Dibattito/Una voce antesignana su autonomia e parità


Pubblichiamo volentieri le riflessioni “antesignane” del collega Ignazio Venzano, amico attuale di DiSAL, che ha operato sia come preside in scuole paritarie comunali e sia come responsabile scuole nel Comune di Genova. Già nel 1991, quando in Italia (nonostante l’importantissima legge 62/200 del Ministro Berlinguer) le contrapposizioni ideologiche impedivano serie riflessioni sui rapporti tra scuola statale e non statale nel sistema italiano, analizzava la situazione con occhi attenti e mente aperta. (DiSAL)

 

IL SECOLO XIX -  Mercoledi, 4 dicembre 1991

OPINIONE.  Scuole, tutte son "private"

di IGNAZIO VENZANO   -    preside del Civico liceo linguistico "Grazia Deledda"

Bene ha fatto Padre Millefiorini a ricordare la situazione delle scuole cattoliche, anche perché lui ha le carte in regola: la sua 'scuola di Politica" è un esempio di come anche da parte cattolica si possa essere "non dogmatici".

Tuttavia non sembra vicino il momento in cui il legislatore affronterà il problema della scuola "paritaria": ben altre sono le urgenze del sistema scolastico italiano, e ben altre riforme, più importanti per il nostro Paese, vengono rinviate da un sistema politico che non riesce a esprimere nessuna decisione sicura.

Ma il problema non è solo quello delle scuole cattoliche: pochi sanno che l'unica scuola "pubblica" in Italia è solo la scuola statale": i Comuni e le Province devono anche pagare per le loro scuole delle tasse allo Stato, oltreché, naturalmente, pagarsi senza nessun riconoscimento, gli insegnanti e tutto il resto di tasca propria: anche le scuole degli Enti Pubblici sono private!

Pochi sanno anche che per un intricato sistema di leggi create nel tempo, la scuola statale è detta così solo per gli insegnanti che gelosamente amministra e per gli strumenti didattici. Tutto il resto, bidelli, segreterie, edificio, molte volte è degli enti locali: questi ultimi devono far fronte a svariate necessità della scuola statale, spesso senza nessun aiuto da parte del governo. Ma uno Stato che non riesce neppure a fare ordine all'interno del sistema di istruzione pubblica, tanto meno riuscirà mai a occuparsi del privato.

La situazione attuale ha effetti sulla politica, ma le sue ragioni sono soprattutto culturali: e certe barriere ideologiche sono ancora tenacemente presenti nel nostro Paese, come si è visto nella presentazione delle liste e dei candidati per le elezioni degli organi collegiali della scuola tenutesi proprio in questi giorni. Proviamo a chiederci: sarà mai possibile distinguere tra le scuole non statali aventi una solida finalità educativa e quelle a finalità prevalente di lucro? E come riusciranno le prime a trovare il modo di garantire la necessaria "criticità della cultura" e il livello minimo indispensabile di trasparenza democratica e libertà di espressione, di organizzazioni sindacali, requisiti di ammissione di studenti e insegnanti? Eppure, senza risposta a queste domande,

la scuola privata è destinata a rimanere davvero isolata.

Si pensi che prima della legge fascista del 1942 sui "riconoscimenti legali", l'unica scuola non statale ammessa era, a livello medio e superiore, la scuola "pareggiata": però solo gli enti pubblici, gli enti morali e quelli religiosi potevano gestire scuole "pareggiate", giacché si riteneva, a mio parere del tutto fondatamente, che l'educazione dei giovani fosse cosa troppo seria e delicata perché servisse al guadagno privato di qualcuno. Non si può ritornare a quel modello, e tuttavia esso ha un suo fascino di rigore teorico. Come si potrebbe oggi pensare a qualcosa di simile?

Se abbandoniamo l'idea di libertà di scuola intesa come semplice libertà di mercato, dobbiamo rinunciare anche alla proposta di tickets o buoni da dare alle famiglie e da spendere in qualsiasi scuola a piacere: questa scelta non potrebbe contribuire per nulla a un minimo di giustizia educativa: la selvaggia concorrenza tra tutte le scuole porterebbe a una distanza organizzativa e pedagogica tra gli istituti (anche tra quelli statali) ancora più marcata di adesso: l'idea anche cattolica di una promozione delle classi sociali meno abbienti resterebbe del tutto tradita.

D'altra parte solo uno Stato davvero efficiente, che oggi non c'è, potrebbe riciclare le risorse di bilancio per costruire (in modi da inventare, e comunque ha ragione Millefiorini quando ricorda la lontananza dell'Italia dall'Europa) un sistema formativo a cui possano, per la loro parte e con limpida finalità educativa, concorrere tutti coloro che abbiano qualcosa da dire alla società civile,

pertanto anche la Chiesa e le sue istituzioni, ivi comprese le sue scuole.

Da adesso, però, una cosa si potrebbe fare: bisognerebbe riuscire a mettere ordine nel settore pubblico, e anche cominciare a riconoscere ai poteri locali (Comuni, Province) un sempre maggiore ruolo di programmazione e di coordinamento delle scuole sul territorio, sotto una vera revisione e uniformazione della composizione e dei poteri degli organi collegiali di tutte le scuole a gestione pubblica.

Tanto più nella previsione della concessione a tutte le scuole (solo quelle "statali"?) di un'ampia autonomia organizzativa, gestionale e didattica.

 

 

 
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