situazione per i più giovani: il 29% di chi cerca impiego resta a spasso. È il dato più alto dal 2004, cioè da quando viene rilevato
Disoccupazione stabile all’8,6%. Record negativo per gli «under 24». Più posti alle donne

Avvenire – 2 febbraio 2011 - Roma

di Nicola Pini
L a disoccupazione giovanile rag­giunge in Italia un nuovo prima­to negativo. A dicembre ha toc­cato il 29%, la quota più alta dal 2004, anno di inizio delle serie storiche del­­l’Istat. In un quadro di stagnazione del­la situazione occupazionale comples­siva, il dato conferma che è tra i più giovani che si concentrano gli effetti più negativi della crisi. Tra i minori di 25 anni c’è il triplo di senza lavoro che nell’intera popolazione attiva. Il tasso generale di disoccupazione a dicem­bre è stato infatti dell’8,6%, stabile ri­spetto a novembre e in crescita dello 0,2% rispetto a un anno prima. Per gli «juniores» l’indice è salito lievemente (+0,1%) su novembre ed è balzato di 2,4 punti sul dicembre 2009, passan­do appunto dal 26,4 al 29%. E ora qua­si un giovane su tre è senza lavoro.
La nuova rilevazione dell’Istituto di statistica segnala un ulteriore peggio­ramento in un quadro già molto pe­sante. I giovani sono stati il primo ber­saglio della recessione economica, perché tra loro il lavoro precario è mol­to più diffuso (i primi a saltare sono stati i contratti di natura temporanea) e perché sono meno protetti dalla cassa integrazione, che ha permesso invece a di­verse centinaia di mi­gliaia di lavoratori di ri­manere formalmente oc­cupati nel biennio della crisi. Una recente ricerca stimava in oltre due mi­lioni i giovani che non studiano e non lavorano, bloccati in un limbo di i­nattività. In effetti in Ita­lia il divario occupazio­nale tra giovani e adulti è tra i più accentuati della Ue. A dicembre secondo Eurostat la disoccupazione generale nella zona euro è al 10% (stabile su novembre) mentre quella giovanile è al 20,4%. Con il nostro 29% siamo così al terzo posto tra i Paesi della moneta unica, dopo il catastrofico 42,8% della Spagna e il 37% della Slovacchia Questione giovanile a parte, i dati del­­l’Istat non spingono all’ottimismo ma registrano che il crollo del lavoro si è bloccato. L’indice di occupazione a di­cembre era al 57%, lo stesso dato di novembre e lo 0,1% in più del dicem­bre 2009. Stabili anche gli inattivi a quota 37,6%. I disoccupati sono 2 mi­lioni 146mila, 11mila in meno che un anno prima. E il tasso di disoccupa­zione femminile con il 9,6%, segna u­na riduzione dello 0,3 nel confronto mensile e annuale.
Il ministro Maurizio Sacconi sottoli­nea che «la caduta dell’occupazione si è fermata» e l’indice italiano resta qua­si un punto mezzo al di sotto della me­dia europea. Ma, avverte il responsa­bile del Lavoro, il ritorno alla crescita «non è sempre accompagnato da nuova occupazione» perché «le in­certezze sulla ripresa contraggono le nuove assunzioni» e le aziende scel­gono semmai di aumentare le ore la­vorate anche con un minore ricorso a­gli ammortizzatori sociali.
Le Acli sottolineano il «pesante» ritar­do dell’Italia rispetto ai Paesi europei nell’occupazione giovanile e chiedono una «diffusa ed efficace riqualificazio­ne delle competenze» per valorizzare il capitale sociale e agganciare la do­manda di lavoro, superando il pregiu­dizio nei confronti del lavoro manua­le e della formazione professionale. C’è infatti una contraddizione tra la crescente disoccupazione dei giovani, il saldo occupazionale in crescita per gli immigrati e l’ampia gamma di pro­fessioni ricercate dalle imprese, ma non reperibili sul mercato, spiega il re­sponsabile lavoro Acli Maurizio Drez­zadore. Dalla Cisl Giorgio Santini par­la di una «pericolosa situazione di stal­lo » evidenziata dall’Istat, nella quale i problemi strutturali del mercato del lavoro si aggravano e richiedono una «sempre più urgente un’azione straor­dinaria per l’ingresso dei giovani». La Cgil con Fulvio Fammoni sollecita «un piano straordinario per l’occupazione e lo sviluppo».

 

Le aziende italiane cercano commessi, baristi e parrucchieri
Avvenire – 2 febbraio 2011 - Roma

Stipendi bassi, lavoro precario, prospettive grame: per molti giovani il presente è avaro e il futuro pieno di incognite. Eppure nonostante il 29% di disoccupazione sotto i 25 anni, ci sono molte aziende che cercano figure professionali che non trovano. L’elenco è lungo ed è contenuto nel rapporto Excelsior di Unioncamere: tra i mestieri richiesti ci sono infermieri, cuochi, esperti di marketing, farmacisti, informatici, ma anche meccanici, grafici, commessi, educatori professionali, parrucchieri, baristi e, naturalmente, idraulici.
In tutto, secondo l’ultima indagine, sono 150.000 i posti disponibili che non vengono coperti per il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, Soprattutto le figure artigiane saranno fra le più richieste in futuro: falegnami, sarti, imbianchini, stuccatori.

 

Bolzano "isola felice" con il modello tedesco

Il Sole 24 Ore - 2 febbraio 2011

di Pizzin Mauro

I[ caso/t. Funziona la collaborazione tra scuola e impresa Bolzano «isola felice» con il modello tedesco Mauro Pizzin ama Forte collegamento tra mondo della scuola e dell'economia, cultura del lavoro manuale, vivo interesse per mestieri altrove snobbati. Sono questi gli ingredienti del successo ottenuto in Alto Adige sul fronte del lavoro giovanile.

Quell'8,9% di disoccupati giovani che spinge Bolzano ai vertici nazionali è figlio di un sistema di formazione professionale collaudato nel tempo dalla provincia autonoma, che sulla materia hacompetenzaprimaria. «Perrimanere competitivi- spiega l'assessore al Lavoro, Roberto Bizzo - bisogna puntare su un'elevata .istruzione generale, ma anche rendere interessanti per i giovani le discipline tecniche». Punto di forza dellaformazione altoatesina è il sistema duale - radicato in Austria e Germania - attraverso cui ad una approfonditapreparazione tecnica impartita in azienda viene associato l'insegnamento nelle scuole professionali L'apprendistato, in particolare, garantisce sbocchi interessanti: secondo un'indagine provinciale, un anno dopo la fine degli studi i138% dei giovani lavora nell'impresa in cui si è formato, il 32% ha trovato occupazione in un'altra azienda, mentre il restante 3o% si trova spesso solo in stand-by per il carattere stagionale del lavoro scelto. Nell'anno scolastico 2009-lo sono stati 8.910 gli altoatesini che hanno scelto la formazione professionale, di cui 5.339 impegnati nei corsi a tempo pieno e 3.571 in quelli di apprendistato, «in lieve calo - sottolinea il direttore del Dipartimento al lavoro della provincia, Andrea Zeppa - nell'ultimo decennio». Centrale è il ruolo delle imprese. «In Alto Adige - evidenzia i] presidente di Assoimprenditori, Stefan Pan - esiste una rete capillare di rapporti che lega economia e scuola Penso alle visite in azienda, piuttosto che alla Giornata dell'industria organizzata nelle scuole. Ma penso soprattutto al sistema duale, grazie a cui anche l'impresa fa scuola e i giovani entrano prima in contatto con il mondo del lavoro, prendendo fiducia nei loro mezzi». Pan ritiene che il tasso di disoccupazione giovanile sia destinato a scendere ulteriormente. Evidenzia, anzi, la mancanza di personale altamente qualificato in numerosi settori. Una considerazione, questa, che tirainballo anche la Libera Università di Bolzano, la quale ha solidi legami con Assoimprenditori Interessante, sul fronte della collaborazione, è il modello di studio denominato "studenti in attività", applicato nella facoltà di Scienze e tecnologie e diventato una best practice a livello nazionale. Il programma offre la possibilità di alternare periodi di studio in ateneo ad altri di lavoro remunerato in azienda sotto la supervisione di un tutor. «Come ateneo - spiega il presidente della Libera Università di Bolzano, Konrad Bergmeister - puntiamo su una preparazione di alta qualità e plurilingue: uno dei motivi, questo, per cui i nostri laureati trovano subito impiego».

 

Confartigianato: educhiamo i giovani alla fatica
150 mila posti vacanti nelle imprese artigianali mentre aumenta la disoccupazione giovanile

Tuttoscuola - 2 febbraio 2011

I dati sulla disoccupazione giovanile (uno su tre in Italia e uno su due al Sud), commentati in questi giorni con preoccupazione da vari esponenti politici, fanno registrare una dichiarazione controcorrente da parte del presidente della Confartigianato, Giorgio Guerrini.

Intervistato da Avvenire, Guerrini parla di paradosso italiano, perché mentre la disoccupazione giovanile aumenta, si registrano 150 mila posti “manuali” vacanti.

Serve una rivoluzione culturale - dichiara il presidente di Confartigianato - che educhi i giovani al lavoro, alla fatica, che faccia capire che i mestieri manuali costano sudore, ma danno grandi soddisfazioni”.

Contro gli allarmanti dati dell’Istat sui giovani disoccupati (quasi il 30%), Guerrini punta il dito contro la “demonizzazione” del lavoro che “ha allontanato i giovani da quelle figure professionali (sarti, falegnami, tessitori, panettieri) che poi restano vacanti (sono 150 mila i posti liberi)”.

Nelle 700 mila imprese artigiane del nostro Paese il 26,7% del fabbisogno occupazionale nel 2010 non è stato soddisfatto, nonostante vi sia la prospettiva di buona remunerazione e nell’85% dei casi la trasformazione dei contratti di apprendistato a tempo indeterminato dopo tre anni.

Secondo Giannini, occorre una rivoluzione culturale che recuperi il valore della manualità, contro l’idea sbagliata del guadagno facile al termine di percorsi umanistici.

Il lavoro è fatica, è sudore. Insegniamo questo ai nostri ragazzi.”: ha detto Giannini.

Il rappresentante di Confartigianato, citando anche il modello tedesco che porta l’impresa a scuola da subito, propone in Italia - in alternativa alla situazione esistente - un percorso in tre passaggi: una fase formativa nella scuola di base, un adeguato orientamento, il rilancio dell’apprendistato.

 
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