Pareri/Risè: ricominciare a dire “no”


QUELL’EDUCAZIONE CHE NON C’È

di Claudio Risé

L’educazione è la vera emergenza che la società italiana deve affrontare. A sostenerlo, non è solo l'appello di circa sessanta fra docenti, dirigenti e intellettuali, che fa discutere in queste settimane sotto il titolo: «Se ci fosse un'educazione del popolo tutti starebbero meglio» (www.appelloeducazione.it). A riproporre con forza l'emergenza è, ancora una volta, la cronaca: i quindicenni del branco che stuprano le compagne più in difficoltà; i candidati italiani alle università americane, scavalcati dai loro colleghi cinesi; le mille forme di disagio giovanile note a assistenti sociali, presìdi psichiatrici, educatori.

Persino più eloquente delle difficoltà dei giovani é il disagio genitoriale, di cui il drappello che scrive agli psicologi dei giornali per chiedere come fare a sgridare un figlio, o che si iscrive a «scuole per genitori» serali, organizzate dalle associazioni più varie, é solo la parte emergente. Al di sotto, ci sono tutti quei padri e madri per così dire «sommersi» che non sanno come affrontare i problemi dei figli, ma rinunciano a chiedere, e lasciano perdere. Interfaccia dei genitori confusi è poi l'esercito di educatori sperduti, costretti a confrontarsi quotidianamente col sospetto, serpeggiante tra i ragazzi, che l'unica forma di sapere che possono, devono, apprendere, è come riuscire ad infilarsi nel «cono di luce» delle star, guadagnando così una visibilità mediatica: unico vero certificato di nascita nella società dello spettacolo. Un certificato senza il quale, secondo molti di loro, «non sei nessuno». Non hai identità. Gli scettici di fronte a questo allarme, sempre numerosi quando c'è da rimboccarsi le maniche, qualche argomento dalla loro ce l'hanno. Educare non è mai stato facile, neppure quando genitori ed educatori credevano ( o fingevano) di farlo con maggiore impegno e competenza, e quando i giovani sembravano (o fingevano) di accettare le proposte educative con maggiore convinzione; senza picchiare - come accade con una certa frequenza oggi - genitori o educatori troppo determinati a svolgere le loro funzioni. Inoltre, che una società che nel giro di cinquant'anni ha sostituito tutte le figure o i riti d'autorità a disposizione (dal re, alla patria potestà, alla leva obbligatoria, agli esami di maturità), attraversi poi una crisi educativa, è certamente prevedibile, e per certi versi necessario. Tutto però dipende dalla risposta che viene data a questa crisi. Una caratteristica della situazione di oggi, rispetto ai precedenti snodi della questione educativa nella storia della nazione italiana, è la tendenza a non darvi, invece, nessuna risposta. Il lavarsi delle mani dei genitori di fronte al comportamento sfuggente dei figli, è una di queste non risposte. La rinuncia a ogni sanzione, l'abbandono delle punizioni, sia a casa che a scuola, è un’altra. Al figlio, non si oppone più il «no» del padre (del resto spesso assente, o espulso dal nucleo famigliare), che come ricordava il filosofo Michel Foucault apriva certamente un conflitto, una lotta per il potere, nella quale tuttavia, per secoli, si è formato il sapere. I no, o i sì convinti, non formali, di genitori ed educatori costituiscono la segnaletica che guida i giovani sulle piste dei saperi: quelli vecchi, da accettare, o quelli nuovi, da costruire, anche trasgredendo. Senza «no» (o sì veri, programmatici), questa segnaletica viene a mancare. E con essa ogni educazione, e ogni apprendimento. Questa è l'emergenza che nasce oggi nell'educazione, e contagia la vita civile, lo sviluppo economico, e quello culturale del Paese.

Il Mattino – 12 dicembre 2005 

 
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