Nel maggio del 1945, il pittore ha
prestato servizio come volontario per l’American Field Service al seguito delle
truppe di liberazione del campo di concentramento di Bergen-Belsen come autista
di ambulanze e barelliere.
Il grande
riscontro ricevuto per l’apertura estiva del Memoriale, da parte di turisti
italiani, internazionali e milanesi che hanno avuto l’opportunità di scoprire
questo luogo così vicino, ma allo stesso tempo estremamente lontano, ha
intensificato ancora di più l’urgenza di comunicare e soprattutto ricordare gli
orrori dell’indifferenza.
L’obiettivo di
questa mostra è quello di dare finalmente voce ai disegni e ai diari, rimasti
fino ad ora in gran parte inediti di William Congdon. Nel 1945, il pittore ha
prestato servizio come volontario per l’American Field Service al seguito delle
truppe di liberazione del campo di concentramento di Bergen-Belsen. Si tratta
di un’organizzazione di ambulanzieri e barellieri volontari durante la prima e
la seconda guerra mondiale, che poi ha proseguito la propria attività di
volontariato a livello mondiale, attraverso l’organizzazione degli scambi
studenteschi per i ragazzi delle scuole superiori per favorire il dialogo
interculturale, di cui Intercultura è la diramazione italiana. La
partecipazione dell’artista agli eventi bellici ha segnato in lui una
sensibilità peculiare nei confronti dei drammi collettivi, che si ritrova nelle
sue opere come una carezza che lacera l’animo umano. Gli appunti presi durante
la sua tragica esperienza dicono del suo sforzo di non smarrire il senso della
“unicità dell’Uno”. Le figure, i volti, le immagini e le voci presenti nella
mostra accompagnano, quindi, i visitatori non solo in un viaggio all’interno di
Bergen Belsen, ma anche di sé stessi.
“Quando il
Consolato Generale degli Stati Uniti d’America e la William G.Congdon
Foundation ci hanno proposto di organizzare insieme la mostra William Congdon –
in the Death of One, a colpirci è stata l’estrema delicatezza nel ritrarre
persone che avevano subito l’indicibile e ne portavano ancora i segni, con
un’elegante resistenza e dignità – commenta Roberto Jarach, presidente del
Memoriale della Shoah. “Il “matrimonio” tra il Memoriale e questo progetto è
stato quindi naturale, e ci auguriamo che tutti coloro che avranno modo di
vedere questa mostra possano terminare la visita con qualche dubbio in più, e
qualche certezza in meno.”
Alla sua voce fa
eco anche quella di Robert S.Needham, Console Generale del Consolato degli
Stati Uniti d’America in Italia: “Il nostro sostegno e cooperazione con la
Fondazione William G. Congdon e il Memoriale della Shoah di Milano si basa
sulla comune convinzione che non dobbiamo mai dimenticare gli orrori
dell’Olocausto, che dobbiamo onorare i ricordi, le esperienze e le sofferenze
di coloro che ne sono stati vittime, e che dobbiamo imparare dalla storia a
costruire un mondo in cui la violenza non abbia posto. Il Consolato Generale
degli Stati Uniti è orgoglioso di sostenere questa mostra in collaborazione con
il Memoriale della Shoah, un museo di grande importanza non solo per i milanesi
e per l’Italia, ma per tutta l’umanità.”
Anche la William
G.Congdon Foundation è estremamente fiera di questa collaborazione tra i
diversi enti che, condividendo la stessa missione, hanno consentito a un
artista come William Congdon di ottenere un giusto risarcimento: “Infatti,
subito dopo la guerra, egli aveva invano proposto a vari editori le immagini e
i testi scaturisti dall’esperienza di Bergen-Belsen. Oggi essi
trovano
finalmente il luogo adeguato e prestigioso per venire alla luce così come
l’autore li aveva concepiti. Di questo siamo profondamente grati al Memoriale
della Shoah di Milano, nonché al Consolato USA di Milano e alla Fondazione
Intercultura Onlus che hanno sostenuto l’iniziativa.”
“Intercultura è
felice di essere associata a questa mostra e al ricordo di William Congdon, che
insieme aiutano a ripercorrere le origini della nostra organizzazione sui campi
di battaglia di due guerre mondiali. Da quelle tragiche esperienze nacque la
consapevolezza di dover favorire gli incontri internazionali, soprattutto tra i
giovani, per superare le differenze e promuovere una cultura di pace” conclude
Roberto Ruffino, Segretario Generale della Fondazione Intercultura.