Bertagna: serve istruzione e formazione tecnica di qualità.


Il componente della commissione ministeriale dei saggi spiega gli obiettivi delle secondarie.

di Alessandra Ricciardi

Italia Oggi – 25 gennaio 2005

La riforma della secondaria? È ancora da fare. Il decreto presentato al dibattito con le parti sociali è aperto al contri­buto di tutti. Ci sono dunque spazi di miglioramento, non è quella la stesura definitiva, che pure presenta «spazi di novità di assoluto valore, indispensa­bili per dare competitività al paese». Ne è convinto Giuseppe Bertagna, direttore del diparti­mento di scienze della persona di Bergamo e componente della commissione di saggi che ha messo a punto la proposta di rimodulazione degli istituti se­condari superiori. Proposta sul­la quale poi il ministero ha la­vorato arrivando alla stesura della bozza di decreto.

«Non capisco le reazioni ne­gative di alcuni. La bozza di de­creto è appunto una bozza, e dunque migliorabile. Ma ha una logica di fondo che non può oggi non essere condivisa: offrire ai giovani italiani un'istruzione e una formazione professionale di qualità», dice Bertagna.

«L'emergenza italiana è la scarsa qualità della formazione. Nel resto del mondo sviluppato, il 60-70% dei giovani sceglie un canale professionalizzante, pa­rallelo all'università e di pari di­gnità e utilità nella ricerca di un lavoro. In Italia non è così. E non si capisce come si possa punta­re a una maggiore competitività del sistema paese senza una preparazione adeguata delle nuove generazioni nei settori che contano».

Domanda. Una delle accuse che viene rivolta a questa rifor­ma è che appunto non garanti­sce una pari dignità dei due ca­nali, promuovendo a licei, che gravitano nell'orbita statale, le esperienze migliori degli istituti tecnici e lasciando il resto al­le regioni.

Risposta. Non si può ragio­nare in termini di sepa­razione, come se stato e regioni fossero en­tità opposte e non invece due sponde che sono chiamate a in­tegrarsi. È importante che i li­cei mantengano un carattere di liceizzazione della cultura, che significa garantire una prepa­razione classica, con un giusto peso del latino e della filosofia, per accedere all'università. E poi dall'altro canto rafforzare l'istruzione e la forma­zione tecnica, dal pun­to di vista qualitati­vo e quantitativo. Una formazione. adeguata deve du­rare almeno sette­-nove anni, analo­gamente al per­corso di chi sce­glie prima il liceo e poi l'uni­versità.

            D. Eppure il lati­no nei licei, per esem­pio, è stato ridimen­sionato.

            R. Nel do­cumento di lavoro offer­to ai sinda­cati nel pri­mo incontro ma non nella bozza di de­creto che è stata resa nota qual­che giorno dopo. I passi in avan­ti sono stati già fatti.

D. Se la volontà è di rafforza­re la formazione tecnica, perché gli istituti tecnici sono ingloba­ti nei licei?

R. La formazione e l'istruzio­ne professionale si muoveranno all'intero di un sistema educa­tivo che sarà unitario, e dunque non c'è da temere nessun impo­verimento. Dopo trent'anni in cui l'unico obiettivo è stato quel­lo di liceizzare tutte le scuole, con un appiattimento verso il basso dei tecnici, ora non sarà più così. I licei faranno il loro percorso, l'istruzione e la for­mazione professionale il loro. Con standard minimi di qualità che consentiranno anche il passaggio da un ca­nale all'altro, se dovessero esserci ripensamenti rispetto alla scelta originaria.

D. Per quattro licei sono pre­visti 15 indirizzi. Non sono un po' troppi?

R. Il decreto lascia aperta la porta a una razionalizzazione anche degli indirizzi.

D. Il decreto prevede che il nuovo sistema parta dal set­tembre 2006. In mezzo ci saranno anche le elezioni politi­che. I tempi sono sufficienti per­ché la riforma parta davvero?

R. È una riforma sostanziale non di facciata. E dunque ri­chiede tempo perché sia attua­ta. Portare per esempio l'istruzione e la formazione professionale a sette e poi nove anni si­gnifica fare un lavoro sui pro­grammi e sulla strutturazione dei percorsi, che coinvolge an­che il personale docente, imma­ne. Ci vuole tempo e stabilità. Ora, però, bisogna partire.

 
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