Dibattito/Preside: il dibattito sui poteri e sui compiti


Proseguendo la segnalazione già avviata sia da parte del presidente di DiSAL che di altri opinionisti, riprendiamo dalla stampa di questi giorni due riflessioni sul dibattito in corso sul futuro della dirigenza scolastica statale, sui poteri e sulle funzioni. Accogliamo volentieri nella rubrica “Opinioni a confornto” pareri e riflessioni dei colleghi.

 

Avvenire  -  10 marzo 2015 -  A cura di Elena Ugolini

Quali scelte per i presidi? Servono risposte chiare

La parte del disegno di legge sulla scuola che sicuramente sta facendo più discutere è quella che riguarda il ruolo dei dirigenti scolastici all’interno della scuola statale. Tre sono le obiezioni più frequenti: “La scuola non ha bisogno di un uomo solo al comando”, “dei presidi incapaci, non selezionati e non valutati in modo adeguato come possono scegliere in modo sensato i loro docenti?”, “la libertà di insegnamento è un diritto costituzionale che non può essere delegata al dirigente e deve continuare ad essere tutelata e garantita dal Collegio dei docenti”. Vorrei provare ad entrare in merito a questi temi per aprire
alcune piste di riflessione.
Che il dirigente scolastico abbia un ruolo fondamentale nell’andamento di una scuola è evidente. Basta essere stati studenti, insegnanti o genitori di alunni che frequentano scuole di ogni ordine e grado per saperlo. La scuola è un organismo complesso ed è un luogo in cui, ogni giorno, si dovrebbero aiutare a crescere dal punto umano, culturale e professionale gli studenti che la frequentano. Tenendo questo come criterio principe è chiaro che la dote essenziale di un preside è la capacità di leadership educativa intesa nel senso più ampio del termine, quello che comprende anche la capacità di valorizzare e sviluppare le risorse professionali che si hanno a disposizione. Non esiste niente di più dannoso per una scuola che avere un preside burocrate, intimorito dal proprio Collegio dei docenti e dai possibili ricorsi dei genitori.
I primi a sapere che la scuola non ha bisogno di un “uomo solo” al comando, sono proprio i dirigenti scolastici. È l’attuale legislazione che NON prevede l’esistenza di una struttura organizzativa all’interno della scuola, per realizzare veramente una leadership distribuita, in grado di supportare una “comunità educante”. Le scelte vengono fatte in modo assembleare da Collegi dei docenti distratti, perché vissuti come luoghi formali, organismi in cui si ratifica quel che è già stato deciso altrove. Solo l’autorevolezza di alcuni dirigenti e la presenza di docenti motivati e collaborativi, permette già ora a molte scuole statali di trasformare adempimenti formali in scelte condivise che creano innovazione e spazi di reale collaborazione.
In Italia risulta ancora politicamente scorretto parlare di persone che svolgono “meglio” di altre il proprio lavoro, ma, almeno per i dirigenti scolastici, che dal 2000 dovrebbero avere degli incarichi triennali assegnati in funzione del raggiungimento di obiettivi e risultati, rispetto alla tipologia di scuola che viene loro affidata, dovrebbe partire da subito la valutazione del servizio prestato. Questo dovrebbero chiedere i sindacati. Che tipo di incarichi sono stati sottoscritti, infatti, durante questi 15 anni? E in che modo sono stati valutati? Come sono stati formati e selezionati i dirigenti per verificare sul campo le loro capacità, visto che fino ad ora le immissioni in ruolo sono sempre avvenute per concorsi che provano solo delle conoscenze senza nessun percorso prevalutativo e, durante l’anno di prova, i presidi sono stati affiancati da colleghi “mentori” che ne hanno supportato il lavoro, ma senza vincoli di valutazione specifica né del merito né delle capacità? Che strumenti hanno attualmente a disposizione i dirigenti scolastici per costruire una leadership distribuita che li aiuti a guidare realtà scolastiche anche molto complesse? Che strumenti ci sono per evitare che un dirigente non in grado di reggere questa responsabilità, debba continuare a fare questo lavoro fino alla pensione, mettendo in difficoltà una scuola dopo l’altra? Perché, d’altro canto, chi è bravo non dovrebbe poter aspirare di passare ad altri ruoli, come, ad esempio quello ispettivo?
Chi desidera mantenere lo status quo, NON vuole rispondere seriamente a queste domande che dovrebbero costituire, almeno in parte, l’indice dei provvedimenti che usciranno dal dibattito parlamentare e avranno il compito di definire con maggior precisione gli spazi di responsabilità della nuova dirigenza, il modello di governance in cui si colloca la sua responsabilità, il suo profilo professionale e i passaggi con cui gestire le nuove attribuzioni che il disegno di legge introduce.

 

Tempi  – 9 aprile 2015  -  Roberto Pellegatta, direzione DiSAL

Né sindaco, né sceriffo, ma una direzione a sevizio della comunità

Senza nulla togliere alle preoccupazioni di confusione, incertezza normativa e difficoltà nelle attribuzioni di responsabilità all’interno dell’Istituzione Scolastica sollevate da più parti, dal punto di vista dei dirigenti scolastici il vero problema posto dal Disegno di Legge 2994 di riforma della scuola riguarda l’eccesso di atribuzioni. Si tratta di un problema sia di visione complessiva della scuola nella sua dinamica interna, sia di sproporzionato sovraccarico di competenze e responsabilità. Sul tema i sindacati si dividono: da una parte confederali e autonomi che denunciano un eccesso che rasenta e paventa rischi di abuso personsale da parte di una specie di “sceriffo”; dall’altra i sindacati presidi che spingo addirittura ad un maggiore incremento di attribuzioni, perseguendo quell’immagine di “sindaco” della scuola lanciata dal sottosegretario Faraone.

Una seria lettura del DdL, delle norme attuali, specie a partire dalla visione della comunità scolastica prefigurata dalla madre delle riforme (l’art. 21 della L. 59/97), unita ad una visione della scuola che la prassi proposta dal bilancio sociale vuole legata ad un territorio al quale è chiamata a rispondere, suggeriscono la proposta di una soluzione più equilibrata, che tuttavia non può essere definita dalla proposta della Buona scuola in quanto questa va inserita nel quadro di una revisione del governo delle Istituzioni Scolastiche Autonome (ISA) che la stessa bozza della riforma del Titolo V della Costituzione del 2010 (ultimo accordo in materia Stato-Regioni) prefigurava.

Vadano per tutti due casi.

Il nuovo Piano Triennale dell’Offerta Formativa (art. 2)  assunto dal dirigente scolastico, sentiti Collegio e Consiglio di Istituto e che riguarda tutte le risorse necessarie (di personale, finanziarie e di attrezzature) dimentica che è il Consigio di Istituto attualmente a deliberare il Bilancio di previsione ed il Conto Consuntivo.

La valutazione dei docenti (art. 9) viene attribuita al dirigente scolastico a prescindere da qualsiasi soluzione normativa del problema all’interno di un Sistema Nazionale di Valutazione che infatti non ne parla neppure.

E’chiaro che in entrambi i casi la concentrazione delle responsabilità nel dirigente scolastico porterà non solo all’aumento delle conflitualità interne, ma soprattutto allo snaturamento della figura del dirigente scolastico che da leader educativo (aspetto tanto auspicato da tutti) diventa dirigente unico responsabile, senza che lo stesso debba rispondere a nessuno tranne che allo Stato centrale. Mentre il Sindaco auspicato ogni quattro anni lascia il rinnovo del mandato a coloro che lo hanno scelto ed eletto.

Nella ricerca equilibrata di una nuova immagine per il futuro del dirigente scolastico (che DiSAL propose nel proprio Manifesto del 2013), va rigettata la critica dei sindacati autonomi e confederali, che, a partire da riflessioni simili a quelle sopra, descrivono gli attuali presidi, nei casi migliori, impreparati all’esercizio di responsabilità e, addirittura, dei maneggioni orientati alla scelta di “docenti simpatici ai dirigenti” e protesi alla ricerca di interessi personali. Ma va rigettata anche la forzatura dei sindacati dei dirigenti scolastici i quali, tutti tesi a quello che chiamano “potenziamento” della figura dirigenziale, scambiano questo con l’esasperazione di compiti prettamente organizzativi e gestionali fino ad assumere poteri come quelli degli amministratori locali, dimenticando che sono elettivi e rispondono appunto a chi li ha scelti.

No si tratta di dire semplicisticamente che “la soluzione sta nel mezzo” ma di decidere innanzitutto “chi debba gorvernare la scuola” e, in funzione di questo, delineare la nuova figura di chi è chiamato a dirigere scuole, così che, ben radicato in un contesto territoriale, questi riceva con chiarezza gli obiettivi da perseguire, abbia gli strumenti idonei per farlo e risponda del proprio operato ai soggetti sociali unici resposabili dell’educazione e istruzione dei giovani.

 

 
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