Valutazione e autovalutazione, rischio appiattimento a
breve termine
Valutazione e
autovalutazione: è il tema all’ordine del giorno in molte scuole e in molti
collegi dei docenti. Sull’argomento abbiamo intervistato il dott. Massimo
Faggioli, dirigente di ricerca presso l’Indire.
da La Tecnica
della Scuola – 22 settembre 2015 di R. Palermo
Sono ormai molti anni che si parla di valutazione e
autovalutazione delle scuole, eppure ad ogni nuovo anno scolastico sembra
sempre di essere all’ “anno zero”. Come mai ?
Certo, si può addossare tutto alle “timidezze” del
nostro ministero e a una linea a dir poco indecisa del legislatore in materia
di autovalutazione e valutazione ma direi, più in generale, di autonomia
scolastica. La legge 107 ha mosso qualcosa, e il primo anno di avvio del
Sistema Nazionale di Valutazione ha dato risultati incoraggianti, ma c’è ancora
il rischio che queste operazioni siano viste in chiave borbonica, come azioni
messe in atto dallo Stato per sanzionare e punire.
C’è tuttavia da dire, come altra faccia del
problema, che gli insegnanti reagiscono
a ogni forma di valutazione che li riguarda con un’opposizione di principio
poco comprensibile. Sorge qualche dubbio sul fatto che i docenti, che come
professionisti ogni giorno effettuano valutazioni dei loro studenti, siano
realmente convinti del valore formativo della valutazione e non temano invece
che si applichi nei loro confronti quella soggettività di giudizio che spesso
caratterizza la valutazione dei loro
alunni.
Valutare e autovalutarsi è importante, ma a cosa
dovrebbe servire?
L’autovalutazione è il modo in cui regoliamo
continuamente, in modo quasi inconscio,
le nostre azioni quotidiane, è il fulcro della crescita,
dell’evoluzione: leggere le proprie azioni, valutarne gli esiti, selezionare e consolidare quelle che ci danno
risultati che giudichiamo migliori. Quando queste funzioni si proiettano sulle
organizzazioni complesse il processo diventa più difficile. Le organizzazioni
tendono a cristallizzarsi in routine, adempimenti, ruoli predefiniti. La scuola
non fa eccezione: le pratiche innovative nascono ormai soprattutto dal basso,
per iniziativa di individui o di gruppi ma sono poche le scuole che riescono a sviluppare
processi riflessivi condivisi e a individuare priorità strategiche che
coinvolgano l’intera istituzione scolastica in tutte le sue componenti.
L’autovalutazione è certamente un’ottima “pratica”, ma
non c’è il rischio che si limiti ad essere una attività del tutto
autoreferenziale?
Certo, un’autovalutazione che fosse un processo
isolato, del tutto affidato alla scuola, ci esporrebbe a questo rischio. Molte
iniziative di coustomer satisfaction rivolte agli utenti, questionari per i
genitori e gli studenti, sono talvolta le sole azioni che si richiamino in
qualche modo all’autovalutazione. Ma il SNV prevede molte dimensioni
intrecciate in un sistema complesso: l’auto valutazione avviene a partire da
dati che fornisce la piattaforma del ministero che consentono di confrontare lo
stato della singola scuola con quello di altre scuole dal contesto simile e con
i dati regionali e nazionali. Il RAV viene poi reso pubblico e costituisce la
base per avviare un processo di rendicontazione sociale. Infine,
dall’autovalutazione scaturiscono le priorità del piano di miglioramento, che
impegneranno la scuola in tre anni di lavoro e che potrebbero anche costituire
una componente importante della futura valutazione del DS. Non bisogna dimenticare
poi che in SNV è prevista anche la valutazione esterna delle scuole da parte di
equipe dirette dagli ispettori, che avverrà per un contingente annuo del 10%
delle scuole italiane. Gli esiti dell’autovalutazione potranno essere quindi
confrontati con quelle dei valutatori esterni. Come si vede il nuovo sistema
vede l’autovalutazione come un tassello di un mosaico molto complesso è
tutt’altro che autoreferenziale.
E se parliamo di valutazione esterna?
Se la valutazione è operata da soggetti esterni,
ispettori o altre figure preposte a questo compito, entriamo in un terreno
ancora più ostico, perché, in regime di autonomia incompiuta, le scuole vedono
sovente queste figure come i “commissari di governo” che inquisiscono e
sanzionano le performance dell’istituzione. Nelle sperimentazioni sulla
valutazione abbiamo in qualche caso registrato, come risposta, una sorta di
cheating collettivo a livello dell’intera scuola. In realtà queste valutazioni,
che vengono condotte con protocolli e strumenti trasparenti tesi a leggere la
realtà della scuola, i suoi punti di forza e di debolezza, sono una risorsa
importante per avere una lettura “altra”, fatta da un occhio esterno. Danno
l’opportunità di uscire dall’autoreferenzialità, di confrontare i propri risultati
con quelli di altre scuole, di uscire dalla fissità dei ruoli e delle routine
comunicative che caratterizzano le istituzioni isolate.
Le scuole sono impegnate proprio in questi giorni
nella redazione del “piano di miglioramento”. Ma di cosa si tratta,
precisamente?
Tutto il sistema nazionale di valutazione è
finalizzato al miglioramento della qualità dell’offerta formativa e degli
apprendimenti. Le priorità strategiche che derivano dall’analisi autovalutativa
devono confluire, a partire dall’avvio di questo anno scolastico, in un piano
di miglioramento (PdM).
Non è solo un cambiamento di nome per le consuete
pratiche progettuali delle scuole. Il PdM è un documento che, rispetto al
tradizionale progetto, si caratterizza perché:
- è data driven, muove cioè dalla lettura critica dei
dati dell’autovalutazione.
- muove dall’individuazione, fatta nella sezione 5 del
RAV, di poche priorità strategiche che impegnano tutta la scuola e dai relativi
traguardi triennali
- è un processo condiviso dove si esprime l’autonomia
della scuola
- ne è responsabile il Dirigente Scolastico, che fa
parte del nucleo operativo della scuola
- per ogni obiettivo, funzionale in modo esplicito al
raggiungimento dei traguardi, sono analizzati la fattibilità e l’impatto, le
risorse umane e finanziarie da impegnare, i tempi e gli indicatori su cui
basare una periodica misurazione degli esiti del piano.
E’ forse questo il punto più originale che differenzia
la pianificazione dalla progettazione tradizionale: qui gli obiettivi sono
dotati di indicatori e la scuola si dà una tempistica per effettuare misurazioni
cicliche dei risultati e all’occorrenza apportare modifiche o correzioni al
piano stesso.
Tutto bene allora, o ci sono punti deboli nel nuovo
sistema di valutazione?
Il rischio maggiore che vediamo è l’appiattimento sui
risultati a breve termine. L’enfasi sui dati, sui risultati di apprendimento,
rischia di spingere le scuole ad adottare misure dal respiro corto e dagli
effetti pressoché immediati. Se si aggiunge che i traguardi del RAV finiranno
con l’avere un ruolo importante nella valutazione dei Dirigenti Scolastici, con
effetti anche economici e di carriera, pochi avranno il coraggio di
incamminarsi in percorsi innovativi che aggrediscano i veri problemi della
scuola, come la prevalenza della didattica trasmissiva e la quasi assenza di
quella laboratoriale, o una revisione profonda del tempo e dello spazio
dell’ambiente di apprendimento, e molti si assicureranno invece percorsi
semplici e strumentali per migliorare i risultati delle prove INVALSI o degli scrutini,
con un dilagare del triste fenomeno del teaching to test di cui la scuola
italiana non ha davvero bisogno!