DiSAL al Forum Associazioni sulla riforma degli Esami di stato


Oggi, 12 luglio 2006, oresso il Salone dei Ministri al Ministero dell'Istruzione si riunisce il Forum nazionale delle Associazioni professionali dei docenti e dirigenti della scuola per presentare al Ministro Fioroni le proposte sulla riforma dell'esame di stato della secondaria di secondo grado.

Il presidente di DiSAL presenterà il documento della direzione nazionale che segue.

 

 

Di.S.A.L.- Dirigenti Scuole Autonome e Libere

Associazione professionale dirigenti scuole statali e paritarie – Ente qualificato dal Miur alla formazione

 

 

5 luglio 2006

 

Documento della Direzione nazionale

 

 

Esame di stato

Risalire la china, verso la scuola dell’autonomia

 

 

Un rito che non tiene più

 

Gli esami di stato sono ormai terminati ed hanno confermato la loro inutilità. Non sono certo gli esami ad essere inutili: è "questo" esame di stato ad esserlo ! Un esame che ormai sopravvive solo in virtù dell’art. 33 della Costituzione, una prova inutile perché ripete quanto già fatto durante l’anno e promuove praticamente tutti i candidati: il 2% della selezione la dobbiamo ormai solo ai privatisti ed agli Istituti Professionali, non certo ai Licei tanto gettonati, dove le promozioni sono al 100%.  Se guardiamo poi la serie storica, in mezzo secolo si è passati dal 71% di promossi dell’anno 1951 (quando non c’era ancora la media unica e vigeva la non ammissione) al 98,2 % dell’anno 2005 (fonte: Tuttoscuola).

 

L'esame avviato dalla riforma Berlinguer e modificato con i provvedimenti Moratti costituisce un doppione “sincopato” delle verifiche dell’anno, conservando la logica autoreferenziale che sottrae a verifica anche il lavoro svolto dai docenti. Il tutto accompagnato dalla retorica massmediatica degli “interminabili maneggi di piccolo spionaggio telematico che accompagnano le prove scritte” (Savagnone).  In questo modo non solo si attua uno spreco di risorse e di tempo, ma, cosa ben più grave, si rinvia la verifica del merito ad altri appuntamenti, universitari o lavorativi che siano, danneggiando in questo modo solo i giovani.  Non a caso “secondo un recente sondaggio Swg, la maggior parte degli studenti si è dichiarato favorevole all’abolizione dell’esame.” (La Tecnica della Scuola).

Siamo al punto che tutte le università che somministrano test di ammissione attribuiscono al  punteggio d’esame un valore residuale, ai fini della graduatoria di ammissione. Quando non accade poi che alcune università chiedano solo i voti del terzo e quarto anno.  

 

Questo esame è divenuto inutile anche perché non accade più realmente una effettiva verifica della preparazione degli studenti, che vengono valutati per la seconda volta in un mese dai loro insegnanti, ai quali è richiesta anche l’inutile compilazione di un documento finale che non ha più senso da quando le commissioni sono solo interne.  Per non parlare poi della cosiddetta certificazione finale che casca alla fine di un curricolo di studi nel quale non è chiesto di mettere a  tema le competenze o capacità da certificare.  Infatti il punto sta qui: “Non si può parlare di riforma dell’Esame di Stato, senza parlare di riforma della scuola secondaria superiore e dell’Università.  Che cosa chiederemo agli studenti al termine del loro corso di studio se non abbiamo chiaro in mente che cosa deve dare la scuola e che cosa ha dato nel corso del curricolo pluriennale?”  (La Tecnica della Scuola).

 

L’attuale formula contiene infine distorsioni controproducenti:  la riduzione del presidente a mera  funzione burocratica come in quello di licenza media; il mancato serio controllo di alcune scuole non statali, che con il loro operato oscurano sui mass-mediala la serietà della stragrande maggioranza delle scuole paritarie;  l’assurdo aumento  dei privatisti (da 198 del 2000 a 15.167 del 2004 aumento del 7500%  - fonte Tuttoscuola);  la forte e costante crescita del numero degli “ottisti”.  

Se qualcuno sosteneva che la “riforma” del 2002 era imputabile ad  esigenze di carattere finanziario, abbiamo avuto la conferma che le ottiche distorte producono solo degenerazioni, mancando all’origine una visione culturale ed educativa che sole possono emergere da una nuova visione della scuola dl secondo ciclo.

 

 

 

La vera meta da raggiungere

 

DiSAL, fin dall’inizio del dibattito dell’attuale riforma della scuola, ha ribadito la necessità di togliere al sistema scolastico il compito di valutare sé stesso: una scuola secondaria di secondo grado che si misuri sull’istruzione reale che riesce a trasmettere e che non rilasci più pezzi di carta con valore legale, deve concludersi con uno scrutinio finale contenente voti reali. 

Con questi e con la preparazione effettiva ricevuta, lo studente, se lo desidera, dovrebbe presentarsi a prove gestite e valutate da un sistema nazionale di valutazione "terzo" rispetto all’Amministrazione e all’istituto scolastico, ai fini di una certificazione credibile per l’Università e per i vari percorsi di inserimento nella vita attiva.

E’ questa l’unica meta che ragionevolmente si può perseguire se si vuole un moderno sistema di istruzione e se si crede necessaria quell’autonomia scolastica che nel nostro convegno del 2005 abbiamo definito “tradita e abbandonata”, ma dalla ripresa della quale solamente potrà scaturire la vera riforma della scuola.

 

 

Se non si vuole rischiare, lo si renda meno inutile

 

Se quella indicata è la meta da raggiungere e se per perseguirla è necessario coraggio politico e scontro inevitabile con le parti più corporative del sindacato e della burocrazia, è possibile tuttavia, sulla base di alcuni principi formativi, iniziare a rendere “meno dannoso” l’esame attuale.  Questi principi e le soluzioni che proponiamo hanno il difetto di non nascere a tavolino, ma semplicemente dalla riflessione critica su di una pluridecennale esperienza.  Infatti, pur fra le  tante polemiche e il tempo perso, si è realizzato (grazie a Dio è fatta di questo soprattutto la scuola !) con l’apporto di molti docenti e presidi  un patrimonio da non disperdere. Si è trattato, laddove è avvenuto, del positivo contributo dell’autonomia, sinonimo per ora di fatica di gruppo e di buona volontà di singoli.  Su questa base, proviamo a declinare alcuni principi formativi (utili anche per una riforma del secondo ciclo) in soluzioni di aggiustamento (o di “cacciavite” come si dice ora).

 

La Commissione.   E’ ovvio tornare alla commissione mista (50% interna e 50% esterna), con un presidente ogni tre classi e con 4 commissari per classe (per le 4 discipline più rappresentative dell’indirizzo, scelte dall’Invalsi solo alla fine delle lezioni). Va bene anche la commissione da  6 componenti, compreso il presidente, ma la scelta di  4 (oltre a permettere un migliore compenso ai docenti) potrebbe seguire una logica collegata alle prove. Comunque alla commissione debbono giungere i candidati che il Consiglio di classe intende ammettere all’esame.

 

Il Credito  scolastico.  Occorre aumentare l’importanza del lavoro scolastico del triennio e soprattutto dell’ultimo anno, durante il quale avviene il maggior calo di impegno degli studenti.  Si potrebbe quindi (sempre dentro l’impianto attuale) assegnare 40 punti per il credito del triennio (10, 10, 20). Il punteggio superiore del quinto anno sarebbe giustificato dal fatto di accompagnare la motivazione  di impegno degli studenti in tutte le discipline. Inoltre la proposta si collega a quanto suggerito per le prove d’esame, che dovrebbero evitare l’inutile liturgia delle interrogazioni su tutte le materie a cui di fatto le commissioni si sono indirizzate. 60 punti  resterebbero alle prove d’esame (15 per ognuna).

 

Le Prove  d’esame.  La Prima prova di italiano (con le stesse tipologie attualmente in vigore) dovrebbe essere definita per due grandi aree di indirizzo (licei; tecnici - professionali), ipotizzando così due tipi di tracce che tengano maggiormente conto dei percorsi specifici. Solo la diversità può rendere giustizia dell’importanza e pari dignità dei percorsi.

La Seconda prova resterebbe come l’attuale, sulla disciplina di indirizzo.

La Terza prova, di stretta verifica delle conoscenze, potrebbe essere preparata a livello nazionale dall’Invalsi e comunicata (come le altre) al momento dell’esame; comunque  potrebbe altrettanto essere lasciata all’autonomia della commissione. La prima soluzione la potrebbe collegare all’avvio di un sistema nazionale di valutazione che ancora sogniamo.  La prova dovrebbe riguardare 4 discipline, scelte queste si a livello nazionale e anche variabili di anno in anno, corrispondenti a 4 docenti che faranno parte della commissione.

 

Infine il Colloquio non deve ripetere le interrogazioni fatte durante l’anno né scaturire dalla “voglia” di affermare l’importanza di ogni disciplina.  Scopo del colloquio deve essere solo quello di incentivare e valorizzare le capacità complessive maturate da uno studente in cinque anni. Dovrebbe vertere quindi solo sull’argomento scelto dal candidato.  Niente materie quindi (già oggetto degli scritti e di tutto l’anno), ma la verifica di un lavoro di ricerca e/o di un esperienza di laboratorio documentata, e/o di un prodotto professionale (a seconda del tipo di scuola) a cui lo studente ha lavorato tutto l’anno con la guida di un docente. In questo modo, oltre a verificare capacità e competenze acquisite nell’elaborare i vari contenuti disciplinari, si inizierebbe a suscitare  nella scuola dell’ultimo anno una vera e propria attitudine allo studio come ricerca ed all’approccio della realtà come unitarietà, sotto la guida di un docente, con l’obbligo di un “prodotto”  da presentare all’esame. 

 

 

Excusatio

 

Abbiamo dedicato più spazio alle proposte per rendere “meno dannoso” l’esame attuale, piuttosto che alla descrizione di un sistema valutativo del secondo ciclo riformato, solo nella speranza che, ragionando sulle “minutaglie” che si aggiustano con il “cacciavite”, oltre a rendere appunto “meno dannoso” l’esame attuale si possa creare il clima e la possibilità per quello che in altri momenti abbiamo chiamato “la ricerca paziente e lunga delle massime intese, che coinvolgano gli schieramenti politici con l’indispensabile “buon senso” e mirino a migliorare e proseguire il cammino delle riforme” (DiSAL 2003).

Alla fine “i nostri giovani hanno dei diritti, primo fra tutti quello di fruire di un sistema educativo che li metta in condizione di sviluppare in modo equilibrato la propria personalità e di acquisire delle competenze che li abilitino sia ad una cittadinanza attiva che ad un efficace inserimento nel mondo del lavoro”  (Savagnone).

 

 

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