Basta graduatorie, libero mercato per i prof: anche da sinistra voci favorevoli


Pubblichiamo un recente articolo apparso su “Il Riformista” a cura dell’ex segretario personale dell’allora Ministro all’Istruzione Luigi Berlinguer. E’ sicuramente sa registrare con interesse che in una parte della sinistra si facciano spazio proposte e idee che, proprio perché “croccanti” nell’attuale regime sindacal-burocratico costruito anche dalla sinistra, quando venivano presentate da associazioni come Diesse all’inizio degli anni 90 suscitavano da quel mondo reazioni furibonde. Oggi la riflessione sulla realtà della scuola aprea per molti nuove prospettive.
“Gli insegnanti sono un po’ come i giocatori di una grande squadra retrocessa in serie B (o forse addirittura in C): è possibile tornare in alto con questa squadra? E in quanto tempo? Senza ripetere le cifre che ormai tutti conoscono (e che si riassumono dicendo che sono tanti, pagati poco e che lavorano con gli studenti assai meno dei loro colleghi europei), la questione del numero degli in segnanti va affrontata in termini non solo quantitativi. Con gli insegnanti bisogna stringere un patto esplicito e trasparente: in cambio della rinuncia all’organizzazione del lavoro attuale e all’autoreferenzialità nella valutazione, ottenere un aggiornamento costante e individualizzato, un’organizzazione del lavoro flessibile e affidata in larga misura alla loro professionalità e alle loro scelte e soprattutto la certezza di più risorse per sé e di maggiori investimenti. Occorre differenziare sensibilmente la funzione docente. Spiegare, fare verifiche orali e scritte, assistere gli allievi eccellenti e quelli in difficoltà, accompagnarli nel le molte attività che devono intrecciarsi con il lavoro in classe, sono alcune delle funzioni oggi tutte riunite in un’unica persona che, ovviamente, ne fa una o due bene o discretamente e le altre male. Per molte di queste funzioni non occorre probabilmente un concorso: si tratta semplicemente di assumere chi è necessario per organizzare l’offerta formativa e il piano didattico che la scuola ha deciso. La modifica dell’organizzazione del lavoro comporta anche la abolizione delle supplenze: se un docente è assente un giorno o una settimana gli allievi faranno un’altra attività fra quelle che si svolgono a scuola quel giorno, con altri compagni e altri docenti in una scomposizione dei gruppi classe che deve progressivamente diventare la norma. Attraverso questo percorso si giunge, in modo probabilmente meno traumatico, alla modifica dei meccanismi di assunzione. Gran parte delle figure chiamate a svolgere una funzione docente di supporto possono e forse dovrebbero essere ricercate all’interno dell’offerta di personale qualificato anziché nelle graduatorie. La scuola decide di chi ha bisogno e la scuola cerca, seleziona, assume. Per quanto riguarda gli altri è evidente che va organizzata una lunga e complessa fase di transizione, che deve e può, avere punti fermi. Quasi un terzo degli attuali docenti va in pensione entro i prossimi anni e provare ad affidare alle scuole il reclutamento di quanti andranno in pensione nei prossimi anni sarebbe già un modo per cominciare a trasferire alle scuole autonome un compito che non può che esser loro. Con criteri, certo, con trasparenza e contratti, ma senza gli automatismi dei punteggi. Il secondo punto fermo riguarda la formazione. il nodo è nel vincolo tra formazione e reclutamento delineato e proposto nel progetto originario che nella scorsa legislatura diede vita alle SSIS. Queste dovevano essere l’unico canale di reclutamento di per sonale che automaticamente, una volta abilitato, sarebbe entrato in ruolo: fine del precariato. Il combinato disposto della corporazione e del governo ha alterato questo progetto. E’ rimasta solo, e non dappertutto, la qualità. La formazione impartita in queste scuole ha come punto di forza la (rivoluzionaria) collaborazione tra mondo universitario e scolastico (universi che non si so no mai parlati). A valle di tale cooperazione si colloca la possibilità di fare un periodo di tirocinio affiancando un docente “esperto” e l’organizzazione di laboratori, come luogo in cui progettare percorsi didattici e imparare a programmare in collaborazione con altri colleghi. E’ evidente che un percorso di questa natura conduce a un nuovo stato giuridico degli insegnanti. Bisogna infine rompere il circolo vizioso. Fare prima le innovazioni e poi pagare di più i docenti o viceversa? Le risorse vanno affidate alle scuole e in maniera consistente, sulla base di un piano nazionale che finanzi l’innovazione sia dei percorsi formativi che delle metodologie e dei contenuti. Decideranno poi le scuole come utilizzare quelle risorse.
Di Vittorio Campione - Da Il Riformista del 20 novembre 2003
 
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