Eventi/Dal convegno DiSAL, il coraggio di dirigere scuole


Il coraggio di dirigere scuole come comunità formative.

Istruzioni (ai presidi) per liberarla dal sindacalismo dominante. I ds possono essere agenti di cambiamento solo se affrontano le situazioni di crisi come opportunità di scelta. Spunti dall’ultimo convegno

IlSussidiario  -  11 marzo 2018  -  Roberto Pellegatta  DiSAL

1.  Al termine del mese elettorale, durante il quale invano si sarebbe cercata la voce “scuola” negli impegni dei partiti, il 31° convegno DiSAL a Torino ha allargato lo sguardo proprio a quel futuro di cui ha vitale necessità il mondo dell’istruzione e formazione.

Le proposte dei partiti sono rimaste succubi della tipica diatriba sindacale “pro o contro – quasi tutti –la Buona scuola”, segno non solo della povertà culturale sul tema, ma – ed è quel che conta -  della basso livello di consapevolezza del valore cruciale dell’istruzione per lo stesso sviluppo della nazione.  

La recente riflessione sui quarant’anni di pubblicazione de “Il Rischio educativo” di don Luigi Giussani ha offerto agli oltre cento presidi delle scuole statali e non statali serie ragioni per disegnare una “direzione educativa” (o leadership educativa, come l’anglo-dipendenza chiede) delle scuole  come modello professionale, contro il prevalere nella professione sono elementi formali.

Secondo Angelo Paletta (Università di Bologna) c’è, nei sistemi scolastici del mondo, una forte crescita di interesse verso la leadership educativa come modalità di direzione per una buona scuola.

Ma per praticare questa scelta nel contesto istituzionale e amministrativo attuale ci vuole forte dose di coraggio, ha sostenuto Vincenzo Perrone (Università Bocconi): le ricerche internazionali dimostrano che i dirigenti scolastici possono essere agenti di cambiamento, ma solo se affrontano le situazioni di  crisi come occasione per scegliere, per giudicare, unica possibilità per cambiare, scegliendo la via della “direzione diffusa”, cioè della collaborazione, cercando assieme con i docenti le motivazioni adeguate.

2.  “La scuola è sempre stata un’istituzione estremamente conservatrice – ha sostenuto Francesc Pedrò (Capo Dipartimento delle politiche educative dell’UNESCO)  -  tutta incentrata sulle discipline”.  Ma “i problemi che i giovani pongono alla scuola ci costringono a guadare al cambiamento, che ha la sua radice proprio nell’essere attenti alla realtà dei ragazzi, prima ancora che ai mutamenti scientifici o sociali”. Durante la giornata di sessione internazionale Pedrò ha ribadito che per l’uso delle nuove  tecnologie non si debbono abbandonare a sé stessi i giovani nell’uso: la vera innovazione esige nei docenti idee chiare.  Tecnologia di per sé non è automaticamente innovazione, ma una grande opportunità che esige metodo, conoscenze e finalità. Ma soprattutto esige un lavoro di squadra condividendo un disegno pedagogico. Solo così si può orientare gli strumenti più avanzati ad fine umanizzante, al servizio della persona e della comunità.

Riportando sintesi di ricerche internazionali, Pedrò ha ricordato che “più autonomia e flessibilità fanno crescere l’innovazione”, sia nella revisione dei curricoli per combinare in modo intelligente conoscenze e competenze, contenti e metodi, per dare spazio alla persona, che deve imparare ad affrontare sfide e problemi, più libera nel gestirsi, più attenta ai propri ritmi di apprendimento.

3.  Nel dialogo tra Giorgio Chiosso (Università di Torino) e Ludovico Albert (Fondazione per la Scuola di Torino) si è tolta dall’innovazione la magia delle mode. Purtroppo “la scuola da secoli non è poi tanto mutata: aule, banchi, corridoio, lezione dalla cattedra, intervallo sono rimasti nel tempo”, mentre molto dell’apprendimento avviene fuori dalla scuola. Il cuore del cambiamento comunque, per Chiosso, sta nel superare la disaffezione e le debolezza professionale dei docenti alla scuola, a causa di una professione poco desiderata e non più stimata. “La priorità della politica dovrà essere quella di curare la preparazione degli insegnanti, per attrarre alla scuola i migliori, nel contempo potenziando  l’autonomia delle scuole”.

Lo scambio tra Beate Weyland (Libera Università di Bolzano) e Cesare Rivoltella (Università Cattolica di Milano) ha aiutato altresì a rifuggire da sogni di edifici e strumenti futuribili, per “iniziare a coprogettare su come riqualificare gli spazi scolastici esistenti, per renderli belli, buoni nella fruibilità, giusti nella reale proporzione ai bisogni delle persone e veri nella capacità di mostrare risposte effettive alla vita scolastica”.

Rivoltella ha ricordato che “i ragazzi hanno fiuto” (Papa Francesco) e quindi da subito si accorgono di avere di fronte adulti significativi, cioè portatori di un patrimonio culturale e di una motivazione ideale. Occorre che docenti e dirigenti inizino ad agire non più come “impiegati” pubblici, ma da veri “intellettuali incompiuti” (Papa Francesco) perché, da “homini viatores” non pretendono di sapere tutto, di versare nella mente del discente tutto il loro scibile, ma sanno farsi criticare e presentano un sapere falsificabile, quale metodo alla ricerca del sapere.

4.  Il dramma dell’Italia di oggi (ce lo ha appena ricordato De Rita) è l’assenza di una dirigenza, ovunque ed i movimenti dei 5Stelle e della Lega sono lì a confermarcelo.

Anche la scuola ha bisogno di una dirigenza non tecnocratica o burocratica, ma radicalmente educativa, perché questa è e sarà sempre la missione della scuola. Angelo Paletta (Università di Bologna), Cristina Mignatti (Educational Advisor, Consolato italiano Toronto) e Tiago Bianchi  (Direttore  del Colegio “Sao Tomas” di Lisbona) hanno saputo interpellare i presidi al Convegno di Torino sul disegno pedagogico di cui sono portatori nella scuola, sulla visione da condividere tra loro e con le rispettive comunità professionali.

Sempre risalendo a ricerche internazionali Paletta ho evidenziato come gli effetti della autonomia della scuole e delle decisioni di chi dirige mostrano un significativo aumento degli apprendimenti negli studenti.

Non si tratta, però, solo di migliorare la qualità: va messa in gioco anche l’equità, senza ridurre l’attenzione solo a comportamenti misurabili, che altrimenti si finisce per incentivare comportamenti  opportunistici. “Gli apprendimenti migliorano – ha sostenuto Paletta  -  per il frutto di una comunità: la responsabilità è comune e le leve da attivare sono anche il frutto di alleanze, del saper far crescere nel territorio l’interesse all’istruzione” e l’antivirus a comportamenti opportunistici è solo una  leadership educativa condivisa, dove il dirigente scolastico fa crescere i proprio collaboratori, innanzitutto con la propria testimonianza”. “In questo senso  -  ha concluso Paletta  -  il dirigente scolastico diventa vero imprenditore che lavora per il “rischio educativo” della qualità e dell’equità”.

5.  Ezio Delfino, nel tirare le fila dei lavori, ha ricordato come sia urgente l’essere testimoni di una nuova visione della scuola, tesi alla costruzione di una comunità professionale di adulti capaci di motivare la fatica e l’impegno dello studio, della cultura. Le stesse realtà associativa, vere e proprie compagnie professionali, hanno senso solo come aiuto a questo compito.

Il sindacalismo imperversa sempre più, fino al recente tentativo di assorbire tutto il tema del merito nell’esercizio del loro infelice potere di controllo. L’associazionismo è invece fonte di libertà culturale, di originalità, perché è spazio alle persone e non ai biechi interessi di bottega o di potere.

“Essere e fare associazione – ha ricordato di recente Papa Francesco all’AIMC  - è un grande valore da coltivare sempre, con lo sguardo aperto all’orizzonte sociale e culturale”.

Il cambiamento è già in atto in molte scuole dove molti adulti hanno rischiato di assumersi responsabilità, utilizzando i pochi spazi di flessibilità possibili.

Alla politica i presidi presenti hanno chiesto di valorizzare la professione direttiva e docente, ampliare spazi di autonomia e libertà formativa, saper valutare con modelli e strumenti adeguati l’esito delle scuole, ripensare una pianificazione territoriale che riveda l’ingigantimento delle istituzioni e sia più attenta alle difficoltà e differenze.

“Tra dieci anni – ha ricordato Bernard Scholtz (Compagnia delle Opere) - l’Ocse sostiene che il 65% dei ragazzi faranno un lavoro che oggi non esiste”.  Per questo servono veri intellettuali capaci di affrontare cambiamenti e sfide, senza cedere alle mode, nè ad arroccarsi sulla conservazione del passato; senza chiudersi nell’orto della propria scuola o del proprio ufficio; costruendo legami professionali associativi che sappiano rilanciare l’autonomia delle scuole per essere capaci di risposte alle comunità locali; che sappiano costruire legami, alleanze che facciano delle scuole vere e proprie comunità educative.

“Dirigere scuole – ha sempre ricordato Scholtz - è un lavoro di grande complessità”, nel quale, senza adeguati riconoscimenti e strumenti normativi, sono anche cresciute notevoli responsabilità:  “ma la scuola – ha concluso -  e quindi la nazione ha bisogno urgente di chi se le assume con libertà e servizio”.

 
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