Dibattito/Autonomia e dirigenza scolastica: un nesso inscindibile


Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo, anche tenendo conto di alcune diversità dalla visione della dirigenza espressa da DiSAL. Saremo grati a chi volesse proseguire il dibattito. (DiSAL)

 

L'autonomia e la dirigenza scolastica. Riflessioni

Ignazio Venzano, Genova   -    4 ottobre  2014

 

1.  Fare chiarezza sull’autonomia

 

Non è ancora del tutto chiaro, in Italia, se i presidi e i direttori di scuola sono davvero dirigenti. Dal 2000 lo dovrebbero essere, per legge, almeno quelli delle scuole statali. Ma fin dal primo contratto, firmato nel 2002, sono stati collocati in un’area separata (l’area V della dirigenza pubblica). E adesso anche il disegno di legge presentato dal Governo in discussione in Senato dal 3 settembre scorso (A.S. 1577) sulla riforma delle pubbliche amministrazioni, nega ai dirigenti scolastici l’appartenenza al ruolo unico dei dirigenti dello Stato e assimilati, benché la principale associazione di categoria, l’Associazione Nazionale Presidi, abbia da sempre rivendicato una completa assimilazione ai dirigenti dello Stato.

Vale la pena di cercare di capire se la mancanza di chiarezza è cattiva volontà del legislatore circa i presidi, oppure non sia la logica conseguenza della mancanza di chiarezza sull’intera governance del sistema scuola in Italia, che è anche confusione sull'autonomia delle scuole.

Chi scrive è convinto che il problema riguarda in realtà proprio la governance, ovvero l’intero sistema che dovrebbe servire a dare alla scuola italiana princìpi di governo e procedure, con l’attribuzione di competenze precise al Ministero, alle autorità locali, a chi dirige le scuole, siano esse pubbliche che private. E, dal punto di vista delle scuole, il tema è quello corrispettivo di: quale autonomia.

Non è un caso che la legge n. 59 del 1997 che all'articolo 21 dispone dell'autonomia scolastica, sia all’interno di un provvedimento che riguarda solo la pubblica amministrazione. Non si trattava di riordinare la scuola, ma appunto la pubblica amministrazione. Il tema della dirigenza scolastica di cui si diceva all’inizio è ora in discussione proprio all’interno di un analogo provvedimento sulla pubblica amministrazione, non sulla scuola. Invece è proprio da una riflessione sulla scuola che occorre ripartire.

Nei dodici punti offerti dal Governo in questo stesso periodo sulla “buona scuola” non mancano intenzioni lodevoli al ripensamento generale del sistema, e in generale si tratta di importanti riflessioni e idee che, se troveranno attuazione, porteranno a innovazioni importanti. La discussione che è stata richiesta metterà in luce anche le criticità e dovrebbe fare emergere anche proposte migliorative. 

Proviamo a delineare meglio, tramite l’esposizione di domande, dubbi e tentativi di risposta,  alcune componenti mancanti dell’attuale precario, insoddisfacente e mal delineato e organizzato sistema di governance.

E' evidente che alcune questioni interpellano l'organizzazione delle scuole statali. Tuttavia, dato che “il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall’articolo 33, comma 2 della Costituzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali”, [1] in una visione generale di governance del sistema, molti dei problemi irrisolti riguardano proprio l'intero sistema “scuola”, e non solo le scuole statali. Occorre ripensare in profondità la scuola in Italia come agenzia di educazione, istruzione e prima formazione, e, in questo, il primo problema non deve essere quello della gestione, ma quello della funzione. Queste riflessioni quindi non sono state pensate con una logica di amministrazione di servizio scolastico statale, ma di servizio scolastico a beneficio dei giovani e del Paese. Prima o poi si dovrà riprendere anche il tema della parità e del riconoscimento, perché non conviene al Paese che ci siano scuole in Italia che rilasciano titoli finali validi (le scuole straniere o internazionali del circuito I.B.O.) e che non siano raccordate al sistema Paese come le altre scuole, né che ci siano scuole che in quanto “non paritarie” sfuggono di fatto ad ogni raccordo.

 

2. Le questioni da risolvere

 

Valutazione delle scuole: la pongo all’inizio perché è la chiave di volta del sistema; non a caso si intende introdurla per tutte le scuole del “sistema nazionale di istruzione” e “La buona scuola” proposta dal Governo ne tratta diffusamente nel capitolo 3. Ma, proprio per questo, occorre ripensare tutto il sistema in quanto composto di autonomie scolastiche di vario tipo e con gestioni diverse. Il documento governativo è pensato a partire dalle sole scuole statali, e infatti in questo caso deve chiarire che lo strumento della valutazione sarà esteso anche alla paritarie: la mia obiezione è che non basta creare uno strumento di valutazione uguale per tutti se non c’è a monte un sistema pensato per tutti, dove “sistema” non sono i finanziamenti, in questo caso, ma regole di fondo che permettano confronti attendibili. Anche su altre cose il dibattito dovrà portare chiarezza: se si dice che qualsiasi scuola dovrà schierare la migliore squadra possibile, occorrerà anche chiarire chi ha davvero la competenza decisiva su questo, e a chi e come ne dovrà rispondere.

Docenti: chi è in grado di delineare una vera carriera con diversi trattamenti stipendiali di base non legati all’anzianità ma a effettivi compiti diversi con diversi e crescenti gradi di responsabilità fino a quello di insegnante esperto, coordinatore didattico, dirigente scolastico, più quello di ispettore? [2]

Va ripensato lo status dei docenti in Italia, che è un tema ben più generale di quello della revisione dello “stato giuridico” dei docenti delle scuole statali. Chi vuol diventare insegnante, dovrebbe pensare all’insegnamento, non tanto a diventare dipendente statale. Già questo dovrebbe portare a serie riflessioni sulle motivazioni di chi si accingerà in futuro a studiare per poi diventare insegnante: quale è l’ipotesi di vita lavorativa di chi si appresta a studiare per diventare insegnante, quale carriera è possibile secondo gli ambiti di lavoro, quali sono i diritti e doveri generali, non quelli conseguenti ad un contratto o all'ambiente di lavoro (statale o non statale), ma quelli derivanti dalla “professione docente”, che non può essere prevista comunque e sempre di livello A per chi insegna nelle scuole statali, e di livello B per chi insegna in altre scuole.

Metodologia d’insegnamento e valutazione: Chi è davvero in grado di far sì che cambi la metodologia dell’insegnamento in Italia, passando dalla lezione frontale di tipo deduttivo (la classica spiegazione, cui seguirà una interrogazione), alla lezione interattiva, in cui il docenti induce e accompagna gli allievi a impadronirsi di un metodo anziché di nozioni? [3] A chi spetta far osservare seriamente eventuali indicazioni precise che provenissero dal Ministero in questo senso? Chi è davvero in grado di far sì che in una scuola, o su un territorio più vasto, o in una regione, o nell’intera Italia, ci sia un sistema di valutazione delle competenze omogeneo, per capire cosa vale un determinato punteggio ottenuto a scuola? E’ capace il nostro Ministero a indicare competenze, capacità e abilità da raggiungere in maniera chiara ai vali livelli di prove che danno esito a certificazioni o diplomi?

Se si vuole che i titoli di studio abbiano un loro significato concreto, l’autonomia dovrà essere ben più organizzativa e gestionale, molto meno (come si è fatto finora) didattica; o meglio, l’autonomia didattica è come organizzare la didattica, non può riguardare le competenze, abilità e capacità da raggiungere, che devono essere uguali per tutti a parità di livello di studio, e devono essere di metodo più che di contenuti. Occorre costruire un sistema didattico e coerentemente omogeneo di valutazione tra diverse istituzioni, statali e no, dotate di sufficiente autonomia organizzativa ma evidentemente non di anarchia didattica, sistema di valutazione che non può che far capo a delineazione di obiettivi chiari che gli studenti devono raggiungere e che la scuola deve certificare; questione che è da disgiungere da quella della promozione ad anni successivi, si può anche progredire nella scuola con alcune insufficienze da indicare come tali, l’essenziale è evitare l’ipocrisia e la falsità, che è nemica dell’educazione e rende nullo il valore dell’istruzione. La professionalità docente di cui al punto precedente si deve esprimere rispetto alle aspettative dell’esito finale della scuola in maniera coerente nello stesso sistema di istruzione, per tutte le scuole, statali e no, che afferiscono ad esso.

Altre figure di sistema: la scuola (italiana) deve essere dotata solo di docenti e delle altre attuali figure amministrative, tecniche e ausiliarie, oppure può o deve essere dotata di altre figure di sistema, che esistono in tante scuole nel mondo, come consiglieri di educazione (senza andare tanto lontano, vedasi la Scuola Europea di Parma), bibliotecari (intesi come assistenti dello studio individuale e collettivo degli studenti, come è di norma nelle scuole internazionali  - non si parla solo di libri, ma anche di ricerche da fare on line), figure di supporto per gli allievi in difficoltà che non ricreino la attuale dicotonomia tra insegnante di classe e insegnante di sostegno, ecc? [4]

La decisione su eventuali figure intermedie deve essere lasciata alla singola scuola o non piuttosto rientrare in alcune previsioni normative generali e amministrative, nel primo caso essendo le figure intermedie frutto della buona volontà e non una vera carriera, e nel secondo caso costituendo invece elementi di carriera da preservarsi previa valutazione nel tempo? [5]

Occorre ripensare la scuola con l’identificazione di diverse possibili figure professionali, da inserire nelle scuole (statali o no) in maniera flessibile secondo la complessità di ciascuna scuola e secondo le scelte di autonomia di chi la gestisce, in modo che la scuola inizi a perdere la rigidità di cui oggi soffre (quella statale in particolare, e quella paritaria che la deve strettamente copiare), e che possa meglio adattarsi alle necessità del territorio.

Il registro nazionale dei docenti e le assunzioni: pochi sanno che è stato di fatto smantellato l’albo professionale degli insegnanti, cui era obbligatorio iscriversi fino a pochi anni fa da parte di tutti i docenti abilitati, sia che insegnassero nelle scuole pubbliche che private; il “Registro nazionale dei docenti della scuola” [6], che ne sarebbe la copia rivista e corretta, è una buona proposta, ma sembra pensato solo alle scuole statali e non invece anche per la qualità dell’insegnamento anche nelle scuole paritarie. Questo punto dovrà essere chiarito.

Una vera autonomia dovrebbe significare che gli organici devono essere decisi a livello di scuola, secondo le possibilità esistenti a bilancio, piuttosto che secondo regole centralizzate; come “La buona scuola” riconosce, uno degli attuali pregevoli sforzi delle direzioni regionali del MIUR è quello di assecondare, nei limiti del possibile, le richieste dei dirigenti scolastici, ma il sistema generale è rigido, troppo rigide sono le classi di concorso attuali, rigide sono le figure professionali della scuola “ufficiale”, statale e paritaria, e i docenti non vi hanno sviluppo di carriera, rigidi sono i vincoli normativi generali, a parte la scarsità delle risorse disponibili.

Una conseguenza pratica della decentralizzazione e dell’aumento dell’autonomia organizzativa e gestionale all’interno di un criterio generale di autonomia, che abbraccia tutte le scuole, tanto statali che non statali, sono appunto le assunzioni dirette da parte dei dirigenti scolastici, dove i docenti, e altre figure intermedie, dotati dei sufficienti titoli, possono trovare lavoro e collocazione professionale di carriera al meglio delle loro potenzialità.

 

3. Il problema della governance

 

Gli organi di governo della scuola: è possibile delineare un sistema di organi di governo che in ciascuna scuola assegni a ciascuno responsabilità di cui dovrà rispondere a qualcun altro? In altre parole, nel ridisegno degli Organi Collegiali della scuola, [7] si sarà capaci di determinare competenze precise di ogni organo, comprese quelle del dirigente, contemporaneamente indicando a chi tali organi, compreso il dirigente, devono concretamente rispondere?

Deve essere chiaro a chi devono rispondere tutte le scuole, statali e non, ammesse ai riconoscimenti dei diplomi e eventualmente anche a sostegni economici di qualsiasi natura.

Prendendo a prestito l’esperienza dei Paesi dove da tempo è presente e realizzata una vera autonomia scolastica occorre dare opportuno spazio alle domande del territorio, che necessita di coesione sociale, del mondo economico, che cerca giovani in possesso di serie conoscenze, competenze e abilità, della società civile, che cerca l’educazione e la formazione dei giovani e insieme una buona formazione dei futuri dirigenti del Paese in tutti i settori; devono essere anche chiari i motivi che possono indurre privati a investire nelle scuole (statali o no), e si deve fare in modo che questi motivi non siano di intralcio alcuno alla didattica e alla valutazione, che deve fare riferimento a precise indicazioni valide per tutte le scuole del sistema.

I genitori, così come tutti i possibili sostenitori della scuola, devono essere chiaramente coinvolti, e occorre che siano chiamati alla condivisione delle scelte, ma lo strumento non è necessariamente il governo della scuola.

Quanto qui delineato può e deve valere anche per le scuole non statali che chiedono riconoscimento e risorse pubbliche, in quanto ci devono essere adeguati strumenti normativi di raccordo con il sistema previsto dallo Stato come sistema nazionale di istruzione. In altre parole, anche gli Enti e i privati che organizzano scuole, all’interno del sistema di istruzione riconosciuto dallo Stato, devono acconsentire a raccordi non solo con gli organi ministeriali, ma anche col territorio, con le autorità locali, con la società civile.

Il coordinamento didattico: non è affatto detto che chi gestisce la scuola ne debba anche coordinare la didattica; in tutto il mondo, più si chiede al “capo di istituto”, comunque denominato, di gestire la scuola nel senso proprio della parola (fino alla completa assunzione di oneri ed onori (!) inerenti la figura di datore di lavoro, compresa quindi la gestione del personale e l’amministrazione del bilancio), meno gli si chiede di coordinare la didattica.

La prima regola dovrebbe essere, anche qui: meno rigidità. La figura del coordinatore didattico è prevista di fatto dal Ministero per le scuole paritarie, perché non si vuole entrare nel reale merito delle forme di gestione, e questa figura è fondamentale come collegamento tra Ministero e scuola: nella maggior parte dei casi infatti il gestore, che di fatto è il vero “capo d’istituto”, è altro dal coordinatore didattico. Nelle scuole statali tuttora sembra, anche nel documento sulla “buona scuola”, che il dirigente scolastico debba mantenere anche il ruolo di coordinatore didattico. Eppure sopra 500 studenti circa (anche meno per le scuole più complesse) è assolutamente impensabile coprire efficacemente i due ruoli, e comunque tutte le scuole statali nel collegio docenti identificano docenti più o meno disponibili come coordinatori didattici, a vari livelli. Manca però una codificazione di questo, che potrebbe essere benissimo un grado di carriera da coprire da parte di insegnanti esperti appositamente formati.

 

4. La questione della dirigenza

 

La dirigenza della scuola: arriviamo qui al punto terminale di questa riflessione. Cosa si chiede o si deve chiedere al capo di istituto di una scuola in Italia? Anche qui occorre pensare alla funzione prima ancora che alla tipologia di gestione (pubblica o privata). La funzione è tale per cui comunque e dovunque occorre un responsabile generale, che non può che essere il datore di lavoro.

Ci si deve chiedere se è possibile essere capo di istituto pur senza provenire dalla carriera dell’insegnamento. La risposta è sì, soprattutto laddove il capo di istituto ha responsabilità manageriali e gestionali più che didattiche. Ciò di fatto avviene in vari Paesi. Ciò di fatto avviene anche in Italia, dato che nelle scuole non statali quasi sempre il vero dirigente è il gestore, che infatti nomina un coordinatore didattico per il rapporto col Ministero (v. il punto precedente).

Se essere dirigente è innanzitutto ricoprire funzioni di datore di lavoro, una conseguenza logica è:

a)      per le scuole statali la dirigenza scolastica è non può essere separata dalla dirigenza statale – con tutte le conseguenze del caso, però, compreso il fatto che dovrebbe essere possibile anche una carriera per diventare capo d’istituto da parte di dipendenti statali a determinate condizioni, che sono tutte da declinare,

b)      per le scuole non statali va chiarito che il gestore, a determinate condizioni, anche qui tutte da declinare, può e deve formalmente esercitare le competenze del “capo di istituto”, e, se non può o non vuole assumersi queste funzioni, deve a sua volta chiarire nella scuola di cui a questo punto sarà più proprietario che gestore, chi esercita le funzioni di datore di lavoro.

In ogni caso le funzioni e le responsabilità del “datore di lavoro” di scuola statale non dovrebbero essere molto distanti da quelle del “datore di lavoro” di scuola non statale, a cominciare dalla gestione del personale (assunzioni, disciplina, licenziamenti) e dalla gestione del bilancio.

Occorre dare vita ad un sistema di autonomie scolastiche in cui le scuole, di qualsiasi tipo, abbiano un preciso modello di bilancio da seguire e quindi siano confrontabili costi e ricavi. Occorre aggiungere una considerazione che tende alla vera semplificazione delle procedure: le scuole statali e degli enti locali operano con denaro pubblico, ma ciò non dovrebbe avvenire con le stesse regole dell'amministrazione centrale dello Stato o degli Enti Locali, che operano su scale territoriali diverse; per le scuole si dovrebbero applicare regole derivanti da un vero controllo che parte dal territorio, dagli Enti Locali, dalla società civile, dai sostenitori delle scuole, e che si sviluppa con propri criteri, senza gli appesantimenti burocratici delle amministrazioni pubbliche territoriali.

I capi d'istituto intesi come datori di lavoro per conto dello Stato, o dell’Ente gestore, o del privato proprietario della scuola che non sia anche il “gestore”, devono rispondere innanzitutto agli organi di governo delle scuole, come delineati come poco sopra. Ben prima di rispondere ad adempimenti formali dello Stato, spesso posti in leggi non coerenti tra loro, i capi d'istituto devono essere messi in grado di essere dei veri gestori di un servizio “chiavi in mano”, dando loro responsabilità piena rispetto ai mezzi adottati per pervenire ai risultati attesi.

Va da sé che se non si ha il coraggio di andare fino in fondo nel tema dell’autonomia, anche il tema della dirigenza scolastica rimane limitato, in maniera corrispondente. A che punto debba essere fissata l’asticella dipende da scelte politiche, da parte di chi vive nella scuola la consapevolezza dovrebbe essere ormai totale almeno sul fatto che continuare a chiedere al “dirigente scolastco” statale di assumersi compiti di gestione senza dargli mezzi e poteri coerenti, continuando nel contempo a caricarlo di compiti di coordinamento didattico, non porta a nessuna parte. E, per la scuola non statale, è fondamentale chiarire le responsabilità del vero “capo d’istituto”, per la tutela professionale di chi invece è chiamato a svolgere i compiti di coordinatore didattico, senza però alcun potere gestionale o amministrativo. L’autonomia vera implica in sostanza una dirigenza scolastica, fatta da Capi d’Istituto autorevoli e responsabili, e, in que­sto duplice senso, forti.

 

 



[1]      Legge n. 62/2000, art. 1 c.1

        [2] Cfr. “La buona scuola”, pagg. 45 – 50

[3]  La ragione dell’abbandono del nozionismo non è certo la sofferenza degli studenti rispetto all’allenamento della memoria, ma è nella logica delle prove finali che su vasto territorio devono certificare competenze, attitudini, abilità: queste prove devono essere concepite come verifica dei metodi acquisiti nella ricerca e studio personale delle diverse discipline, non possono essere concepite come mera verifica di nozioni apprese.

[4]      Il docente mentor di cui a “La buona scuola” pag. 71 è una figura pensata solo per la formazione dei futuri insegnanti, non è in sé una figura di governance, a meno che non si individuino le responsabilità e la carriera nella scuola dove egli/ella opera.

[5]      Cfr. “La buona scuola”, pag. 70, laddove si parla di “figure di base” quali l’esperto in “Bisogni Educativi Speciali”

 

[6]      Cfr. “La buona scuola”, pag. 68

 

[7]      Cfr. “La buona scuola”, pag. 71

 
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