Scuola lavoro: troppo complicato assumere gli studenti


D'Onghia: «Le imprese scoraggiate dalla burocrazia» «Abbiamo un tasso di formazione universitaria da terzo mondo».

Avvenire -  04-03-2014  - P.Ferrario

 “Abbiamo un tasso di formazione universitaria da terzo mondo”. Se ancora fossero necessarie conferme circa i non buoni rapporti tra sistema delle imprese e dell'istruzione, basterebbero queste parole di Guido Carena, presidente di Manageritalia, associazione che rappresenta i manager del terziario privato.

Secondo uno studio di Astraricerche, soltanto il 21,7% dei 30-34enni italiani è in possesso di una laurea, peraltro spesso poco funzionale alle attuali esigenze del mondo del lavoro. Siamo ultimi nell'Europa a 27 (media 35,8%) e ben lontani dai paesi più virtuosi e nostri principali concorrenti (Regno Unito 47,1%; Francia 43,6%; Germania 31,9%).

E sulla drammatica disoccupazione giovanile è intervenuto anche il direttore generale del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, al Global forum di Bilbao. «In molti paesi - ha  detto Lagarde - la disoccupazione rimane inaccettabilmente alta, specialmente tra i giovani. Un giovane europeo sotto i 25 anni su quattro cerca un lavoro e non riesce a trovarlo».

Riuscirà un Cavaliere del lavoro, nominato Sottosegretario all'Istruzione, a fare (finalmente) dialogare imprese e mondo della scuola?

Si gioca tutta qui dentro, la sfida che si appresta ad affrontare Angela D'Onghia, senatrice dei Popolari per l'Italia, con una lunga carriera nell'azienda di famiglia, la Nocese Manifatture di Noci (Bari), che oggi riceverà le deleghe dal ministro Stefania Giannini. «Quando mi hanno comunicato la nomina a sottosegretario e il ministero che mi era stato assegnato dice ho subito pensato che cosa c'entrassi io con la scuola e l'istruzione. Poi ho capito che avrei dovuto mettere in gioco la mia esperienza di imprenditrice per migliorare proprio il rapporto tra questi due mondi, ancora troppo distanti. Una lontananza che non fa bene alla scuola, non fa bene all'impresa e, soprattutto, non fa il bene dei nostri giovani». Lo dicono due dati: il tasso di disoccupazione giovanile arrivato al 42,4%, numero che il premier Renzi ha definito «allucinante» e la drammatica difficoltà delle aziende a trovare personale qualificato. L'anno scorso, secondo il rapporto Excelsior di Unioncamere, 47mila posti di lavoro non sono stati coperti per mancanza di candidati adeguati.

Signora sottosegretario, come si esce da questo cortocircuito?

Da imprenditrice, dico che la prima cosa da fare per favorire il dialogo tra scuola e impresa è tagliare la burocrazia. Oggi, per un piccolo imprenditore, un artigiano, categorie che rappresentano più del 90% delle aziende italiane, organizzare uno stage o assumere un giovane per un breve periodo, ad esempio durante le vacanze estive, è complicatissimo.

Ha avuto esperienza diretta?

Certamente. Per un certo periodo, nella nostra azienda abbiamo tentato di far entrare ragazzi delle scuole, ma abbiamo dovuto rinunciare. Un giorno, mi ha chiamata il direttore del personale sconsigliandomi di andare avanti perché era troppo oneroso per l'azienda. Ecco, questo va assolutamente cambiato.

Per lo studente, qual è il valore aggiunto dell'esperienza in azienda?

Il confronto con il mondo del lavoro rende i ragazzi più curiosi e desiderosi di migliorarsi, di imparare cose nuove. L'approccio con l'organizzazione dell'impresa durante il periodo di formazione scolastica, arricchisce il bagaglio personale e aiuta il ragazzo a farsi conoscere e apprezzare. E quest'ultimo aspetto è importante soprattutto in chiave di impiego lavorativo futuro una volta terminato il ciclo di studi.

Ma come è possibile, con la crisi e la penuria di lavoro, che non si riescano a coprire 47mila posti? Che cosa va migliorato sotto questo aspetto?

Quando si dice che impresa e scuola devono dialogare di più, significa anche che la scuola deve conoscere le esigenze delle aziende del territorio, per formare le figure professionali che effettivamente sono richieste. Se questo non avviene, si arriva al paradosso di non riuscire a coprire posti di lavoro per mancanza di candidati. Uno spreco che non ci possiamo permettere.

È successo anche nella sua azienda?

Purtroppo si. È capitato di aver bisogno di determinate figure e di non riuscire a trovarle.

Ce n'è una, in particolare, di cui l'Italia è carente?

Sì e si tratta, per esempio, degli export manager. Da noi è difficilissimo trovarli eppure sono richiestissimi. Ma questo è soltanto uno degli aspetti di un problema molto più vasto, che ho messo in cima all'agenda che discuteremo con il ministro.

 
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