Il nuovo obbligo di istruzione nel biennio
La "Commissione con il compito di approfondire la tematica relativa all’istruzione obbligatoria ed elaborare le possibili modalità tese all’obiettivo dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione", coordinata da Giorgio Allulli (ISFOL), ha concluso la scorsa settimana i suoi lavori, ed ha consegnato al ministro della pubblica istruzione un rapporto di sintesi di una trentina di pagine, intitolato "Indicazioni sulle modalità dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione". Il testo, datato 3 marzo 2007 (ma non è certo che si tratti della versione definitiva - e pubblicato in allegato) è diviso in due parti: la prima contiene le "linee guida per avviare e sostenere il cambiamento" (azioni di accompagnamento ai vari livelli, lotta alla dispersione, valutazione, sperimentazione); la seconda delinea le "competenze chiave per la cittadinanza attiva" da acquisire al termine dei dieci anni di istruzione obbligatoria (assi culturali strategici, competenze trasversali, descrizione delle competenze).
La Commissione individua quattro "assi culturali strategici" (dei linguaggi, matematico, scientifico-tecnologico, storico-sociale) e sette "competenze trasversali" (imparare ad imparare, progettare, comunicare, collaborare e partecipare, risolvere problemi, individuare collegamenti e relazioni, acquisire ed interpretare l’informazione). Dall’intreccio degli assi culturali con le competenze trasversali scaturiscono le "competenze chiave per la cittadinanza attiva", che coincidono in buona sostanza con le 8 competenze chiave indicate agli Stati membri della UE dalla Raccomandazione approvata dal Parlamento e dal Consiglio Europeo il 18 dicembre 2006: comunicazione nella madre lingua; comunicazione nelle lingue straniere; competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia; competenza digitale; imparare ad imparare; competenze sociali e civiche; spirito di iniziativa e imprenditorialità; consapevo lezza ed espressione culturale.
Due anni di sperimentazione
Molto opportunamente, a nostro avviso,
Le competenze chiave non possono essere ricondotte a discipline, dato il loro carattere di trasversalità, e non formano neppure una sorta di area comune: l’unitarietà dei percorsi di istruzione obbligatoria dopo la terza media, compresi quelli realizzati in collaborazione tra Stato e Regioni, sarà assicurata dalla "equivalenza formativa dei percorsi", che pur essendo diversi per contenuti disciplinari troveranno il loro comune orizzonte unificante nel perseguimento delle "competenze chiave di cittadinanza" da parte di tutti gli allievi.
Importante, e per molti aspetti decisivo, ci sembra il tema delle modalità di valutazione e certificazione delle competenze chiave possedute dagli alunni al termine dell’istruzione obbligatoria. Valutare le competenze, al di là ma pur sempre per il tramite delle discipline, comporterà per gli insegnanti un non facile e forse non breve itinerario di ripensamento metodologico-didattico del loro lavoro, perché occorrerà che essi imparino a costruire un sistema di coerenze e di connessioni tra gli obiettivi disciplinari e le competenze da valutare e certificare. Il modello di certificazione, predisposto dal Ministero, sarà unico, ma dietro ciascuna certificazione starà un lavoro di valutazione delle competenze che non potrà che essere fortemente personalizzato.
Riprendiamo quì sotto in allegato dal sito www.scuolaoggi.org il documento completo.
Riportiamo alcune riflessioni presentate come DiSAL alla elaborazione del documento.
24 febbraio 2007 - Note su
“INDICAZIONI SULLE MODALITÀ DELL’INNALZAMENTO DELL’OBBLIGO DI ISTRUZIONE” (BOZZA) 15/2/2007
Alcune riflessioni sulla bozza del 15 febbraio.
1. Ritengo importante assumere come definizione di “competenze” quella riportata nelle Raccomandazioni Europee, che riporterei pari pari nel nostro testo, laddove questo la accenna per sintesi. Questo per avere in tutto il processo un punto di riferimento comune da verificare. Utilizzerei inoltre la formula “competenze di base” o “competenze chiave” proprio in riferimento ai due testi assunti dalla commissione come partenza. Tra l’altro proprio nel concetto di “competenze di base” o “competenze chiave” è anche compresa la necessaria diversità o pluralità dei percorsi formativi utilizzati per conseguirle, senza impedire che i singoli percorsi o le singole agenzie formative perseguano livelli più ampi o approfonditi rispetto a quelli di base da garantire.
2. Manterrei nei testi della commissione l’uso delle formule della legge finanziaria (es. istruzione obbligatoria e non biennio obbligatorio o simili). Poiché il testo dovrebbe essere la base per l’avvio della fase sperimentale, dovendo quindi diventare oggetto di studio e ricerca in primis per dirigenti e docenti, utilizzerei prevalentemente espressioni di carattere positivo e costruttivo, evitando giudizi sul pur reali situazioni delle scuole.
3. Dopo un ulteriore confronto con esperienze in atto, resto certo convinto che i punti di riferimento debbano essere sia
Per le aree:
- l’estensione ai linguaggi piuttosto che a semplice area linguistica permette di non limitarsi alla sola lingua madre ma di inglobare anche la seconda area delle Raccomandazioni;
- non è possibile la separazione dell’area matematica dalla più ampia area scientifica. La loro unitarietà, oltre che da ragioni epistemologiche e da semplici constatazioni didattiche (in tutti i licei non esiste matematica separata da fisica), è ricavata anche dalle Raccomandazioni del documento UE del dicembre 2006;
- utilizzerei una accezione ampia di area tecnologica, la quale non è riducibile alla sole competenze digitali (come infatti indicato dalle Raccomandazioni europee), salvo mantenere l’attuale idealistica esclusione del valore formativo del lavoro perpetuata dal sistema scolastico italiano.
- evidenzierei la componente giuridica nella quarta area perché, se si opta per una descrizione in fondo per discipline, insieme alle altre è componente essenziale. Altrimenti si potrebbe optare per la soluzione UE “competenze sociali e civiche”.
4. Per evitare di costruire un affrettato “cappello” sull’esistente - con la conseguenza non solo di lasciare tutto immutato, ma anche di aumentare confusione e sconcerto - nelle indicazioni sulla formazione di docenti e dirigenti, le proposte inserite vanno nella direzione di incentivare e favorire un possibile “non rigetto” (sia come rifiuto che come indifferenza) da parte degli stessi della prospettiva proposta dalla sperimentazione che di fatto sconvolge la pratica didattica. Occorre per questo dare ai dirigenti strumenti per favorire la libera e personale iniziativa dei docenti, perché il mutamento di prospettiva didattica ed organizzativa da una logica di insegnamento a una logica dell’apprendimento (non solo insegnare discipline, quanto anche verificare che il processo di insegnamento assicuri effettivamente il possesso delle competenze previste) non può essere né “imposto” né “programmato”.
Dal punto di vista della professione docente la sperimentazione deve dotare il sistema scolastico-formativo di nuove opportunità (come figure di tutoring) attraverso cui sia possibile attuare una costante verifica e attenzione alle situazioni personali.
5. Piuttosto che la creazione di nuove strutture periferiche (che danno normalmente luogo a nuove strutture burocratiche e nuova spesa senza “prodotto” positivo per le scuole), ritengo che vadano potenziate quelle già avviate o in avvio (Anagrafi regionali, Agenzia per l’Autonomia).
6. Rispetto al percorso sperimentale descritto, le poche proposte di modifica vanno nella direzione (senz’altro indispensabile in una prima fase) di prestare particolare attenzione a quella fascia “debole” di studenti che non riescono ad affrontare percorsi strutturati (pluri-ripetenti, stranieri, drop out): la flessibilità del percorso, la collaborazione tra strutture formative, devono essere intese anche come possibilità di includere percorsi più destrutturati, che permettano un reale recupero in funzione del successo formativo e non di una semplice frequenza scolastica. Occorre valorizzare quelle esperienze che in questi anni hanno permesso il ri-orientamento di queste persone indirizzandole o all’interno della scuola, della formazione professionale o nel mercato del lavoro.