Fonte: Famiglia cristiana. Articolo di Antonio Sanfrancesco dell’08/09/2023.
L’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, apre l’anno pastorale per la diocesi e illustra la Proposta pastorale “Viviamo di una vita ricevuta”: «La civiltà europea mi sembra orientata a un declino come se gli europei avessero uno scarso desiderio di vivere e smarrito il gusto e la speranza del futuro. Vorrei dissuadere dalla reticenza gli educatori cristiani e incoraggiarli ad affermare il messaggio che l'antropologia cristiana può offrire sull’affettività, l’educazione sessuale, le relazioni e la responsabilità verso gli altri»
«La civiltà europea mi sembra orientata a un declino e a un suicidio, come se gli europei avessero uno scarso desiderio di vivere e smarrito il gusto e la speranza del futuro. È la cultura che si respira oggi nel nostro Continente. Esiste un’alternativa a questo declino?». È la diagnosi (e la domanda) da cui è partito l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, nell’elaborare la Proposta pastorale («non è una lettera ma un programma di lavoro», precisa) per il prossimo anno intitolata “Viviamo di vita ricevuta” e nata, sottolinea, da un ascolto e una consultazione «che ha coinvolto i Consigli diocesani - presbiterale e pastorale -, così come persone che hanno ritenuto di farmi pervenire osservazioni e proposte».
L’arcivescovo individua la radice di questo declino nell’individualismo che, spiega, offre «l’illusione di essere padroni e arbitri insindacabili della propria esistenza: ci si trova di fronte alle infinite possibilità offerte dalla situazione e si può scegliere la via da percorrere per giungere al compimento dei propri desideri. La vita e mia e ne faccio quello che voglio. Le domande sul principio e sulla fine, sul perché e sul senso risultano moleste, imbarazzanti».
Nel dialogare con i giornalisti, durante la conferenza stampa di presentazione della Proposta, Delpini cita una pubblicità affissa sui muri di Milano che recita così: “Siamo unici”. «Forse l’intenzione di questa pubblicità è dire che siamo unici e quindi soli e isolati», commenta, «anche se questa espressione ha una radice cristiana, siamo unici non perché siamo isolati ma perché siamo chiamati per nome, tutti veniamo al mondo perché siamo chiamati. Dio è Colui che ci chiama alla vita e diventa principio di unicità per ciascuno e di responsabilità per tutti. Tutti siamo unici ma nessuno è solo e siamo chiamati a costruire una comunità in cui sia desiderabile abitare e in cui ognuno senta la responsabilità degli altri e del futuro nella persuasione che nessuno può costruire il mondo da solo facendo esclusivamente riferimento a sé stesso ma in rapporto con Dio, gli altri e l’ambiente in cui viviamo».
Delpini ricorda i temi dai quali è partito e che costituiscono altrettanti capitoli della Proposta: «Il tema della guerra ha fatto irruzione con una violenza che ha spaventato gli europei, forse soprattutto i bambini e i ragazzi. E allora mi sono chiesto se esiste un’alternativa alla rassegnazione, alla guerra per affermare pretese e ambizioni dei popoli. Un altro segno che mi ha indotto a riflettere è la fragilità della famiglia e dei rapporti familiari che spaventano i ragazzi e gli adolescenti. Questa fragilità fa venire voglia alla generazione giovanile di fare famiglia, di desiderare di essere padri e madri? E se questo desiderio è oscurato da un’inadeguatezza alla fedeltà fa venir voglia di mettere al mondo dei figli? La diffusione così pacifica e scontata della pratica dell’aborto esprime un desiderio di morte nel nostro continente mentre la confusione sul piano affettivo e sessuale significa forse che la prospettiva di quella reciprocità feconda tra uomo e donna sia considerato una mortificazione del desiderio e non il suo compimento».
La risposta di Delpini è che «il declino dell’Europa e lo scarso desiderio di maternità e paternità dipenda dall’individualismo che diventa criterio di comportamento. Abitando questo contesto mi sono chiesto qual è la proposta che abbiamo come chiesa e comunità cristiana», sottolinea, «ed è quella di un modo di intendere la vita che promette un futuro. E questo modo di intenderla vita noi cristiani la chiamiamo vocazione».
Alla domanda su come questo individualismo ha permeato Milano, l’arcivescovo risponde che la città una «tipica espressione della civiltà europea anche se con una sua specificità», precisa, «al termine della visita pastorale ho visto tante realtà e ho avuto una panoramica capillare. Vorrei scrivere una lettera alla chiesa che è in Milano. Potrebbe essere un’occasione ulteriore per dialogare anche con voi giornalisti. A Milano ci sono le scelte dei singoli molto individualistiche ma il comportamento ha molti tratti di solidarietà, come se l’animo del milanese avesse una sua intrinseca accoglienza. La mia impressione è che a Milano ci sia molta solidarietà, molta cura per anziani, bambini, poveri, una capacità di prendersi cura. Non vorrei dare un’immagine di un individualismo come egoismo spietato. L’individualismo è soprattutto sulle scelte personali».
Nella Proposta, Delpini tocca diversi temi: l’educazione affettiva, la preparazione al matrimonio religioso, l’accoglienza della vita, il lavoro, la pace, la terza età. «Proprio perché come cristiani abbiamo qualcosa da dire e una proposta da fare», spiega l’arcivescovo, «è una responsabilità degli educatori, a cominciare dai genitori, a non essere reticenti. Invece mi sembra che alcuni temi, come l’identità di genere, ad esempio, abbiano indotto i genitori e gli educatori alla reticenza. Lo scopo della mia Proposta è dissuadere dalla reticenza e affermare il messaggio che l'antropologia cristiana può offrire. Non ho una posizione tale da condannare l'ideologia del genere - ha aggiunto - penso che l'antropologia cristiana parli di una vocazione a essere in relazione e alla reciprocità e di una dinamica affettiva molto diversificata». Secondo Delpini, «questa ossessione della sessualità finisce per dare una enfasi sproporzionata a un aspetto importante, ma che non è l'unico aspetto relazionale. Non possiamo abbandonare le persone alle emozioni o alla pressione mediatica che sembra tutta orientata a questa forma di fluidità dei rapporti. Credo che gli educatori, e i genitori in modo particolare, non debbano ritrarsi dalle loro responsabilità».
Delpini ha poi risposto ai giornalisti che chiedevano se, per i giovani, l'approccio giusto sia quello di una politica securitaria sulla scia di quanto sta proponendo il governo: «Il governo fa il suo mestiere ma le famiglie devono essere coinvolte» nei problemi dei giovani sennò può sembrare «che gli adulti siano incapaci di affrontare le proprie responsabilità. Si tratta di creare alleanze che vadano oltre gli interventi di repressione» anche appoggiandosi «agli oratori, alle scuole o alle società sportive che non possono andare ognuno per conto proprio. Non c'è una soluzione che passa solo da una maggiore vigilanza. I giovani lasciati soli - ha aggiunto l’arcivescovo - finiscono per diventare un popolo di cani sciolti. E i cani sciolti prima o poi mordono. Quando un adolescente ascolta le considerazioni degli adulti gli viene voglia di diventare adulto? C'è una sorta di complesso di inferiorità della generazione adulta rispetto alle fasce giovanili».
L'arcivescovo ha parlato anche del tema della violenza contro le donne «che sono considerate quasi come una proprietà» quando invece «siamo chiamati a vivere l'amore come un dono non come un diritto».
Delpini ha concluso ricordando che il virus dell’individualismo può contagiare anche i cristiani: «Per evitare questo rischio devono essere molto vigili», spiega, «non devono immaginarsi un mondo a parte ma forse hanno le risorse per farlo evolvere. Anche noi cristiani a volte siamo malati di individualismo e dobbiamo proseguire nel nostro cammino di conversione per essere discepoli di quel Gesù che ha voluto convocare una comunità e non accontentare dei singoli».
Prima della conferenza stampa e del dialogo con i giornalisti, monsignor Delpini ha aperto in Duomo il nuovo anno pastorale della Diocesi ambrosiana. Un avvio tradizionalmente fissato all’8 settembre in occasione della festa della Natività di Maria, patrona della cattedrale. Nel corso della Messa si è svolto il Rito di ammissione di undici seminaristi della Diocesi al percorso verso l’ordinazione sacerdotale e di un laico che inizia il cammino per diventare diacono permanente.