Con il passaggio delle competenze sull'istruzione dallo Stato alle Regioni, nell’ipotesi del disegno di legge sulla devoluzione approvato dal Consiglio dei Ministri l’11 aprile, queste ultime potrebbero avere bisogno di una massa di denaro che va dai 4,8 a quasi 13 miliardi di euro, cioè da 9 a quasi 27mila miliardi di vecchie lire circa per la sola gestione dell'ex istruzione professionale e tecnica. Se poi tutta l'«organizzazione e gestione degli istituti scolastici» - che è ancora un "oggetto misterioso" - dovesse passare alle Regioni, si può stimare un trasferimento di risorse per una somma vicina ai 20 miliardi di euro, cioè circa 40mila miliardi di lire. Nei colloqui bilaterali Stato-Regioni sulla scuola il conto non è stato presentato ma gli amministratori regionali, appunto come amministratori prima che politici, sono molto preoccupati e stanno aspettando il momento opportuno per tirarlo fuori. Anche perché non intendono accontentarsi dei conti sull'esistente: chiederanno un sovrapprezzo calcolato sul numero di alunni (le stime parlano di circa 37mila ragazzi) che potrebbero essere recuperati alla dispersione - obiettivo chiave della riforma Moratti - grazie alla nuova chance, offerta ai giovani, di adempiere l'obbligo scolastico (che si adempie ora solo «con il conseguimento di una qualifica») anche nell'istruzione-formazione professionale regionale. Denaro a parte, le Regioni (e anche lo Stato vi ha interesse) non possono aspettare per prepararsi ad assorbire, in quantità maggiore o minore, i poteri che sull'istruzione professionale il nuovo Titolo V della Costituzione già loro assegna. Anche senza attendere l'approvazione della proposta di legge costituzionale Berlusconi-La Loggia, che ha superato l'esame con i «ma» e i «se» del Consiglio dei ministri dell'11 aprile scorso. Due giorni alla settimana Regioni e ministro dell'istruzione (o, per lei, il sottosegretario Valentina Aprea) siedono attorno a un tavolo a Viale Trastevere per fare chiarezza da tradurre in accordi nelle norme delegate. La materia più spinosa è quella della sorte degli istituti tecnici, quelli per geometri, ragionieri e periti di determinati settori non meglio identificati: la legge Moratti esclude che i licei, riservati allo Stato - in che senso, in che materie, non si sa ancora - preparino alle professioni. Ma certamente tutti gli attuali istituti professionali passeranno alle Regioni. E non c'è margine per dilazioni e "distinguo". Una volta emanati i decreti con le norme generali, che sono riserva assoluta dello Stato (anche sulla formazione professionale), gli istituti professionali potrebbero subito essere trasferiti, armis et impedimentis. Così come sono. Da qui l'urgenza, anche, di parlare di soldi. I numeri. L'operazione è, in ogni caso, di imponenti dimensioni. Il numero di studenti che potrebbero essere trasferiti alle Regioni nelle varie ipotesi di passaggio di competenze varia da 555.064 unità certe (pari a 39.581 classi) nel caso dei soli istituti professionali (pari al 22,67% degli iscritti alle superiori nel 2002/2003); a 1.488.319 ragazzi (74.764 classi) nel caso si aggiungessero tutti gli istituti tecnici (il 60,68% degli iscritti). Le percentuali potrebbero ridursi del 20-25% nel caso in cui lo Stato si riservasse alcuni istituti tecnici "strategici" (per ragionieri, per geometri e per periti tecnici di particolari categorie, per esempio chimici), mentre ci sarebbe un aumento di altre 60mila unità in caso di regionalizzazione degli istituti d'arte. In quanto ai docenti, il passaggio riguarderebbe una media di 140mila unità e sarebbero interessati 3mila dei 10mila dirigenti scolastici. Per il personale ausiliario e tecnico si stima un esodo di 33mila persone: si tratterebbe di uno schizofrenico (per le istituzioni) ritorno a casa, visto che questo personale è appena improvvidamente transitato dalle Province. (Nicola D’Amico)