Cinquant'anni fa il trasferimento del prete «stonato» nella parrocchia sperduta che grazie alla sua scuola diventò mondiale
Barbiana: così Milani divenne Priore
Si fa presto a concludere che «Dio scrive diritto anche sulle righe storte». Ma quel pomeriggio di pioggia, coi carabinieri in piazza per scansare tumulti, un vecchio camion carico di masserizie e un pianoforte che suonava la toccata e fuga in re minore di Bach, erano in pochi a credere a una romanza a lieto fine. D'altronde - si dirà - la storia delle parrocchie è zeppa di trasferimenti «punitivi» di giovani preti molto amati, o di paesi in cui si alzano le barricate al fine di evitare la partenza non voluta del parroco. Che poi quel 7 dicembre 1954, a San Donato di Calenzano, il sacerdote in via di trasloco si chiamasse don Lorenzo Milani non cambia i valori in gioco: mica potevano sapere allora, i ragazzi della scuola popolare, che senza il dolore di quel taglio ombelicale non sarebbe mai nata la scuola di Barbiana; con ciò che ne consegue. Sono passati 50 anni da quel pomeriggio presto in cui il giovane vicario Milani, che stava a San Donato già da 7 anni (diluviava anche il giorno in cui arrivò), salì sul camion che doveva condurlo alla nuova parrocchia: una canonichetta sperduta sul monte Giovi in Mugello e tenuta aperta praticamente solo per lui, che non era stato ritenuto abbastanza affidabile per succedere al vecchio prevosto e anzi fu definito dal santo arcivescovo Elia Dalla Costa «una campana stonata che deve essere isolata». Promoveatur ut amoveatur, dunque, secondo un solido costume. Promosso parroco sì, il don Milani che si era distinto per il pallino della scuola serale e l'assoluto rifiuto dei divertimenti sotto il campanile, anzi priore; però di una «chiesetta di montagna» fuori dal mondo, con attorno un cordone sanitario di campagna e solitudine. Insomma non tanto un «penitenziario ecclesiastico» (come qualcuno pure ha creduto), quanto un posto dove non si potesse più nuocere. «Sono decisissimo a non difendermi e a non lasciarmi difendere», aveva scritto don Lorenzo alla madre (lei - borghese - penava per quel figliolo che rischiava di non avere nemmeno un beneficio decente per campare) quando seppe che gente di San Donato era andata in Curia per chiedere il trasferimento del cappellano, considerato contiguo ai comunisti solo perché non si schierava apertamente con la Dc. Per i ragazzi della scuola popolare - invece - «l'allontanamento di don Lorenzo era una cosa tremenda». Ma alla delegazione che andò a chiedere un ripensamento, il cardinale Dalla Costa la mise sul piano della fede: «Voi siete cattolici? Allora io sono il capitano e voi i soldati. Io do gli ordini e voi obbedite». Anche un abboccamento col successore designato, teso a dilazionare la partenza, finì male: don Milani doveva partire il giorno stabilito. Così fu. Anzi, il priore andò di persona dal maresciallo per far ritirare i due carabinieri che erano stati mandati prudenzialmente in piazza («Non c'è bisogno perché so io come ho educato il mio popolo») ed esortò i suoi ragazzi ad aiutare il trasloco del nuovo parroco. Uno di quei giovani (che il 7 dicembre rifaranno lo stesso percorso Calenzano-Barbiana come una sorta di pellegrinaggio) rammenta quel giorno: «Don Lorenzo si era messo in testa un cappellaccio di paglia da contadini, forse per rendere meno triste il momento. Ce l'ho ancora davanti agli occhi, poco prima di partire, in piedi davanti al pianoforte, che era stato appoggiato provvisoriamente sotto le logge davanti alla scuola. Accanto a lui c'era un altro ragazzo e insieme suonavano a 4 mani l'unico pezzo di Bach che avevano imparato, toccata e fuga in re minore. Ebbi la sensazione che quelle note facessero da sottofondo alla mestizia che ci aveva tutti pervasi». A Barbiana non c'era nemmeno la strada. Il camion si dovette fermare a 500 metri dalla canonica «così la roba si bagnò tutta», ricorda l'uomo del trasloco. Don Lorenzo compì quel tratto dando il braccio all'anziana madre della sua perpetua e riparandola sotto l'ombrello. Entrò nella chiesetta, dove non l'aspettava nessuno, «pregò e pianse»; in casa non c'era acqua corrente né luce, ma del resto ci aveva abitato fin allora un altro prete... Due giorni dopo colui che da allora è noto come «priore di Barbiana» andò a comprarsi un posto al cimitero, quindi ricominciò a mettere in piedi una scuola. E quello che sembrava l'ultimo atto fu soltanto preludio. (Avvenire – 2 dicembre 2004 - Di Roberto Beretta)