Scuola migliore se si valutano i prof
Corriere della sera.it 18.03.2014 - Attilio Oliva*
Caro direttore, recentemente il Governo ha varato un regolamento (Dpr 80) per dare luogo, anche nel nostro Paese, a un Sistema nazionale di valutazione per la scuola. Esso prevede che per il momento debbano essere valutate tre cose: le singole scuole, i loro presidi-dirigenti e, attraverso i test nazionali dell’Invalsi, gli apprendimenti degli studenti.
Manca qualcosa secondo voi? Dove si parla degli insegnanti? Da nessuna parte, naturalmente, per la nota opposizione sindacale. Se i ragazzi sono più o meno motivati ed interessati all’apprendimento sembra che la responsabilità sia di altri: i dirigenti, gli ispettori, il sistema... Allora perché perder tempo a scoprire se i singoli insegnanti sanno fare il loro mestiere? Si dovrebbe però ricordare che sia i presidi-dirigenti delle scuole che gli ispettori del futuro Sistema nazionale di valutazione sono per legge reclutati tra i docenti. Non sarebbe allora utile per prima cosa individuare gli insegnanti più apprezzati dalla comunità scolastica in cui operano e in seconda battuta scegliere fra questi chi dovrà dirigere le scuole e chi dovrà valutarle? Non è forse giunto il momento, e le prime dichiarazioni del nuovo ministro Giannini ce lo fanno sperare, di lasciarci alle spalle quella allegra «fattoria degli animali» di orwelliana memoria che è la scuola italiana dove tutti sono uguali per definizione e di riconoscere e valorizzare quelli «più uguali» degli altri?
È ormai dimostrato che i risultati delle scuole possono differire molto tra loro anche se operano negli stessi ambienti socio-economici. Ciò significa che l’ambiente non è una condizione rigida che stabilisce preventivamente il destino di ogni studente: buoni insegnanti riescono a compensare almeno in parte i deficit che derivano da condizioni famigliari difficili. È evidente allora che la differenza di qualità fra le scuole è determinata dagli insegnanti e dalla dirigenza. Ciò nonostante da molti decenni si reclutano i presidi-dirigenti (sono 8.000, inamovibili una volta nominati) senza prima verificare sul campo le attitudini alla leadership. E si reclutano gli insegnanti per lo più con sanatorie di varia natura che privilegiano l’anzianità di servizio come supplenti senza alcuna valutazione sulla professionalità dimostrata. A noi sembra irresponsabile quella società che non cura come dovrebbe i suoi educatori e non dà riconoscimenti di alcun genere a quelli notoriamente più apprezzati dalla comunità scolastica. In ogni scuola, invece, questi dovrebbero essere usati come modelli e leader pedagogici per aiutare gli altri a migliorare (specie i più inesperti).
Va sottolineato che lo sviluppo professionale degli insegnanti è anche conseguenza della capacità della dirigenza di farli crescere in un ambiente di lavoro stimolante, collaborativo e con forte aspirazione al miglioramento continuo. In realtà ciò accade raramente e gli insegnanti sono per lo più lasciati soli, veri e propri autodidatti di fronte a una scuola di massa sempre più difficile da gestire. Tutte le ricerche dimostrano infatti che gli insegnanti chiedono a gran voce di aver un feedback sul loro operato sia da parte dei superiori che dei pari. Solo a queste condizioni la scuola potrà diventare una «comunità di apprendimento» per tutti.
Anche per l’Ocse questi sono i problemi nodali da affrontare perché, come sostiene, «nessun sistema scolastico può essere migliore della qualità dei suoi insegnanti».
*Presidente Associazione TreeLLLe
Giannini: “Rompiamo i tabù. Premiamo o puniamo i prof“
da Tecnica della Scuola – 23.03.2014 - di Pasquale Almirante
La ministra Stefania Giannini, intervistata dal Corriere, ribadisce la sue posizioni: “Dare ai meritevoli, ma sanzionare quelli che non garantiscono un livello minimo di qualità”. Ai dirigenti questo compito
“Se dobbiamo lavorare con la spada di Damocle delle sentenze dei giudici, sarà difficile migliorare i servizi scolastici. Ma non mi faccia dire queste cose, che poi mi licenziano”. Il riferimento della ministra è al concorso per presidi in Lombardia, alla sentenza del Tar, alle buste trasparenti e ai 360 dirigenti nel guado, anche se, noi aggiungiamo, non c’è stato mai un concorso, negli ultimi dieci anni, senza strascichi giudiziari: chi il responsabile? Ma posizioni di politica scolastica confermate anche in riferimento alle scuole private: “Lo Stato deve garantire la qualità dell’istruzione, ma ogni famiglia deve avere la possibilità di scegliere”, e sugli scatti: “Ribadisco con forza: solo in un sistema statico come il nostro l’anzianità è l’unico modo per valorizzare la figura dell’insegnante con un aumento dello stipendio”. “Premiare i più capaci, disponibili e preparati. I dirigenti scolastici dovrebbero avere l’autonomia per farlo e si dovrebbero assumere la responsabilità delle loro scelte. Un insegnante può essere premiato con un aumento dello stipendio, ma anche con il ruolo di coordinamento di un’area didattica”. E il motivo per cui non si è percorsa questa strada sta sempre nella eccessiva tutela dei sindacati: “I sindacati hanno sempre preteso di tutelare tutta la categoria: non si valorizza chi ha più merito, ma si dà a tutti una garanzia minima. Tanti iscritti garantiti allo stesso modo vogliono dire più potere del sindacato. I tempi sono maturi per cambiare”. “E il sindacato potrebbe rinnovare se stesso, diventando il garante e il custode della qualità del servizio degli insegnanti”. Quindi punire e premiare i docenti “da una parte i più meritevoli promossi con un premio di produttività…se può trovi un’altra espressione dato che questa non è molto amata. Dall’altra si dovrebbe infrangere un tabù…Anche con sanzioni, se non viene garantito un livello minimo di qualità”. Tuttavia il problema principe, e che fa tenere ai docenti premi e punizioni basati non sul merito ma su meccanismi clientelari, sta proprio sul “chi decide” e per Giannini a farlo deve essere “chi dirige un istituto e deve rendere conto della qualità dei servizi si dovrebbe prendere anche questa responsabilità. Gli strumenti per procedere ci sono già, ma è sempre mancata la volontà politica. Basterebbe seguire l’esempio delle università”.