Il mestiere del futuro? Risolvere i problemi
La tecnologia fa paura, eppure il carburante dell'innovazione sarà come sempre l'intelligenza dell'uomo
da La Stampa 12 novembre 2014 di W. Passerini
Denunce e allarmi sul nostro futuro hanno il pregio di fare riflettere su quanto esso sia
aperto, sempre, a una doppia possibilità : rassegnarsi o reagire. Non sfugge a questa regola
il catastrofismo millenarista in parte evocato dallo studio Deloitte Università -di Oxford, che contiene ambiguità che tocca a noi sciogliere. La previsione di dieci milioni di posti di lavoro bruciati dall'avvento dei robot e delle tecnologie in Gran Bretagna nei prossimi anni può gettarci
nello sconforto oppure risvegliarci. Alcuni ricorreranno al solito alibi della diversità («Siamo diversi, la mattanza digitale non ci toccherà »); altri nasconderanno le nostre arretratezze con le litanie sulle nostre eccellenze. L'avvento di robot, computer, macchine intelligenti ha sempre destato fascino, attrazione e paure. Ricordiamo la preveggenza di Ray Bradbury con le sue «Cronache marziane» (1950) e «Fahrenheit 451», fiero oppositore sino alla fine dei suoi 91 anni degli e-book, tanto da impedire che le sue opere venissero pubblicate in formato digitale. Oppure
«Robbie», il racconto di fantascienza di Isaac Asimov (1940), il primo in assoluto sui robot
positronici: Asimov cercava di reagire alle storie dei robot come sola minaccia, assegnando agli automi la funzione di strumenti utili e flessibili, amici degli esseri umani. Letta con più attenzione, la ricerca aiuta a sdrammatizzare il cambiamento in corso. A fare le spese dell'invasione di
robot, androidi e cyborg saranno soprattutto i lavoratori esecutivi e generici, le cui prestazioni semplici e fortemente standardizzate potranno essere sostituite dalle macchine. Si salveranno coloro che avranno la possibilità di fare tesoro delle competenze, della creatività e della capacità di problem solving: di costoro ci sarà sempre bisogno, perché saranno le vestali del progetto a governare le danze. L'intelligenza dell'uomo, nel gestire l'imprevisto e l'imprevedibile, sarà il carburante di una nuova forza lavoro, che abiterà nella parte alta della clessidra del mercato del lavoro; dopo la strozzatura, nella parte bassa si aggireranno i rappresentanti di una nuova
sottoclasse di lavoratori, esperti nell'arte di arrangiarsi e senza troppe ambizioni. Ma la ricerca indica anche nella scuola e nella formazione l'arma vincente del futuro. Così, per ogni posto bruciato dai computer se ne creerà almeno un altro nella nuova economia. La condizione è che da
qui possa partire una nuova cultura tecnologica, basata sul modello «Stem» (Scienza, tecnologia,
engineering e matematica). Il paradosso dell'economia italiana è che di fronte al boom di nuovi posti mancheranno i candidati, come dicono recenti ricerche. E a esserne coinvolta sarà l'intera Europa, alla quale oggi mancano oltre un milione di esperti digitali. La tecnologia corre ma le
competenze non riescono a tenere il passo: l'Italia è al quattordicesimo posto in Europa. Siamo leader al mondo nella produzione di automazione, che esportiamo all'estero all'80%, ma la scuola non regge la corsa con l'impresa intelligente. Ci sono sei computer ogni 100 studenti, la media europea è 16. Gli studenti di istituti scolastici dotati di tecnologie di alto profilo e banda larga
sono il 6% contro una media europea del 37%. Nella stragrande maggioranza dei casi le scuole italiane sono vittime del «digital divide». C'è qualcuno che pensa che proprio grazie alla nostra
arretratezza ce la sfangheremo. La realtà è che la grande mattanza delle tecnologie non lascia alcun riparo. Ce la faremo solo se per ogni posto perduto riusciremo a crearne un altro, foderato da impeccabili competenze digitali. Per ogni lavoro bruciato dai computer se ne creerà almeno un altro nella nuova economia Il problema italiano è la scuola, con 6 computer ogni 100 studenti (la media europea è 16)