Prospettive/Card. Scola: le nuove virtù della vita civica


Segnaliamo alcuni brani di una recente intervista al card. Angelo Scola che propongono imteressanti prospettive di una azione civile fortemente personalistica. Il fare e il gusto al lavoro, l’amicizia, la presenza non egemone, la gratuità, la bellezza, la convenienza della verità, la libertà fatta di legami, la presenza sociale sono temi che propongono una dimensione dell’agire civile profondamente umana.

Virtù, gratuità e amicizia. Così rinasce la vita civica

Avvenire - 21 novembre 2011 – M. Tarquinio e F. Ognibene

Intervista esclusiva a Scola

(…)  Come essere all’altezza del compito della presenza cristiana oggi ?

Il punto è questo: prendere coscienza che noi siamo, per dono dello Spirito, il 'segno' e lo 'strumento', come si legge in Lumen Gentium, della contemporaneità di Cristo. Perché, come Kierkegaard ha acutamente affermato, solo chi mi è contemporaneo mi può salvare. Il non esserne sempre coscienti genera un 'fare' carico di generosità, ma spesso frammentato e, quindi, difficilmente comunicabile. Se si perde la consapevolezza di questo punto originario che garantisce l’unità dell’io e della comunità, l’azione ecclesiale rischia di ridursi a erogare 'servizi'. La frammentarietà è un’insidia molto pericolosa.  

Vede un eccesso di attivismo?

Il problema è dove poniamo il baricentro del 'fare': sull’organizzazione o sull’esperienza di un rapporto – quotidianamente rinnovato – con Gesù e con i fratelli? A volte è come se ci fosse una strana reticenza a comunicare Colui che ci muove, che è il Signore. La testimonianza dev’essere umile, ma è inesorabile. Non si può essere tiepidi. Ci sono però fronti del 'fare' in cui la novità dell’io cristiano è prorompente. Penso, soprattutto, alla condivisione delle fragilità e del dolore. Lì il cuore dell’esperienza cristiana s’impone quasi da sé, perché in quelle condizioni si sperimenta la forza della fraternità tra gli uomini che Gesù ha suscitato nella storia.

Che cosa rende convincenti i cristiani oggi?

La via della testimonianza che scaturisce dall’esperienza di relazioni profonde, costitutive, che esaltano la libertà e passa attraverso un modo di raccontarsi nel quotidiano quasi incontenibile e aperto a tutti. Qui sta il movente reale dal quale partire ogni mattina. Siamo appassionati alla missione, cioè al comunicarsi pieno di gratitudine di ciò che gratuitamente ci è stato dato. Non cerchiamo l’egemonia sulla società: i cristiani non sono gli agit-prop di un’azienda che devono vendere un marchio. Siamo gente che – per grazia di Dio e al di là di limiti, fragilità e peccati – ha scoperto il gusto della vita. E questo inesorabilmente tende a comunicarsi.

Appena arrivato a Milano, lei è andato incontro alla città nel corso di quattro incontri tematici con altrettante realtà vive, e poi l’ha invitata a casa sua, in Duomo, per le Messe delle domeniche d’Avvento. Che cosa sta incontrando di questo dialogo?

Ho trovato mondi stimolanti, una città cosciente di essere sul proscenio europeo e mondiale. Ho voluto che il primo incontro fosse con chi opera negli ambiti della fragilità perché su questo fronte si vede il grado di civiltà di una società. Ho sottolineato l’unità della persona perché produce l’unità degli ambiti e dei mondi in cui vive e opera. La frammentarietà è la causa di tanti inconvenienti anche a livello sociale. Invece la vera genesi di una società civile, come diceva Aristotele, è la filìa, l’amicizia civica. Ne abbiamo bisogno più che mai, in questo tempo di grave affanno. Per arrivare a una amicizia civica di questo tipo serve buon governo a tutti i livelli, dalla famiglia al condominio, dal quartiere alla città, dal Paese all’Europa.

Unità, amicizia civica, buon governo: come ci si riappropria di queste categorie nel concreto?

Il Papa nella Caritas in veritate indica la necessità di allargare la ragione politica, economica, culturale attraverso la logica del dono, del 'gratuito'. Ma, attenzione, il gratuito non è ciò che è 'gratis'. Il gratuito è pensare, fare, realizzare un’opera perché è buona in sé, perché è bella in sé. Anteponendo il valore oggettivo dell’opera in sé e per sé all’utile o all’interesse che se ne può ricavare. L’utile e l’interesse hanno certo la loro importanza, ma prima viene la cosa in sé. La filìa e il buon governo fioriscono da questa dimensione gratuita del civile, del sociale, del politico, del culturale. È questo che rende unita, feconda e virtuosa una società perché introduce una dimensione veritativa nella relazione di cittadinanza. Se una città lucida come Milano sottovaluta questa idea del gratuito, non riuscirà a sprigionare tutto ciò che ha dentro in termini di risorse e prospettive.

Lei ricorda spesso che oggi le persone – i cittadini, i credenti – stentano a rimettere insieme le dimensioni della propria vita. Qual è il motivo profondo di questa sua preoccupazione?

La frammentazione dell’io accentua l’inconveniente della post-modernità che consiste nella caparbia affermazione di una identità personale individua e isolata, per cui i legami sono sentiti come un’obiezione alla libertà, mentre sono una condizione della nostra libertà. È questo che i cristiani propongono nella sfera civile, perché è la loro esperienza normale. Ed è la prima 'politica' che sono chiamati ad attuare.

Come si rigenerano relazioni che sembrano a volte tanto logorate da apparire irrecuperabili, anche nella comunità cristiana?

L’uomo si muove veramente solo per convinzione. Domandiamoci per un istante: cosa davvero mi persuade? Mi persuade il percepire con chiarezza che la sequela di Cristo mi 'conviene', che seguendo Cristo sono più compiutamente uomo: amo, lavoro, condivido, ho sete di giustizia e di pace, vivo tutto, persino la morte, in maniera diversa. Che questa sia la strada per invertire la rotta ce lo documentano i martiri, come Bhatti, il cristiano pakistano ucciso mentre difendeva la libertà dei suoi fratelli, o il priore di Tibhirine. Da dove è venuta loro quell’energia che li ha condotti fino al dono totale di sé? Dall’aver visto e toccato, nella fede, che questa prospettiva consente di vivere sin d’ora un’umanità potente, un anticipo di vita eterna. Più che mai nell’attuale frangente storico di transizione rapida e non senza traumi, i cristiani sono chiamati a passare da una fede per convenzione ad una fede per convinzione.  

E questo come si declina per la sua Milano?

Nel milanese, per esempio, si può ancora sperimentare il gusto del lavoro di cui parla Péguy: è il lavoro in sé che deve essere ben fatto, al di là del suo valore di mercato. Si percepisce che esso consente di creare una trama di relazioni tendenzialmente buone con gli altri e col creato. Ma se il lavoro è vissuto in maniera separata dagli affetti, può anche assumere una fisionomia parossistica (il 'lavorismo', un difetto molto milanese). La persona ha bisogno di un centro: se c’è, tutte le dimensioni vitali si dipanano armonicamente e, anche quando entrano in tensione, non spezzano mai l’unità dell’io.

Anche in questo senso la Chiesa resta un punto di riferimento per la sua risposta alla grande questione irrisolta del nostro tempo, che è quella educativa. Come si rende persuasiva oggi la 'vita buona del Vangelo' cui sono dedicati gli Orientamenti della Chiesa italiana per il decennio?

Penso a comunità cristiane dove si possano invitare le persone, dicendo loro, come Gesù ai suoi: 'Venite e vedete'. Comunità che assecondino fino in fondo la realtà a partire dal dono che Gesù ci fa di sé, attraverso il quale ci rende fratelli. Nel mondo in cui viviamo questa non è un’affermazione statica, ma è sempre preceduta da un 'andare' – quello quotidiano di ciascuno di noi: a scuola, al lavoro, nel quartiere – ascoltando il bisogno dell’altro… Si tratta, per me cristiano, di invitare chi incontro nella comunità cristiana, che è casa mia. La Chiesa è una grande famiglia, non un’azienda.

Eppure,sui media e in certe polemiche, si tende a proporre proprio così l’immagine della Chiesa, come una sorta di 'azienda' tra le altre, meno convincente e popolare di altre…

Quello italiano resta un cristianesimo di popolo. Non è una mera questione di chiese più o meno piene, ma di riconoscere che larga parte del nostro popolo è ultimamente riferita alla grande tradizione cristiana. Il punto è come accompagnare modalità diverse di partecipazione a una appartenenza piena alla Chiesa: quella dell’impegnato che si coinvolge oltre la Messa festiva, quella del cristiano della domenica, di chi frequenta solo talune feste, di chi viene solo per un matrimonio, un battesimo, un funerale, di chi si sente cattolico ma ha perso la strada di casa. Il problema, oggi, è come irrobustire anche la più esile pianticella. Sono convinto che questa azione ecclesiale abbia inevitabilmente un influsso benefico sulla società civile. Nella storia di Milano è stato sempre così. Bisogna forse tornare a capire che non è anzitutto la legge a fare un cittadino in senso pieno, ma la virtù. San Tommaso diceva che lo scopo della legge è educare a vivere secondo virtù.

Recentemente lei ha parlato di un Paese 'esausto': da cosa può riprendere energia?

Alla vita civica sono necessari atteggiamenti virtuosi. Altrimenti anche il sacrosanto discorso su moralità e legalità si scontra con la strutturale fragilità umana. Occorre tornare alla sostanza virtuosa della vita personale e associata, a uno stile di vita in cui ogni atto sia posto secondo tutta la pienezza di bellezza, bontà e verità che gli è propria.

E sul piano pubblico, su cosa si può fare perno?

Qui mi aiuta Venezia: tutta la laguna è punteggiata dalle 'brìcole', grandi pali solidi che delimitano i canali dove le imbarcazioni possono navigare senza insabbiarsi. Ecco: noi abbiamo bisogno di qualcosa di solido per orientarci, di riferimenti certi, a partire dalle relazioni primarie costitutive: la famiglia, la città, il quartiere, la parrocchia... In questo – voglio sottolinearlo – l’Italia ha un indubbio vantaggio: la nostra società civile è certamente la più ricca d’Europa.

Se ne sono accorti coloro che fanno di questa nostra realtà un modello: la big society…

Già, non esiste popolo che come il nostro dia vita in continuazione a realtà associate a tutti i livelli. Bisogna continuare, pazientemente, a costruire dal basso, in modo che la politica torni a essere se stessa, cioè a governare e non a gestire la società civile.

Nell’omelia del suo ingresso a Milano ha parlato del 'mestiere di vivere' che schiaccia 'uomini e le donne delle generazioni intermedie'. Che cosa intendeva dire?

Mi preoccupa che le generazioni intermedie, dai 20 ai 60 anni, siano come sparite dalla vita ecclesiale, e spesso da quella civile, perché oppresse dall’affanno del quotidiano, dai ritmi di lavoro, dalle ferite affettive. Normalmente queste persone non sono contrarie alla fede, ma non vedono più che cosa c’entri con la loro esistenza. Ecco perché l’azione della Chiesa deve spingersi negli ambienti di vita, tra le persone. La parrocchia resta centrale, perché è la 'chiesa' tra le case, ma non possiamo più aspettare le persone sotto il campanile.

(…)

 
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