Bloc notes di Michele Magno. Abolire il valore del titolo di studio è sicuramente una scelta di sinistra
Formiche.net - 17 settembre 2015DI MICHELE MAGNO
In un articolo su il Foglio di ieri che merita di essere letto, Antonio Gurrado spiega perché abolire il valore legale del titolo di studio è di sinistra. Purtroppo, è una battaglia contro nemici forti e agguerriti: gruppi studenteschi, lobby dei docenti universitari, forze politiche di entrambi gli schieramenti. Non a caso l'emendamento alla riforma della pubblica amministrazione presentato dal senatore Pd,
Abolire il valore legale del titolo di studio deve essere una battaglia di sinistra
Per riformare l’istruzione, a questo punto, ci vuole la dinamite
IlFoglio - di Antonio Gurrado | 16 Settembre 2015 ore 12:54
L’abolizione del valore legale del titolo di studio è una battaglia di sinistra. Non perché l’emendamento alla riforma della Pubblica amministrazione, che fa ponderare il voto di laurea in base all’università di provenienza, sia stato presentato dal senatore Pd
L’applicazione di questo principio però è sempre stata un mito di destra. Nel 2011 un Senato a periclitante maggioranza berlusconiana aveva commissionato un dossier su danni e benefici del valore legale; l’anno dopo il governo Monti aveva azzardato una pubblica consultazione online da cui era però emersa una schiacciante maggioranza conservatrice che riteneva il valore legale non negoziabile. Ciò spiega perché all’atto pratico l’emendamento sia stato sostenuto da Forza Italia mentre le pressioni dei gruppi studenteschi (Udu, Link, Gioventù Comunista, peraltro in disaccordo) causavano il ripensamento del Pd: Francesca Puglisi annunciava che l’emendamento sarebbe stato corretto alla Camera e lo stesso Meloni richiedeva un supplemento di riflessione o serena autocritica.
Non aiuta il voltafaccia della Crui: la Conferenza dei rettori è passata dalla “transizione morbida” verso l’abolizione auspicata dall’ex presidente Marco Mancini al richiamo del successore Stefano Paleari, per il quale il valore legale è un principio cardine, contraddetto dall’emendamento ma impossibile ad abolirsi. Al contrario l’Associazione nazionale docenti universitari ritiene che l’emendamento affossi il valore legale e comporti “l’abolizione dello stato giuridico nazionale dei docenti” nell’ambito dello “smantellamento dell’Università statale da parte di una lobby trasversale accademico-confindustriale che coordina governi, parlamento e grande stampa”.
Il guaio è che il valore legale non è un istituto giuridico. Il dossier del Senato illustra che dal 1933 le lauree sono “qualifiche accademiche” mentre il valore legale s’è imposto transitivamente: “Il titolo di studio non è necessario per l’esercizio della professione bensì per l’ammissione all’esame di Stato, a sua volta necessario all’esercizio della professione”. Quest’inafferrabilità può spiegare le argomentazioni contraddittorie che si levano da entrambi gli schieramenti: ad esempio, il valore legale contrasta col riconoscimento delle competenze dei singoli secondo Andrea Gavosto (Fondazione Agnelli) mentre le tutela secondo un comunicato emesso da Link nello stesso giorno. Complica le cose l’Unione Europea che richiede ai paesi membri una laurea solo per l’esercizio di determinate professioni, mediche e giuridiche per lo più, ma per facilitare la circolazione di studenti e laureati ha imposto di uniformare tutti i programmi d’esame con schemi nazionali di valutazione dei titoli. L’Italia ha sistematizzato l’offerta accademica con un Quadro dei titoli (Qti) che si dirama da “un primo modello prototipale” ideal eterno che però cozza contro un paradosso: la struttura riformata del 3+2 viene ritenuta poco qualificante dall’Ue visto che per le professioni riconosciute uniformemente impone il ciclo unico. Il Qti è quanto di più simile all’effetto concreto del valore legale, ossia che lo Stato garantisca la qualità della formazione secondo standard di idoneità.
Tuttavia per riformare l’istruzione non ci vuole il cacciavite ma