Riforma secondo ciclo: le proposte di DiSAL


 

Di.S.A.L.-Dirigenti Scuole Autonome e Libere

Associazione professionale dirigenti scuole statali e paritarie – Ente qualificato dal Miur alla formazione

 

 

 

 

Valutazioni e proposte in merito allo Schema di D.L. per le norme generali del secondo ciclo (art. 1, L 53/03)

 

 

 

1. La riforma della scuola prevista dalla legge 53/03 è una buona riforma, che ha specie nel secondo ciclo la sua grande e moderna novità. Così com’è la si deve attuare “con urgenza e senza fretta” ! Ma proprio perché la riforma va attuata così come la legge 53 l’ha delineata, lo schema di decreto legge proposto per il secondo ciclo deve essere riscritto per essere veramente l’attuazione dello spirito originario della  legge. 

Di fatto il disegno di scuola secondaria di secondo grado delineato nello Schema è quello di una razionalizzazione irrigidita degli indirizzi di studio esistenti, sia per il sistema dei licei (che assorbirà  l’80 % della attuale popolazione scolastica),  sia per quello dell’istruzione-formazione, che viene di fatto mantenuto nelle condizioni attuali di minorità, di scuola di serie B.  Con la soluzione proposta nello schema la vera novità del sistema dell’istruzione-formazione viene abbandonata, accantonando la proposta originaria di riforma (Stati generali e spirito delle Legge 53), depotenziando e rendendo residuale il settore affidato alle Regioni, appunto come si configura oggi.

La scelta di liceizzare anche tutta l’istruzione tecnica e parte di quella professionale (gli istituti d’arte non sono citati negli art. 25 e 26), oltre ad essere deleteria sul piano formativo (spingendo l’85-90 % dei nostri giovani all’università come unico percorso terziario dell’istruzione),  segna di fatto il ritorno al Progetto Brocca ed alla proposta Berlinguer, abbandonando in questo modo la vera e unica novità di tutto l’impianto della riforma proposta originariamente dal Ministro Moratti.

E’ indubbio che la riforma il sistema secondario, ed in particolare per il sistema dell’istruzione-formazione, debba essere attuata nelle attuali condizioni dell’apparato amministrativo e delle Regioni, comportando quindi un notevole impegno culturale ed istituzionale.

Si tratta infatti di creare le condizioni per costruire negli anni un moderno sistema di istruzione e formazione tecnica-professionale: qualcosa che in Italia non esiste, sull’unico modello esistente in Europa, quello tedesco. Ciò non toglie che le motivazioni pedagogiche, socio-economiche e culturali che fondavano la scelta per i due sistemi di istruzione di pari dignità giustificavano abbondantemente il coraggio necessario allo sforzo.

 

 

2. L’attuale schema, nella scelta della liceizzazione totale e nella rigidezza di indirizzi e organizzazione didattica, disperde il grande patrimonio professionale degli istituti tecnici che neppure con gli indirizzi proposti salvaguardano la loro specificità.   Infatti gli indirizzi del liceo tecnologico, economico e artistico (letti unitamente ai quadri orari fatti circolare sulla stampa)  sostituiscono con 3 ore ad unico docente teorico le 15 ore mediamente dedicate ad attività di laboratorio nei trienni tecnici con l’ausilio di un insegnante tecnico-pratico. Sempre in quest’ottica è strano notare la scomparsa (tranne che nel liceo artistico) di ogni accenno in generale ai laboratori.  Così è già avvenuto in tecnologia nella secondaria di primo grado, privata di una seria cultura e prassi del lavoro manuale di cui ha vitalmente bisogno la nostra scuola troppo sbilanciata sulla tradizione umanistica.

Sulla spinta di forze sociali stranamente contrapposte, l’articolato sceglie di fare licei generalistici (o pre-professionalizzanti come si usava dire nei dibattiti attorno al progetto Brocca), credendo poi di caratterizzarli con una materia specifiche (es. marketing nell’economico).  Ne scaturiranno piani di studio e quadri orari  troppo rigidi per accogliere tutto il grande patrimonio professionale e formativo dell’istruzione tecnica e do molta istruzione professionale ante Progetto ’92.. L’unico modo invece di salvaguardare ed innovare questo grande patrimonio è quello di farne, tutto insieme, magari progressivamente, la pietra miliare per la costruzione di un moderno sistema dell’istruzione-formazione fino all’Istruzione Tecnica-Professionale Superiore, grande assente dal sistema scolastico italiano.

 

 

3. Altri aspetti che avvicinano il “disegno” di scuola superiore proposto a precedenti progetti sono l’eccessivo numero di discipline e l’alto numero delle ore, almeno stando sempre ai primi quadri orari ed ai documenti ufficiosi circolanti.  Questa scelta conduce a materie “filiformi”, ad infarinature generiche e, letta a partire dalla conoscenza dell’attuale situazione giovanile e delle scuole in genere,  comporterà l’inevitabile conclusione di abbassare gli standard’s finali di istruzione per poter permettere agli studenti di restare a scuola ed ai docenti di non aumentare la dispersione scolastica.  Si prepara cioè il destino seguito da quelle riforme che hanno creato un percorso di secondaria di secondo grado pressoché uguale per tutti: l’aumento della dispersione, l’abbassamento dei livelli di istruzione,  l’espulsione sociale delle situazioni giovanili di difficoltà.

La tendenza all’”intellettualismo formativo” si nota poi nella totale impossibilità di inserire nella quota oraria nazionale le attività di alternanza scuola-lavoro che sono assolutamente preziose anche nel sistema dei licei.

Seguendo la nefasta propensione ad aggiungere discipline teoriche, che ha caratterizzato progetti sperimentali passati, si giunge nei bienni mediamente a 14 materie (17 nel secondo biennio), con piani di studio quinquennali dalle 30 alle 36 ore, a fronte delle 9 discipline del liceo scientifico attuale, con piani di studio dalle 25 alle 30 ore quinquennali. 

Chi invece ha seriamente sperimentato ad esempio il progetto Brocca è giunto in pochi anni a ridurre fino a 11 materie ed a non più di 27 ore la media dei curricoli.

 

 

4. La riforma della secondaria di cui abbiamo bisogno  (come fu ai suoi tempi l’istituzione del liceo classico) deve avere il coraggio culturale di fare delle scelte che caratterizzino i singoli indirizzi e di confidare nella crescita di una cultura dell’autonomia nelle scuole.   Occorre individuare: 

-  le discipline indispensabili alla formazione di tutti (e fra questi non può esserci ad esempio il latino, il diritto, la geografia e l’economia), con il criterio consolidato nel classico “poche materie per molto approfondimento); 

-  le discipline indispensabili alla formazione nello specifico indirizzo  (e in questo si deve dare molto spazio ad una didattica laboratoriale) che le singole istituzioni scolastiche sceglieranno per caratterizzare la propria offerta sulla base della domanda formativa delle comunità locali; 

-  le discipline o attività scelte dai singoli studenti per completare una effettiva personalizza  dei piani di studio.

Più in generale (salvo perseguire scelte per ragioni di organico o sindacali come si fece per la precedente riforma delle elementari) e nel momento in cui si passerà alla scrittura delle Indicazioni Nazionali e degli OSA si dovrà tenere presente che gli indirizzi di studio vanno definiti per oggetti e non per obiettivi.   Sempre restando nel campo della caratterizzazione degli indirizzi, occorrerà riscrivere in modo più specifico e significativo le finalità del liceo classico e del liceo delle scienze umane, la cui stessa permanenza e specificità dovrebbe invero essere oggetto di riflessione.

 

 

5.  In merito ad alcune scelte di carattere didattico ed organizzativo riteniamo innanzitutto positiva la scelta del docente tutor anche nel secondo ciclo, con un chiaro accenno però alla “figura” che  alcuni docenti assumeranno e non ad una generica “funzione” esercitate da tutti, se non si vuole preparare la sua pratica fine sul tavolo della trattativa sindacale. 

Non risulta poi in alcun modo chiaro il senso della scelta di biennalità anche nel secondo ciclo: qui infatti la valutazione deve essere esplicitamente annuale, specie se si vuole adeguatamente favorire (soprattutto nei primi anni) i passaggi ed i riorientamenti.   In relazione a questi ultimi occorre (diversamente dall’art. 12) che le relative attività non siano residuali ma inserite nell’orario della quota nazionale dei piani di studio.

In merito al vincolo del minimo di frequenza (art. 13), pur condividendone la motivazione, riteniamo migliore sul piano formativo e didattico lasciare la scelta alle scuole ed alla loro autonome valutazioni.

La scelta di mantenere l’esame di stato sostanzialmente nella configurazione attuale ne perpetua la sua inutilità. Perché non identificare invece come  “esame di stato finale”  un percorso di valutazione delle conoscenze e competenze gestita dal consiglio di classe e attuata negli ultimi mesi di scuola anche sulla base di prove nazionali predisposte dall’INVALSI, attribuendo alo scrutinio dell’ultimo anno la funzione di valutazione e certificazione finale con la presenza di un commissario esterno ?

Riteniamo infine molto positiva la possibilità di reclutare esperti qualificati (art. 20),  ma sulla questione occorre con coraggio ampliare l’autonomia di reclutamento dei docenti da parte degli istituti.

 

 

6. L’articolato suscita inoltre un’amara delusione, specie se ci si confronta con le attese suscitate dalla legge delega e con le scelte del ciclo primario o della secondaria di primo grado: lo spazio lasciato all’autonomia didattica ed organizzativa delle istituzioni scolastiche invece di crescere (proprio per la caratteristica di dialogo con i giovani e con il territorio che il secondo ciclo deve rafforzare) si limita a 3 ore settimanali (e 6 all’ultimo anno).  Una scelta  di retromarcia totale incomprensibile rispetto al processo (pur timido) avviato dalla Bassanini e dal Regolamento dell’autonomia (i cui riferimenti persino mancano nel testo), ma anche alla necessità di caratterizzare l’offerta formativa di indirizzo, di dare spazio maggiore alla personalizzazione dei piani di studio.

Una scelta contro la ripresa di qualità dell’istruzione di cui si è discusso di fronte ai dati dell’OCSE-Pisa, che, non a caso, hanno mostrato come i sistemi scolastici con più altri livelli di preparazione sono quelli con maggiori spazi di autonomia (la scuola superiore finlandese arriva al 40 % del curricolo). Dove va a finire la possibilità della personalizzazione dei piani di studio ?   Occorre invece, sul sistema dei licei, accrescere oltre il 30 % le opzioni disciplinari caratterizzanti gli indirizzi ed al 10 % le opzioni fatte dagli studenti. Ugualmente occorrerà, nel decreto attuativo della formazione e del reclutamento degli insegnanti, intervenire a ridurre fortemente la rigidità delle classi di abilitazione per permettere una assunzione sulle competenze reali.

 

 

7. Negli articoli che definiscono il passaggio alle Regioni degli istituti professionali (25 e 26) si opera una inutile e dannosa forzatura legislativa, inserendo provvedimenti di carattere amministrativo-gestionale in una legge di carattere ordinamentale.  E’ sicuramente meglio delineare nel decreto con chiarezza il sistema di scuole che si vuole avviare e lasciare tutto il problema della gestione della scuola ai provvedimenti della riforma del Titolo V.

Occorre invece prevedere che, a fronte di un più coerente disegno dei sistemi previsti dalla legge 53, siano le singole istituzioni scolastiche (in accordo con la programmazione provinciale) a scegliere la propria caratterizzazione formativa, indicando anche (come già chiedemmo come associazione negli Stati Generali della scuola del 2001) l’idea di “campus” come forma organizzativa di un istituto del secondo ciclo che possa comprendere, in una organizzazione unitaria, sia  il sistema dei licei e quello dell’istruzione-formazione.

 

 

Per le ragioni brevemente elencate e per un serio interesse ad attuare presto e bene la riforma avviata con la legge 53, DiSAL chiede la correzione dello schema di decreto in modo più conforme alla lettera ed allo spirito della legge stessa oltre che alla proposta culturale scaturita dagli Stati Generali della scuola del 2001.

 

 

 

Osservazioni sull’attuale testo e (dove possibile) proposte di modifica

 

 

Art. 1

c. 5 la flessibilità dei passaggi comporta la verifica delle modalità di accertamento della preparazione per non mandare allo sbaraglio gli studenti

c. 6  positiva la valorizzazione di esperienze esterne, occorrerà precisare l’incidenza di questi crediti sulla valutazione, per non ripetere il vuoto formalismo degli attuali crediti  formativi dell’esame di stato

 

Art. 2

c. 2  la positiva scelta per un ultimo anno come momento di approfondimento di indirizzo (vedi modello tedesco) si gioca tutta nello spazio di autonomia della scuola e nella caratterizzazione di indirizzo precedente. Invece di fatto il tutto sembra ridotto a 3 ore settimanali, al pari di una disciplina di studio.
c. 4 purtroppo il permanere dell’esame di stato finale mantiene molte delle distorsioni attuali sul valore effettivo del titolo di studi conseguito (v. anche art. 14)

 

Art. 3 

Il quadro orario proposto comporta per gli attuali licei classici e scientifici un aumento in prima del 20 % dell’orario. Se poi si aggiungono le 3 ore opzionali l’aumento è del 32 % dell’orario attuale. Un esempio della scelta contraria di quella fatta nel ciclo primario.

 

Art. 4

c. 3 i laboratori si limitano alla sola materia di indirizzo impoverendo la stessa novità del primo ciclo del laboratorio come possibilità didattica esperienziale. La conferma di questo depotenziamento didattico stà nell’assenza di riferimenti a laboratori nei licei senza indirizzi.

 

 

Artt. 4, 6, 10

Sono gli articoli che scelgono per la soluzione “Brocca” della riforma della secondaria, svuotando in tal modo tutta la novità del sistema dell’istruzione-formazione professionale.  

In generale nessun articolo dei licei accenna alla valutazione o certificazione di attività di alternanza scuola lavoro o stages di lavoro durante l’attività didattica.

 

Art. 11

Forse è il caso di ripensare seriamente la stessa presenza del liceo delle scienze umane, vista la seria difficoltà vissuta dagli attuali “licei sociali” o “socio-psico-pedagocigi” soprattutto dopo il trasferimento a livello universitario o parauniversitario di tutte le specializzazioni sociali, sanitarie ed educative.

 

Art. 12 

c. 2  (come art. 1 c. 5) non viene chiarita la valutazione di queste attività di preparazione al passaggio ad altri indirizzi come se bastasse la semplice partecipazione alle stesse.

c. 4  concludere con “con attività attuate all’interno della quota nazionale del piano di studio”

 

Art. 13

c. 2 togliere il riferimento al minimo di frequenza per affidare la giusta importanza della valutazione della stessa alle autonome valutazioni didattiche delle singole scuole.

c. 3 L’applicazione al secondo ciclo della bocciatura di fatto ogni due anni renderà più difficile un serio lavoro ricerca di percorsi personali e di riorientamento, che dopo due anni di studi diventa sempre più difficile, salvo che la differenza disciplinare di indirizzi sia talmente leggera da rendere quindi inutile l’esistenza della differenza stessa.

 

Art. 14

c. 1 l’esame di stato finale non valuta le “conoscenze” ?

 

Art. 15

c. 6 perché l’anno di passaggio dagli istituti quadriennali di formazione all’università non prevede l’attuazione di intesa anche con i licei ?

 

Art. 25

c. 1 (con l’art. 26 c. 1)  sancisce in maniera chiara che nel sistema di istruzione-formazione ci vanno soli gli istituti professionali. E gli istituti d’arte ?  In questo modo (unitamente alla precisa attribuzione di funzioni alle Regioni in materia di personale docente di cui all’art. 26 c. 2  ed alla altrettanto precisa assenza di attribuzioni di tali funzioni per il personale docente dei licei) si sancisce (in assenza di un’ipotetica modifica costituzionale)  la suddivisione dei docente in due categorie o meglio il solo passaggio dei docenti degli istituti professionali alle Regioni.

 

 Art. 26

da abrogare in quanto attua una misura di carattere amministrativo in una legge di carattere ordinamentale.

 

 

 

 

 
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