Gli insegnanti: almeno il 60% dei ragazzi non segue i consigli orientativi
Famiglia Cristiana – 10.12.2013- Maria Gallelli
Non ascoltati o dimenticati. E' questa la fine che, nella maggior parte dei casi, spetta ai suggerimenti degli insegnanti sul tipo di scuola da intraprendere. Gli allievi non sempre gli danno molto peso. Parla una professoressa che da 31 anni segue da vicino questa fase del percorso scolastico.
In 31 anni trascorsi alla scuola media come docente di Lettere, Mirella Tecchio ne ha viste davvero tante. «Ho sempre lavorato a Milano, spesso con classi complesse e ragazzi disorientati, qualcuno molto in difficoltà. Me ne viene in mente uno in particolare - ambiente socio culturale deprivato da ultimo modello di cellulare e soldi di dubbia provenienza- che avevamo indirizzato verso una scuola di formazione professionale per grafici e orafi, pratica ma molto calibrata sulla sua voglia di fare arte e sulla sua incapacità di reggere le materie teoriche. I genitori l’anno invece iscritto al liceo artistico: penso che si ritirerà».
Se ne perdono tanti per strada anche perché non sempre ci si lascia guidare: «Almeno il 60% non ascolta e non segue il consiglio orientativo: o cambia tipologia di scuola o la sceglie senza però mantenere l’indirizzo suggerito. Gli stranieri si affidano di più. Come il gruppo di ragazzi cinesi che l’anno scorso la mia collega ha accompagnato in visita alla scuola superiore. Li ha presentati ai responsabili dell’istituto, hanno seguito alcune lezioni e poi lei stessa ha fatto l’iscrizione on line, complicata per le famiglie: tutti hanno ascoltato l’insegnante». Ma più spesso i consigli orientativi, dopo veloce lettura, vengono dimenticati: «Non da alcune scuole superiori però, dove sono determinanti per l’accesso. Sicuramente al liceo vengono ben guardati e lì si inquadra il ragazzo proprio in base al tipo di scuola a lui consigliato, indipendentemente anche dai voti».
Come si arriva ad orientare? «Dopo tre anni insieme in classe, conosciamo bene i nostri allievi, le loro attitudini, anche i loro desideri e quelli della famiglia. Poi, in modo particolare dall’inizio del terzo anno e fino al mese di gennaio, si dedica almeno un’ora settimanale a fare “orientamento”: letture, riflessioni, discussioni, produzioni scritte dove emergono i desideri sul proprio futuro. Quindi si fanno conoscere bene le scuole attraverso esperti che vengono in classe, visite negli istituti, campus, open day: il ragazzo sceglie. Ma se la scuola individuata da lui non è a nostro avviso così adatta cerchiamo di proporgli altro, di motivare e far capire, di spiegare alla famiglia. Si prova anche a indirizzare verso scuole non lontane, possibilmente di zona, perché svegliarsi alle 4 per frequentare alle 8 rende gli allievi già stanchi prima di iniziare».
Si valuta a tutto tondo: «Anche da parte di genitori attenti che motivano il cambio di rotta. Se si consiglia un istituto professionale invece che un tecnico o un liceo, la famiglia che ha cura per il proprio figlio, nonostante si renda conto che realmente non ha gli strumenti per affrontare una scuola più impegnativa, a volte dice: “La scuola che mi ha consigliato l’ho vista, siamo stati all’open day, ma l’utenza è problematica e il mio ragazzo può essere traviato dai compagni di classe: preferisco mandarlo al tecnico, in un ambiente sano, anche a costo che perda un anno e ne faccia poi due in uno, piuttosto che in una scuola sicuramente più adatta a lui ma troppo problematica dal punto di vista comportamentale”. E il discorso non fa una piega. Se buone scuole di formazione esistono, bisogna andare a cercarle, e una più “protetta” pagando la si trova, per gli istituti professionali è diverso: sono quasi sempre statali, vengono indirizzati lì i ragazzi con difficoltà di tutti i tipi, spesso con problemi, e si formano classi numerose con molti allievi con difficoltà di apprendimento. Una prima con una decina di ripetenti crea notevoli disagi ai più piccoli». Poi, in una grande città, conta il quartiere: «La famiglia valuta anche se la zona intorno è mal frequentata e si può incontrare gente pericolosa».
Non si cambia, quindi, solo per inseguire il mito del liceo o per eccessiva valutazione delle capacità? «C’è chi sopravvaluta il proprio figlio e chi ritiene che il liceo sia l’unica scuola degna di lui, molti di meno però rispetto agli anni passati. L’istituto tecnico dà un diploma spendibile, richiede un’ottima preparazione di base soprattutto in matematica e all’interno contiene anche i licei scientifici tecnologici, senza il latino. A Milano c’è una scelta vastissima di Istituti tecnici buoni e le famiglie li guardano con occhi diversi oggi. Lo scientifico e soprattutto il classico richiedono una mole di studio notevole, bisogna essere molto motivati e ben predisposti».