Dibattito/Nuova formazione docenti dalla teoria alla pratica


La formazione? Non è solo teoria.

Il decreto. Numerosi problemi accompagnano il provvedimento che disegna i nuovi tirocini

Avvenire - 25 febbraio 2011 

Con il DM 249 del 10.9.2010, entrato in vigore dal 15.2.2011, dovrebbe iniziare il nuovo sistema di formazione dei futuri insegnanti, tutti tenuti a cinque anni di percorsi universitari unicamente disciplinari, oltre ad un anno di tirocinio (che solo per i futuri maestri è compreso nei cinque d’università), da realizzarsi in collaborazione con le scuole statali e paritarie. Nelle scuole che si convenzioneranno con le Università, tramite gli Uffici Scolastici Regionali, per il tirocinio si dovrà individuare un tutor tirocinante

Affinché tutto il nuovo sistema possa partire occorrono ancora numerosissimi provvedimenti intermedi, tali da far dubitare che da settembre coloro che già insegnano senza abilitazione possano iniziare a frequentare i nuovo Tirocini attivi.

Il sistema approvato contiene ancora, a parere di molti, diversi problemi: il ruolo delle scuole nella preparazione del neo docente è molto limitato e quasi tutto è ancora deciso dalle Università; il peso che l’esperienza di tirocinio ha nella valutazione finale del neo docente è troppo limitato rispetto alla preponderanza della preparazione disciplinare; i presidi ed i colleghi anziani che vedranno il docente all’opera nelle scuole del tirocinio non avranno peso nel giudizio finale di abilitazione; la stessa durata del tirocinio è tra le più basse rispetto agli altri paesi europei.

Insomma: una formazione iniziale che resta quasi tutta basato sullo studio teorico, quando tutti sanno che (senza nulla togliere al valore di una buona cultura) ad insegnare si impara … insegnando, sottoponendo costantemente l’esperienza attiva a riflessione critica rispetto ai metodi utilizzati.   Tra l’altro, affinché questo possa avvenire occorre che sia dia spazio reale alla dimensione “cooperativa” dell’insegnare, poiché osservazione, azione, ricerca,  riflessione critica e metodologica non sono alla fine atti individuali, ma forme di comune ricerca.

Resta il sospetto che questo ritorno a cinque anni di studi disciplinari scaturisca solo dalla reazione all’eccessivo “didatticismo” dei decenni della programmazione. Questo preoccupa specie nella preparazione delle future maestre della scuola dell’infanzia e della primaria, dove tutto si può dire fuor che per insegnare siano indispensabili il diritto e l’astronomia. 

DM 249 a parte, per un rinnovamento così cruciale della professione docente, restano tutti da affrontare altri problemi collegati: il reclutamento, ancora legato nello Stato alle interminabili graduatorie provinciali; la nuova revisione delle discipline che i futuri docenti potranno insegnare, ancora bloccate a rigide separazioni (perché mai un docente laureato in filosofia e storia non può insegnare geografia ?); la mancanza di diversità nelle figure docenti, come se l’unica necessità sia solo andare in cattedra (in Francia nella formazione iniziale si preparano i documentalisti); il mancato inserimento della futura nuova professione in un nuovo quadro di scuole autonome e libere, come già sono spesso le scuole paritarie.

Poiché non si è scelto di delineare per legge il futuro insegnante, questi non avrà davanti alcuna possibilità di carriera (vicedirigenti, coordinatori didattici, orientatori, ecc.), da percorrere tramite capacità e merito personali, oggetto di effettiva valutazione.

Valutati rimangono solo gli alunni.

Resta poi tutt’ora disattesa ogni forma di preparazione iniziale per passare alla dirigenza, alla quale sia nello Stato che nella scuola paritaria si arriva direttamente dall’insegnamento, senza “allenare” nuove competenze e capacità, diverse dall’insegnamento.

Se un vero insegnante è colui che possiede in prima persona non solo un bagaglio culturale, ma soprattutto una  propria ipotesi educativa, con la capacità di praticarla in quel misterioso atto che è la relazione, queste capacità non si acquisiscono su libri.

Mi pare che la futura professione docente resta ancora conchiusa in un orizzonte individualistico, quello che oggi di fatto la caratterizza.  Ne è esempio concreto il fatto che dalla gestione della formazione universitaria sono escluse le Associazioni professionali dei docenti e dirigenti. Sarebbe come (fatte le debite differenze) se i vari ordini professionali non avessero alcuna parola nella preparazione dei propri aspiranti.

I neo docenti e presidi, arrivando in una scuola, di fatto si inseriscono in una “comunità professionale” alle quali appartenere, nella quale sviluppare ricerca oltre che insegnamento, verso le quali assumere ed esercitare delle responsabilità, dentro le quali continuare ad imparare in un “apprendimento permanente”, che non è mai atto solitario.

La professione docente è vocazione alla comunicazione di sé ed alla relazione con l’altro, dove, alla fine, la verifica non consiste negli insegnamenti erogati ma nel livelli di formazione raggiunti e di apprendimento acquisiti dagli allievi.

Roberto Pellegatta – preside di Istituto Professionale e presidente DiSAL

 
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