Moratti: la scuola come comunità, no ai presidi manager


Pubblichiamo stralci dell’intervista pubblicata il 26/03/02 sul Corriere della Sera ed di un articolo del Giorno del 27/93/02, poiché riflettono lo spirito e la sostanza delle proposte DiSAL sulla dirigenza scolastica
Moratti: la scuola come comunità, No ai presidi manager, sì ai tutor
(…) Questa è la filosofia di fondo, se non sbaglio, della sua riforma, ministro? «La scuola deve innanzitutto formare le persone. Ecco perché abbiamo messo al centro della nostra riforma gli studenti e i loro bisogni. E deve rispondere a una sfida in più: il progressivo indebolimento della famiglia». Come? «Una scuola in grado di essere anche comunità sa affrontare meglio il nuovo disagio giovanile, frutto anche di un rapporto fra genitori e figli più complesso e fragile, proprio di una società aperta nella quale l’offerta educativa è parcellizzata e qualche volta si polverizza fra amicizie, media, pubblicità, mode. Una tempesta, a volte caotica, di messaggi». E la scuola che risposta in più può dare? «Soprattutto, quando è buona, quando si hanno buoni insegnanti, insegna un metodo. Un metodo per studiare, ma anche, soprattutto, per capire e affrontare la realtà. Un metodo che deve preparare i giovani a essere persone libere e responsabili per potere, domani, essere protagonisti della propria vita e partecipi di quella del proprio Paese. Una scuola così concepita, anche colmando il vuoto di spazi di aggregazione per i giovani, torna a essere un forte collante sociale, fatto di solidarietà e senso civico, di rispetto umano, perché sa fornire alle nuove generazioni una buona formazione morale e spirituale». (…) E la scuola media? «E’ quella che ha il compito più delicato, perché si occupa della pre-adolescenza, un’età cruciale dello sviluppo dei nostri ragazzi. Qui si formano i caratteri, le personalità e, ahimè, si creano anche i disagi. Quanti programmi da rivedere, quante materie svilite, come storia. Mortificata. Troppo concentrata nello studio del ’900, troppo poco sensibile all’insegnamento delle radici classiche, cristiane e umanistiche della nostra civiltà. La più permeabile ad una visione politica della nostra società». (…) La riforma prevede anche una valutazione di sistema. Insomma un voto alle scuole, agli insegnanti. «Ogni Paese valuta i livelli di apprendimento dei propri studenti. L’Italia no. All’estero sanno qual è il livello di preparazione medio di un quindicenne, regione per regione. Noi no. E non dobbiamo dimenticarci che siamo al ventitreesimo posto nell’Ocse per l’insegnamento della matematica, e al ventunesimo nella preparazione scientifica». Non crede che il federalismo e le spinte della Lega possano portare ad una eccessiva caratterizzazione locale dei programmi? «No. La previsione della legge, nel suo nucleo fondamentale, garantisce, per quanto riguarda i programmi, l’identità nazionale, nel rispetto dell’autonomia del sistema scolastico, nella valorizzazione delle tradizioni locali. Inoltre il sistema di valutazione dei livelli di apprendimento sia nei licei sia negli istituti della formazione garantirà qualità omogenea all’educazione e alla formazione su tutto il territorio nazionale, assicurando che i titoli di studio siano spendibili in Italia ed in Europa». Tornare al sette in condotta, perché? «Il progetto di riforma è stato costruito ascoltando e verificando. Abbiamo formato diversi focus group, spedito ottomila questionari; favorevoli alla reintroduzione del sette in condotta si sono dichiarati il 97 per cento dei genitori, il 92 per cento dei docenti e l’89 per cento degli studenti. Ma non è solo per questo: l’educazione civica inizia dal rispetto nei confronti dei propri compagni, dei docenti e dei luoghi nei quali si studia». (…) Quanto costerà questa riforma? I dubbi in Consiglio dei ministri sono stati espressi dal responsabile dell’Economia Tremonti, preoccupato per i conti pubblici. «L’intero governo, in dieci mesi di lavoro, è stato compatto nel porre l’educazione, l’università e la ricerca al centro delle politiche di riforma. Il presidente del Consiglio si è impegnato nel garantire le risorse necessarie per rilanciare il sistema educativo a tutti i livelli. L’investimento previsto oscilla tra i 15 e i 19 mila miliardi di lire. Le risorse dovranno essere gradualmente reperite nei prossimi esercizi finanziari». Si è detto molto, e anche male, di questa riforma. Aziendalista, che vuole sgretolare il sistema della scuola pubblica. «Sono state dette molte falsità». Esempio? «Che l’inglese sarà a pagamento. Falso. Che vogliamo abolire il latino dal classico. Falso. Che vogliamo mortificare l’insegnamento della musica. Falso». Colpa anche di quell’infelice slogan elettorale della Casa delle libertà. Quelle tre i: inglese, internet e impresa. L’impresa che sembra voler gestire direttamente la scuola. «Noi abbiamo bisogno di una scuola che prepari i ragazzi anche all’inserimento nel mondo del lavoro, quindi che fornisca loro strumenti indispensabili quali le lingue e l’informatica. Naturalmente, in primo luogo, abbiamo bisogno anche di una scuola che recuperi la propria funzione educativa. Faccio un esempio: non mi piace la figura del preside manager, è uno stereotipo. I presidi devono prima di tutto avere una preparazione orientata a capire le esigenze degli studenti e delle famiglie. Non ci sono clienti da accontentare o un mercato da aggredire». Dunque, niente scuola-azienda? «No, scuola-comunità».
(…) Di quali figure nuove ha bisogno la scuola? «Di buoni insegnanti, buoni presidi, buoni maestri, che sappiano trasmettere valori positivi. E ce ne sono tantissimi. Ne ho incontrati più di quanti io mi immaginassi, in questi dieci mesi di lavoro. Ma la scuola ha anche bisogno di tutor, figure preparate in grado di capire i giovani, di aiutarli a trovare le loro risposte, di comprendere le loro attitudini, dando concrete prospettive ai loro interessi, accompagnandoli nella scelta consapevole del proprio percorso di istruzione e formazione . I tutor potrebbero assistere i ragazzi anche nel passaggio più difficile tra scuola e università. Spesso i giovani diplomati o diplomandi non capiscono i percorsi universitari. E gli abbandoni, tantissimi, sono costati complessivamente alla comunità 15 mila miliardi negli ultimi dieci anni». (…) Se lei dovesse scegliere oggi per un suo figlio tra una scuola pubblica e una privata, come si orienterebbe? «Dipende dalla scuola, dal preside, dagli insegnanti. Il patto con le famiglie si fa discutendo, chiedendo, partecipando». Che cosa la preoccupa di più? «Il disagio latente di molti giovani. Oggi ci sono troppi silenzi e noi tutti, genitori e insegnanti, dovremmo essere capaci di ascoltare anche quello che non viene detto, affrontare la passività di molti ragazzi. Risvegliare in loro l’amore per la conoscenza, ovvero per la vita. Questo è il vero problema della scuola italiana,
(Corriere della Sera – 26/03/02)

Il ministro parla di «scuola-comunità». Per Berlinguer è un «ripensamento insincero»
(..) Contro questa campagna il ministro Moratti si è scagliato anche nell'intervista uscita ieri. «Penso ad una scuola in grado di essere anche una comunità che sa affrontare meglio il nuovo disagio giovanile, frutto anche di un rapporto tra genitori e figli più complesso e fragile. Quello che noi proponiamo è un nuovo patto tra scuola e famiglia». Tra i punti toccati dalla «disinformazione» Letizia Moratti indica anche l'idea di «azienda-scuola, mentre io punto ad una scuola-comunità», oppure all'idea del «preside manager, che non mi piace». Parole che non convincono affatto l'opposizione. «Omissioni e retorica» tagliano corto Katia Bellillo e Piergiorgio Bergonzi dei Comunisti italiani. «Sull'idea di scuola come azienda Letizia Moratti fa finta di tornare indietro» ironizza Luigi Berlinguer, ex ministro dell'Istruzione, annunciando anche una dura battaglia per «difendere i 15 anni come età a cui procedere alla scelta post-obbligo». Duro anche il commento di Giovanni Manzini, responsabile scuola della Margherita. «La Moratti è come Giano bifronte. A parole promette una scuola comunità, autonoma, dove tutti i soggetti cooperano a formare le persone, i cittadini, i professionisti. Nei fatti fa esattamente il contrario, proponendo una scuola di tipo aziendalistico che mortifica l'autonomia, taglia i posti in organico, non rispetta i ritmi dell'età evolutiva».
(Il Giorno - 27 Marzo 2002)
 
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