ScuolaEuropa/OCSE: qual è la formazione che serve al lavoro?


Formazione professionale. Alternanza scuola e lavoro

Sito Norberto Bottani  -  10 novembre 2015

Nel blog dell’OCSE "educationtoday" si trova un’intervista a Simon Field specialista di analisi comparate dei modelli di formazione professionale, pubblicata il 6 novembre 2014 nella quale Field tira le lezioni di un’indagine a largo raggio svolta dall’OCSE i cui risultati sono stati pubblicati recentemente in un volume.

Formazione professionale

Il tema della formazione professionale è un cavallo di battaglia dell’OCSE che nel corso degli anni Settanta ha iniziato ad occuparsene. Questa questione fu il punto d’avvio delle attività dell’OCSE per l’istruzione e la scolarizzazione. Da più di un ventennio si suona la stessa musica: la formazione professionale organizzata come alternanza tra scuola e lavoro è la soluzione adatta per formare le giovani leve alle varie professioni e per riuscire l’inserimento nel mondo del lavoro. Purtroppo i responsabili politici e quelli scolastici fanno lo gnorri. Solo in pochi paesi la formazione duale come di solito si chiama non attecchisce. In Italia si mobilitano una valanga di argomenti per scolarizzare integralmente la formazione professionale. I tentativi svolti in alcune regioni per adottare un modulo meno astratto, meno scolastico , non sono riconosciuti. Le esperienze si sono moltiplicate a dismisura ad un certo punto senza nessuna solida valutazione ma ancora recentemente la formazione professionale è stata ristrutturata secondo criteri scolastici. Del resto in Italia il lessico utilizzato per designare la formazione professionale non corrisponde al significato in auge a livello internazionale. Tutto ciò non significa che quanto si insegna negli ITS non sia buono e che la preparazione professionale impartita in questo tipo di scuole non sia di qualità. Si potrebbe piuttosto dire che manca una ruota del carro per cui si perdono alla fin fine molti studenti per strada. Tutto ciò vale per la formazione e istruzione professionale di tipo secondario. La questione si ripropone ora a livello post-secondario ed è su questo tema che verte l’intervista a Fields la quale si basa su un’indagine recente dell’OCSE.

Simon Field , esperto di analisi comparate della formazione professionale presso l’OCSE (Acronimo inglese :VET) , dirige l’esame dei sistemi di formazione professionale dell’OCSE. È stato recentemente intervistato da Ken Manson, coordinatore delle comunicazioni nella commissione britannica per la formazione professionale, nel blog dell’OCSE “educationtoday” del 6 novembre , in occasione della pubblicazione il 13 novembre del rapporto di sintesi sulle politiche di formazione professionale intitolato “ Skills Beyond School Synthesis Report. ( cliccare qui)

Principali constatazioni

Field ribadisce dapprima che l’OCSE ha svolto moltissime indagini sulla formazione professionale [1] soprattutto a livello dell’insegnamento secondario di secondo grado perché la maggioranza dei paesi europei ha sviluppato sistemi di apprendistato proprio a questo livello . L’OCSE ha pubblicato a questo riguardo un ennesimo rapporto che sintetizza l ’insieme delle osservazioni svolte recentemente. Uno dei punti chiave che emerge nettamente da quest’indagine è l’importanza in numerosi sistemi scolastici presa dai sistemi di formazione professionale a livello post-secondario [2].

In primo luogo, nei paesi nei quali esistono sistemi di apprendistato duale classici, come per esempio in Germania, Austria e Svizzera si nota che anche a livello post-secondario questi sistemi scolastici hanno messo a punto una vasta gamma di soluzioni per promuovere la specializzazione professionale post-secondaria . Questi moduli sono molto importanti perché offrono possibilità di carriera agli apprendisti. [3].

D’altra parte, negli Stati Uniti, la maggioranza della popolazione scolastica frequenta invece corsi di formazione superiore di cultura generale anche a livello post-secondario e solo più tardi, a livello post-secondario frequentano una formula o l’ altra di formazione tecnica e professionale che stabilisce un contatto con il mondo del lavoro. Questi studenti conseguono quindi una prima qualifica professionale assai tardi [4]; Questo modello è molto diverso dal precedente, ma è sempre un modello nel quale i programmi professionali post-secondari sono alquanto importanti.

In Gran Bretagna e specialmente in Inghilterra non esiste un’offerta importante di formazione e istruzione professionale post-secondaria, come per esempio quella che offre qualifiche più corte che si possono conseguire dopo la scolarizzazione. Laddove ciò esiste ,queste opportunità si annidano in aree particolari nelle quali, per legge, le professioni sono rigorosamente regolate e si richiedono qualifiche professionali ben definite, com’è il caso per le educatrici dell’ infanzia.

La collaborazione datori di lavoro/insegnanti

L’OCSE ritiene che la promozione del partenariato tra coloro che forniscono la formazione e le aziende sia assolutamente fondamentale. Fin quando non si arriverà a questo punto, in verità non si avrà nulla tra le mani. I datori di lavoro e i formatori devono lavorare assieme, mano nella mano. Ne abbiamo un buon esempio in Svezia dove il sistema di formazione professionale superiore è strutturato in modo tale da prevedere sussidi versati dal governo centrale per promuovere il partenariato tra datori di lavoro e formatori. Il modello non si limita dunque a finanziare solo le scuole , ossia i formatori. Al contrario, contempla anche risorse stanziate ai datori di lavoro che accettano il partenariato con la scuola per mettere a punto programmi di studio nei quali sono inseriti elementi di apprendimento professionale. Questa politica ha avuto molto successo.

Alla base di questo modello, si colloca un cambiamento radicale di incentivi. Invece di finanziare le persone che nelle scuole forniscono la formazione, con la speranza che cio`facendo si diano da fare per cooperare con gli impresari ai quali dimostreranno che la scuola riesce a fornire alcuni elementi di apprendimento professionale , in Svezia si è optato per un’altra soluzione che incita questi due mondi, quello aziendale e quello scolastico a cooperare tra loro. . In effetti tutto ciò è alquanto semplice: se i datori di lavoro non collaborano fin dall’inizio con la scuola il programma non riceve nessun sussidio.T utto ciò cambia gli incentivi radicalmente.

Esempi di partenariato che rendono le qualifiche più attraenti.

 Non esiste una forma migliore di marketing per i datori di lavoro a favore di un programma di studio imperniato sulla vita professionale. Se un datore di lavoro è sufficientemente interessato a fornire posti di lavoro ed a sostenere il programma di studio, allora, quasi certamente, il datore di lavoro sarà potenzialmente interessato a reclutare gli apprendisti che escono dal programma di formazione. Se un programma di studio non trova un datore di lavoro disposto ad offrire posti di lavoro, allora si puo`seriamente dubitare della pertinenza del programma di studio, della sua validità.

Tutto ciò induce a raccomandare la costruzione di un modello di formazione professionale che per legge offra elementi professionalizzanti. Spesso si fa osservare che non si può costringere ad impostare soluzioni del genere perché non si riuscirà mai a trovare datori di lavoro costretti ad offrire posti di lavoro. Ma, nell’indagine dell’OCSE , si è scoperto, con dati relativamente solidi che questa affermazione è contraddetta dalla realtà. E’ pertanto ragionevole insistere su un apprendimento basato sul lavoro. Inoltre, l’apprendimento basato sul lavoro trascina con sé altri effetti positivi, costringe per esempio gli insegnanti della formazione professionale superiore a lavorare con i datori di lavoro, a incitare i datori di lavoro a lavorare con i formatori per costruire un modello di formazione professionale che fornisca qualifiche valide. Da svariati punti di vista si può ritenere che questa sia la chiave che permette di sbloccare il chiavistello dell’impegno dei datori di lavoro.

Come si fa a sapere se il modello funziona? Con quali misure si quantifica il successo di questo sistema?

Questa domanda si pone proprio il dito sulla piaga. Infatti, in molti paesi le statistiche a questo riguardo sono assai carenti. Il fattore critico di qualsiasi programma di formazione professionale è l’entrata nel monte lavoro e l’esercizio di una professione che permetta di praticare le competenze che si sono apprese. Ci sono differenti tipi di indagini che misurano questi aspetti: per esempio intervistare gli studenti sei mesi oppure un anno dopo che hanno terminato la formazione professionale per sapere che cosa stanno facendo [5] In questo modo si scopre sovente che molti apprendisti praticano un lavoro in un settore del tutto differente da quello che hanno studiato. Ciò non è un male. Questa è una prova che le loro carriere si sviluppano.

[1] ndr.: Il che è vero

[2] ndr.: offerta che manca quasi completamente in Italia

[3] ndr.: Rendono in questo modo nobile la via dell’apprendistato. Questa opportunità manca in Italia

[4] ndr.: Questa è la tipica forma di una formazione professionale molto scolarizzata anche se alla fin fine , dopo lunghi anni, si giunge ad entrare in contatto con il mondo del lavoro

[5] ndr.: Indagini di questo tipo funzionano assai bene, gli studenti rispondono. Questo è per esempio il caso di quanto si fa a Ginevra da decenni.

 

 
Salva Segnala Stampa Esci Home