01/12/2017 - LaStampa - PAOLO BARONI
Incavolati neri e offesi, mortificati, incapaci di esprimere apertamente la propria rabbia ma anche di dimenticare e di perdonare, in una parola rancorosi. Così il Censis dipinge gli italiani, non tutti ma certamente una bella fetta. L’Italia è uscita dal tunnel, l’economia ha ripreso a crescere bene, trainata dall’industria manifatturiera, dall’export e dal turismo che hanno messo a segno risultati da record, ma questo non impedisce che in parallelo dilaghi il rancore. Che assieme alla nostalgia finisce tra l’altro per condizionare la domanda politica di chi è rimasto indietro ingrossando le fila di sovranisti e populisti. Il fenomeno non è certo nuovo, ma ora investe anche il ceto medio e si fa molto più preoccupante, perché in parallelo «l’immaginario collettivo ha perso la sua forza propulsiva di una volta e non c’è più un’agenda condivisa».
LA RIPRESA NON BASTA
Nella ripresa, mette in chiaro il Censis nel suo 51esimo rapporto sulla situazione sociale del Paese, persistono infatti «trascinamenti inerziali» da maneggiare con cura: il rimpicciolimento demografico della nazione, la povertà del capitale umano immigrato, la polarizzazione dell’occupazione che penalizza l’ex ceto medio. In particolare non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica e per questo il blocco della mobilità sociale finisce per creare rancore. Un fenomeno questo, è scritto nel Rapporto, che nella nostra società «è di scena da tempo, con esibizioni di volta in volta indirizzate verso l’alto, attraverso i veementi toni dell’antipolitica, o verso il basso, a caccia di indifesi e marginali capri espiatori, dagli homeless ai rifugiati. È un sentimento che nasce da una condizione strutturale di blocco della mobilità sociale, che nella crisi ha coinvolto pesantemente anche il ceto medio, oltre ai gruppi collocati nella parte più bassa della piramide sociale». E ancora: «se la crisi ha avuto effetti psicologici regressivi con la logica del “meno hai, più sei colpito”, la ripresa finora non è ancora riuscita a invertire in modo tangibile e inequivocabile la rotta . La distribuzione dei suoi dividendi sociali appare finora adeguata a riaprire l’unica via che potrebbe allentare tutte le tensioni: la mobilità sociale verso l’alto».
CETO MEDIO IN CRISI
L’87,3% degli italiani appartenenti al ceto popolare pensa infatti che sia difficile salire nella scala sociale, come l’83,5% del ceto medio e anche il 71,4% del ceto benestante. Pensano che al contrario sia facile scivolare in basso nella scala sociale il 71,5% del ceto popolare, il 65,4% del ceto medio, il 62,1% dei più abbienti. La paura del declassamento è insomma il nuovo fantasma sociale. Ed è una componente costitutiva della psicologia dei millennials: l’87,3% di loro pensa che sia molto difficile l’ascesa sociale e il 69,3% che al contrario sia molto facile il capitombolo in basso. Di conseguenza, spiegano al Censis, si rimarcano sempre più le distanze dagli altri: il 66,2% dei genitori italiani si dice contrario all’eventualità che la propria figlia sposi una persona di religione islamica, il 48,1% una più anziana di vent’anni, il 42,4% una dello stesso sesso, il 41,4% un immigrato, il 27,2% un asiatico, il 26,8% una persona che ha già figli, il 26% una con un livello di istruzione inferiore, il 25,6% una di origine africana, il 14,1% una con una condizione economica più bassa. E l’immigrazione evoca sentimenti negativi nel 59% degli italiani, con valori più alti quando si scende nella scala sociale: il 72% tra le casalinghe, il 71% tra i disoccupati, il 63% tra gli operai.
ADDIO VECCHI MITI
Altro dato, l’immaginario collettivo, ovvero quell’insieme di valori e simboli in grado di plasmare le aspirazioni individuali e i percorsi esistenziali di ciascuno, quindi di definire un’agenda sociale condivisa. Anche su questo fronte si è persa gran parte della forza propulsiva. «Nell’Italia del miracolo economico il ciclo espansivo era accompagnato da miti positivi che fungevano da motore alla crescita economica e identitaria della nazione» è scritto ancora nel rapporto Censis. Adesso, invece, «nelle fasce d’età più giovani (gli under 30) i vecchi miti appaiono consumati e stinti, soppiantati dalle nuove icone della contemporaneità». Nella mappa del nuovo immaginario i social network si posizionano al primo posto (32,7%), poi resiste il mito del «posto fisso» (29,9%), però seguito a breve dallo smartphone (26,9%), dalla cura del corpo (i tatuaggi e la chirurgia estetica: 23,1%) e dal selfie (21,6%), prima della casa di proprietà (17,9%), del buon titolo di studio come strumento per accedere ai processi di ascesa sociale (14,9%) e dell’automobile nuova come oggetto del desiderio (7,4%). Nella composizione del nuovo immaginario collettivo il cinema è meno influente di un tempo (appena il 2,1% delle indicazioni) rispetto al ruolo egemonico conquistato dai social network (27,1%) e più in generale da internet (26,6%).
LAVORO POLARIZZATO
Nel campo del lavoro la polarizzazione dell’occupazione penalizza operai, artigiani e impiegati. Chi ha vinto in questi anni nella ripresa dell’occupazione si trova in cima e nel fondo della piramide professionale. Nel periodo 2011-2016 operai e artigiani diminuiscono dell’11%, gli impiegati del 3,9%. Le professioni intellettuali invece crescono dell’11,4% e, all’opposto, aumentano gli addetti alle vendite e ai servizi personali (+10,2%) e il personale non qualificato (+11,9%). Nell’ultimo anno l’incremento di occupazione più rilevante - segnala il Rapporto - riguarda gli addetti allo spostamento e alla consegna delle merci (+11,4%) nella delivery economy. Nella ricomposizione della piramide professionale aumentano dunque le distanze tra l’area non qualificata e il vertice. E se tra il 2006 e il 2016 il numero complessivo dei liberi professionisti è aumentato del 26,2%, quelli con meno di 40 anni sono diminuiti del 4,4% (circa 20.000 in meno). La quota di giovani professionisti sul totale è scesa al 31,3%: 10 punti in meno in dieci anni.
LA DOMANDA POLITICA
Risentimento e nostalgia si riflettono pesantemente anche sulla domanda politica. E l’onda di sfiducia non perdona nessuno: l’84% degli italiani non ha fiducia nei partiti politici, il 78% nel Governo, il 76% nel Parlamento, il 70% nelle istituzioni locali, Regioni e Comuni. Il 60% è insoddisfatto di come funziona la democrazia nel nostro Paese, il 64% è convinto che la voce del cittadino non conti nulla, il 75% giudica negativamente la fornitura dei servizi pubblici. «Non sorprende – segnala ancora il Censis - che i gruppi sociali più destrutturati dalla crisi, dalla rivoluzione tecnologica e dai processi della globalizzazione siano anche i più sensibili alle sirene del populismo e del sovranismo. L’astioso impoverimento del linguaggio rivela non solo il rigetto del ceto dirigente, ma anche la richiesta di attenzione da parte di soggetti che si sentono esclusi dalla dialettica socio-politica».
Il capitolo «Processi formativi» del 51° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2017
Censis - 1 dicembre 2017
Dirigenza scolastica a rischio burn out?
Nell'annuale rilevazione del Censis su oltre 1.000 dirigenti scolastici emerge il prevalere tra i docenti di disorientamento (39,8% delle scuole) e demotivazione (21,8%), e solo nel 20,8% di un atteggiamento ottimistico. Per i dirigenti intervistati, tra gli aspetti della loro professione che negli ultimi anni sono stati particolarmente gravosi, al primo posto si collocano quelli normativi e burocratici. In particolare, in un range che va da 1=per niente gravoso a 10=molto gravoso hanno assegnato un punteggio medio di 8,30 al nodo critico dell'applicazione e delle responsabilità relative a normative generali, quali privacy, trasparenza amministrativa e siti web, anticorruzione e soprattutto in materia di sicurezza e edilizia scolastica. Il 68,8% dei dirigenti ritiene necessario affrontare urgentemente il nodo economico, chiedendo un incremento delle retribuzioni in linea con il loro ruolo di dirigenti pubblici. Il 37,5% avanza la richiesta di un supporto organizzativo e amministrativo per l'applicazione delle procedure per la dematerializzazione e del Codice dell'Amministrazione Digitale.
La struttura molecolare dell'innovazione: le reti di scuole.
Dell'annuale indagine del Censis su dirigenti scolastici emerge che su 1.048 scuole ben il 93,2% aderisce ad almeno una rete di scopo (il 56,1% è inserita in più di due reti). La rete di ambito è vista soprattutto come un'opportunità per far circolare tra le scuole aderenti le buone pratiche in atto (48,3%), il 36,7% dei dirigenti sottolinea che permette di fare economie di scala, il 36,6% che è un supporto al miglioramento di pratiche educative della scuola e il 33,3% che agevola l'accesso ai finanziamenti. Il valore aggiunto delle reti di scopo è, invece, individuato nel loro supporto al miglioramento della didattica e delle pratiche educative (52,9%) e alla circolazione di buone pratiche (45,5%). Ne consegue che interesse e grado di utilità percepiti siano molto alti per quelle con obiettivi di innovazione dell'organizzazione e delle metodologie didattiche. In particolare, il 51,6% dei dirigenti intervistati ritiene molto utili e interessanti per la propria realtà scolastica le reti per l'introduzione di nuove metodologie didattiche e un altro 39,8% le reputa comunque abbastanza utili.
La crescente emersione degli studenti con disabilità e Dsa nella scuola.
L'analisi diacronica della presenza di alunni con disabilità nella scuola statale ne evidenzia una progressiva emersione. Infatti, nel decennio 2007-2017 per quanto riguarda la scuola dell'infanzia e del I ciclo (primaria e secondaria di I grado) gli alunni con disabilità riportano una variazione pari a +26,8% e per l'a.s. 2017-2018 sono pari, in termini assoluti, a 168.708 individui, con una incidenza pari a 3,3 ogni 100 alunni, concentrati per il 38,3% nel Sud, il 26,1% al Nord-Ovest, al Centro il 20,2% e al Nord-Est il 15,5%. Nella scuola secondaria di II grado l'incremento nello stesso decennio è stato di gran lunga superiore, attestandosi a quota +59,4% e arrivando a contare nell'a.s. 2017-2018 65.950 individui, con una incidenza media nazionale pari 2,5 ogni 100 alunni. Anche per il secondo ciclo di istruzione è nel Sud che si rileva la maggiore concentrazione (42,2%), seguito dalle regioni del Centro (21,5%), del Nord-Ovest (20,8%) e del Nord-Est (15,5%). Un'altra tipologia di alunni con bisogni speciali in forte aumento è quella degli studenti con disturbi specifici dell'apprendimento (Dsa), che nell'a.s. 2014-2015 nel ciclo dell'istruzione secondaria di II grado ammontavano a quasi 68.000 individui, cresciuti nella misura del 180,9% rispetto all'a.s. 2011-2012, pari a 2,5 alunni ogni 100. Stando ai dati del Miur, i posti per docenti di sostegno assegnati hanno raggiunto quota 138.849, uno ogni 1,7 alunni con disabilità (nell'a.s. 2007-2008 il rapporto era di un docente di sostegno ogni due alunni con disabilità), segnando un incremento rispetto all'anno precedente pari a +11,5% e del +57% rispetto a dieci anni prima.
L'università e la sfida dell'inclusione.
Da una ricerca realizzata dal Censis con il contributo di 40 università, sulla base dei dati raccolti nel 65% degli atenei italiani, nell'a.a. 2014-2015 la popolazione degli studenti iscritti con disabilità (con invalidità >66% e con Dsa) ha raggiunto i 14.649 individui, riportando nell'arco di tre anni un incremento del 13,3% (studenti con invalidità >66% +1,4%, con Dsa +108,3%), con una incidenza complessiva di 10,2 studenti ogni mille. La maggior parte di loro è iscritta a corsi di studio dell'area umanistica e della formazione (il 33,1% nel 2014-2015), seguita dall'area scientifica (29,3%) e da quella economico-giuridica (27,7%). Solo il 9,9% frequenta corsi dell'area medica. Tra gli studenti seguiti dai servizi di ateneo si percepisce una complessiva soddisfazione per la scelta compiuta. L'82,1% dichiara che si iscriverebbe di nuovo all'università che frequentata. Tra gli studenti con Dsa, i miglioramenti auspicati si concentrano soprattutto sulla dimensione relazionale-didattica: maggiore disponibilità dei docenti verso bisogni speciali degli studenti (48,7%), maggiore accesso al materiale didattico (37,4%), maggiore disponibilità di ausili tecnologici (36,5%). Gli studenti con disabilità aggiungono la richiesta di una più agevole accessibilità dei luoghi dell'ateneo: disponibilità di posti riservati nelle aule (33,6%), accesso alle aule (26,8%) e ai servizi igienici (28%), spostamenti più agevoli tra aule e sedi universitarie (29,6%) e da casa all'università (20%).
Recuperare l'apprendimento permanente.
Nel 2016 in Italia la quota di adulti che partecipano all'apprendimento permanente, incrementata di un punto percentuale rispetto all'anno precedente, era pari all'8,3%, ancora inferiore al valore medio europeo (10,8%). Le donne manifestano una maggiore propensione alla formazione, in quanto partecipi nella misura dell'8,7% rispetto al 7,8% degli uomini, insieme alle coorti più giovani, in misura più che doppia di quelle più anziane (il 15,1% di 25-34enni rispetto al 7,1% dei 35-54enni). Ed emerge una progressiva divaricazione della domanda tra le professioni skilled e le professioni qualificate come medium low skilled (operai e artigiani), il cui peso percentuale si comprime. Si osserva un incremento dei laureati sia nelle professioni high skilled (dal 42,9% al 49,6%), sia in quelle medium skilled (dal 9,1% al 10,7%). Slittano verso il basso i diplomati, la cui presenza diminuisce nelle professioni high skilled (dal 49,2% al 44,2%) e cresce in quelle medium low skilled (dal 35,7% al 39,5%) e low skilled (dal 30,5% al 33,4%). Si evidenzia il bisogno di creare opportunità formative in grado di garantire il rafforzamento delle competenze di occupati che, pur disponendo di livelli di istruzione secondaria, rischiano di rimanere schiacciati verso professioni meno qualificate e meno richieste.
Il documento e le attese degli italiani |
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