Riforma Moratti: Disal alla Commissione VII della Camera


Le proposte di DiSAL per la Riforma degli ordinamenti scolastici (Audizione presso la Commissione VII Istruzione e Cultura della Camera dei Deputati dell’11 dicembre 2002)

L'associazione Dirigenti Scuole Autonome e Libere valuta come passo significativo nel costume politico e dell'amministrazione scolastica italiana l'attuarsi di un rapporto di confronto anche con le associazioni professionali di categoria in relazione ai disegni di riforma che, in fase di riflessione, debbono coinvolgere direttamente i soggetti protagonisti delle comunità scolastiche. Rispetto al cortese invito della Commissione VII della Camera dei Deputati in relazione alle “Norme generali sull’istruzione e di livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale” l’associazione professionale DiSAL si sente di contribuire con le seguenti sommarie proposte.
1. Per dare piena attuazione al principio esposto nell’art. 1 del testo varato dal Senato si deve evidenziare che il "servizio alla persona" mostra la sua attendibilità nelle forme organizzative della scuola ed in particolare nel pieno rispetto di quella che, nella relazione educativa, è la condizione principalmente dimostrativa di tale rispetto: la libertà di scelta dei soggetti adulti in azione, ritenuti costituzionalmente responsabili. Per questo condividiamo il giusto superamento dell'antiquato concetto di "obbligo scolastico" per attuare invece modalità di motivazione ed incentivo ad un completo percorso di istruzione e formazione (memori dei profetici quanto inascoltati insegnamenti di Giovanni Gozzer) e riteniamo importante l'abolizione della attuale legge sull’obbligo scolastico, nata da un tristo compromesso, rivelatosi dannoso proprio per gli alunni più deboli e meno dotati per i quali paradossalmente era stata fatta. I decreti attuativi però dovranno curare modalità di "motivazione ed incentivo all'istruzione e formazione" finalizzate al compimento completo del percorso di 12 anni, con ampio spazio alla personalizzazione di tale percorso, come il documento del Gruppo Bertagna indicava.
2. Nel condividere l’assetto proposto per la scuola dell’infanzia, soprattutto dopo aver preso visione dei documenti emanati per la sperimentazione di quest’anno, ci permettiamo tuttavia di tornare su due aspetti. Se già il Senato ha ritenuto di valutare con attenzione il rapporto tra la scuola materna e la responsabilità educativa dei genitori, occorre che questo aspetto sia più chiaramente indirizzato verso una effettiva “cooperazione” indispensabile per questo grado formativo. Dato per scontato che non si può ben educare nell’infanzia a prescindere da un contesto comunitario, occorre curare con attenzione che, con la decisa valorizzazione della frequenza alla scuola materna (rafforzata dal monte ore annuale indicato dai documenti della sperimentazione, che vanno ad occupare anche il mese di luglio), non si finisca per esaltare l'aspetto istituzionale della formazione della persona, tendendo ad eliminare gli spazi educativi della famiglia. Il prolungamento del tempo scuola, oltre un minimo comune, nella giornata come nell’anno deve essere frutto delle decisioni autonome delle scuole all’interno di una stretta “cooperazione” appunto con le famiglie e la comunità locale. Un altro elemento della proposta per la scuola materna e primaria che ha suscitato vivaci critiche è l’anticipo di qualche mese dell’iscrizione. In effetti tale anticipo (non presente nella originaria proposta del gruppo Bertagna) non è nato da considerazioni educative ma da un espediente per poter comunque anticipare (per pochi comunque e mai entro i 18 anni !) l’uscita dal sistema scolastico dopo il ripristino votato alla Camera dei cinque anni del liceo. A noi pare di comprendere la protesta delle maestre che vivranno in prima persona i seri problemi del cambiamento. D’altro canto, forse anche per il tardivo avvio della sperimentazione, non pare che tale anticipo abbia suscitato l’adesione massiccia delle famiglie visto che le iscrizioni di questo tipo si sono assestate non oltre il 10 % del totale. Se non si vuole modificare la norma, visto che comporterebbe la revisione della durata del liceo, ci si preoccupi almeno o di limitarla al mese di febbraio oppure di dotare con chiarezza tutta la scuola dell’infanzia (a prescindere dalla gestione) di personale e risorse per far fronte ai nuovi compiti proprio sui più piccoli.
3. All’interno della scansione del sistema di istruzione e formazione certo condividiamo, per ragioni psicopedagogiche che non stiamo e ripetere, la confermata distinzione della due gradi del primo ciclo. Riteniamo anche che il permanere della distinzione dei questi due ordini di scuola del primo ciclo permetta di avere distinti ambiti conduzione e programmazione collegiale, senza con questo nulla togliere all’utilità di istituti comprensivi (anche con la scuola dell’infanzia) ma unicamente per l'aspetto amministrativo e per l'unità di direzione delle scuole, che anzi favorirebbe lo stimolo alla continuità inteso come lavoro tra gli adulti. Tuttavia riteniamo che non si debba scaricare sulla secondaria inferiore, rimasta di tre anni, una massa di discipline e di “educazioni” che di fatto vanificherà l’importanza di ridurre l’orario complessivo, che effettivamente potrà permettere alle scuole di rispondere in maniera differenziata alla domanda formativa e di personalizzare i piani di studio. L’orientamento poi dovrebbe essere un “fare poco ma bene”, inserendo precocemente al massimo una o due materie di indirizzo (contro tendenza alla gonfiatura indifferenziata dei curricoli), attribuendo al consiglio di classe dei docenti comunque la responsabilità del progetto complessivo del percorso. Dal punto di vista del curricolo questo comporta la necessita di individuare le materie portanti degli indirizzi della secondaria superiore.
4. Perseguire una elevata qualità della secondaria superiore indica un obiettivo pienamente condiviso e riteniamo che questo si ottenga, realisticamente, mantenendo con chiarezza distinti i vari indirizzi di secondaria superiore, nel rafforzare all'interno degli stessi un curricolo specifico, che scelga fin dall’inizio poche discipline caratterizzanti non rinviate unicamente verso la fine del percorso, nel conservare un forte quota di curricolo nazionale (due terzi del curricolo obbligatorio), basati su standard di conoscenza prima ancora che di abilità, e nell'affidare ai corsi postdiploma attuati all'interno delle secondarie superiori il perfezionamento in specializzazioni brevi (non oltre l'annualità). Resta comunque fondamentale salvaguardare le discipline rispetto alla tendenza al sistema dei "moduli", che risultano nella secondaria superiore efficaci solo per l’apprendimento di specifiche abilità operative. Ci permettiamo infine (visti i passati provvedimenti) di sostenere che la Storia sia recuperata in tutto il suo valore, fino ad essere inserita tra le quattro discipline sulle quali il sistema nazionale di valutazione verifichi i livelli di apprendimento. Ci si permetta, anche se può apparire inutile, di ribadire come non riusciamo a comprendere la differente durata dei due percorsi della secondaria superiore. I quattro anni previsti per i licei dal progetto Bertagna erano adeguati, specie visti i cambiamenti dei percorsi universitari.
5. Dobbiamo dare atto alla scelta coraggiosa del progetto presentato di istituire un percorso autonomo di formazione professionale "forte". Questa costituisce sicuramente la scelta più qualificante del complesso della riforma, che meglio chiarisce la finalità di miglioramento del sistema attuale, differenziandolo dal percorso falsamente unitario perseguito dall'impostazione precedente che, sotto il pretesto dell'uguaglianza del percorso, distruggeva la possibilità per i più deboli di conquistare una preparazione culturale adeguata ad un ingresso personale e consapevole nella vita sociale e nel mondo del lavoro. La vera sfida della scelta starà nel recuperare la valenza umanizzante del lavoro e delle professioni all’interno dell'impianto di indirizzi e curricoli. mentre anche le riforme imposte dall'Istruzione Professionale negli ultimi quindici anni non facevano che perpetuare una sudditanza culturale verso il liceo. Unificate le scuole regionali attuali con gli Istituti professionali statali nel percorso della "formazione professionale", affidata nella gestione alle Regioni, occorre rafforzare la parte culturale di base dei curricoli, aggiornando le discipline professionalizzanti e collegandole strettamente, attraverso i tirocini e le figure di docenza, al mondo del lavoro e delle professioni. Tuttavia chiediamo che l’esperienza degli stage lavorativi non venga limitata solo a queste scuole ma introdotta per il suo valore formativo ed orientativo in tutti i percorsi liceali.
6. Sembra (anche se non con molta evidenza) che il testo approvato dal Senato spinga i curricoli nazionali verso l’abbandono definitivo della prescrittività e scelga per una descrizione degli standard di conoscenza e di abilità terminali di ciclo da ottenere nei singoli indirizzi. Ma lo spazio di autonomia didattica lasciato alle scuole, specie delle secondaria superiore ci pare troppo limitato. A nostro giudizio il curricolo nazionale intervenga in non oltre i due terzi del curricolo obbligatorio, lasciando alle scuole autonome il rimanente, oltre che la programmazione dei percorsi e dei metodi per conseguire anno per anno gli standard finali, per favorire (come la sperimentazione pare suggerire) percorsi personalizzati che, nel rispetto degli standard, favoriscano passaggi tra indirizzi. Riteniamo quindi molto positivo che i curricoli nazionali si definiscano in termini di "profilo in uscita" dello studente dai diversi indirizzi, da cui discendano obiettivi specifici di apprendimento in termini di contenuti, ma non come elencazione degli stessi: si tratta di un’articolazione del "profilo in uscita" in termini operativi e legati alle conoscenze, dove quindi l’elemento disciplinare resti prevalente.
7. E’ molto importante la scelta fatta dal Senato, in sede di votazione degli emendamenti per la devolution, di riconoscere e valorizzare l'autonomia delle istituzioni scolastiche. Ma ci si permetta di evidenziare come neppure la Bassanini sia riuscita, insieme al grande passo incompiuto dell’autonomia, nel mettere mano all’elemento pregiudiziale senza il quale questa resterà incompiuta. Ci riferiamo alla necessità di mettere mano al sistema di reclutamento della dirigenza e della docenza, i quali devono essere seriamente affidati alle singole scuole o consorzi locali di esse, come d'altronde avviene in quasi tutti i paesi europei dell’ovest e dell'est (che in dieci anni hanno abbandonato ogni forma di statalizzazione dell'istruzione). I meccanismi possono essere diversi e tutti con evidente attenzione alle necessarie garanzie: dalla chiamata da un albo professionale provinciale gestito dalle associazioni professionali, al concorso interno o di consorzio col pieno coinvolgimento delle comunità locali, sul modello degli ospedali e delle ASL. Solo se si sarà potuto chiarire questo passaggio, ci si potrà allora seriamente muovere verso la costruzione di una seria valutazione del sistema scolastico, dove l’organismo nazionale di valutazione, non più emanazione dell’amministrazione, collabori con le singole istituzioni scolastiche alle verifiche di efficienza ed efficacia, al fine del loro continuo miglioramento. L'ultimo atto necessario a questa metodologia dovrebbe essere l'abolizione del valore legale del titolo di studio, attraverso il quale il "valore aggiunto" ottenuto dalle singole scuole varrebbe effettivamente per il livello di istruzione o formazione trasmesso ai giovani.
8. Alla scuola italiana crediamo sia utile restituire, al posto di una dirigenza scolastica burocratica, una direzione educativa, culturale ed organizzativa. La stessa definizione della dirigenza scolastica è avvenuta concretamente (D.Lgs 59/99, oggi articolo 25 del D.Lgs 165 del 2001) in polemica con la funzione docente e non come naturale sviluppo della carriera, per cui oggi il dirigente scolastico sta diventando per profilo e funzioni più vicino alla carriera burocratico amministrativa che non a quella di tipo educativo, culturale e didattico. La conseguenza è che le scuole sono oggi spesso prive di una vera e propria direzione istituzionale, un vuoto che non può essere riempito né dalle “funzioni obiettivo” (elettive), né tanto meno dai collaboratori – compreso il vice – scelti dal dirigente. Ambedue le soluzioni sono un surrogato della carriera docente che dovrebbe essere fondata essenzialmente su standard, valutazione, sviluppo, professionalità, specializzazione, responsabilità per i risultati. Occorre quindi che il disegno di riforma si armonizzi anche e si completi con la delineazione di una direzione delle scuole che non sia in contrasto con la natura della funzione scolastica e che costituisca effettivamente uno sbocco naturale della carriera docente, non una fuoruscita o fuga dal ruolo e dalla professione.
9. Infine sull’art. 5. Le scuole di specializzazione per l'insegnamento si stanno rivelando come l'attuazione rovinosa di un principio giusto. Se è chiaramente necessario completare la formazione culturale universitaria con una formazione psico-pedagogica e con un solido tirocinio, è assurdo invece (come gran parte delle scuole universitarie stanno facendo) ripetere per la seconda volta gli insegnamenti delle discipline già seguiti, caricare di una massa oraria enorme il vario didatticismo, imporre un balzello dai due ai quattro milioni l'anno alla preparazione ad una professione già abbondantemente in altri modi scoraggiata, ridurre il tirocinio ad un incidente di percorso (solo per elencare gli attuali aspetti più deleteri). Occorre invece ridurre la specializzazione post laurea ad un solo anno universitario, organizzato in collaborazione con le associazioni professionali dei docenti e prevedere, dopo la laurea abilitante, un altro anno unicamente di tirocinio guidato dentro una singola scuola (anche con il riconoscimento contrattuale previsto dall’art. 5) e con una selezione finale dove collaborino con l’università la scuola reale e le associazioni professionali. In tal modo si andrebbe anche verso una piena valorizzazione della professione docente, coinvolgendo nella formazione delle "nuove leve" i docenti già in servizio, valorizzando le forme associative dei docenti stessi i quali sarebbero così cointeressati ad una qualificata preparazione all'esercizio della professione docente.
Chiediamo quindi che il Parlamento, all’interno del disegno di legge delega sulle norme generale e i livelli essenziali del sistema di istruzione e formazione, valorizzi le associazioni professionali di dirigenti e docenti come agenti di qualità e responsabilità professionalità: - nella formazione iniziale e nel reclutamento, con il riconoscimento di funzioni specifiche nell’ambito delle convenzioni tra le Università e le Istituzioni Scolastiche; - nella formazione in servizio e nella ricerca didattica che non può assolutamente essere monopolio esclusivo dell’università pena il progressivo astrarsi dalla realtà viva del saper insegnare; - nella elaborazione di sistemi di carriera, ivi compresa quella della dirigenza scolastica, che valorizzino le diverse funzioni nell’ambito della docenza e ridefiniscano i profili professionali necessari a sostenere le nuove scuole dell’autonomia. Di conseguenza, condividiamo tra le proposte del coordinamento nazionale dei supervisori di tirocinio: - il pieno riconoscimento dell’anno di tirocinio come parte integrante per la formazione professionale, in conformità, tra l’altro, con gli orientamenti, emersi anche a livello internazionale; - il valore dell’incontro tra scuole ed università nel condividere, progettare e valutare il tirocinio.
Milano, 10 dicembre 2002
 
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