Che tipi di test per valutare le competenze ?
Un rompicapo scientifico, metodologico e organizzativo
Per valutare le competenze trasversali non è necessario moltiplicare i test ma occorrono test migliori. Si possono costruire, se lo si vuole.
mercoledì 26 novembre 2008, Sito di Norberto Bottani
Come misurare le competenze?
Uno dei maggiori problemi posti dall’approccio per competenze caldeggiato da molti insegnanti e pedagogisti che contestano l’ impostazione disciplinare dei programmi scolastici tradizionali, è quello della valutazione: come si misurano le competenze?
Si può sempre dichiarare che non è affatto necessario farlo, ma quest’opinione è poco spendibile. Qualcosa si deve pure imparare o sviluppare a scuola, e si deve riuscire, in un modo nell’altro, a specificare quanto si è acquisito. Da un lato è esaltante proporre lo sviluppo di competenze multiple. E’ una bella sfida per l’istituzione scolastica darsi da fare per far sì che gli studenti imparino , per esempio, a esprimere le proprie opinioni e a difenderle con argomenti razionali, a comunicare le proprie opinioni a persone che la pensano diversamente, a risolvere problemi inediti, a pensare in modo creativo, a non temere modalità di pensiero divergenti, ma nondimeno il problema della valutazione di queste acquisizioni resta intero, senza per altro alludere agli aspetti didattici, alle procedure da adottare, in funzione della crescita, dell’età , del genere, delle origini sociali, della cultura familiare, per giungere a un risultato visibile, convincente.
L’approccio per competenze e la valutazione
Nella fase odierna delle riforme scolastiche impostate, in taluni sistemi scolastici, non in tutti, sulla revisione dei programmi scolastici in funzione delle competenze, il problema della valutazione dei risultati non è un problema minore ma è una questione scottante sia per la scuola perché ne va di mezzo la sua legittimità , sia per le famiglie che si aspettano dalla scuola risultati concreti, sia i datori di lavoro che da un lato criticano le insufficienze delle conoscenze di base (sapere leggere, scrivere e far di calcolo) dei giovani che reclutano all’uscita dalla scuola e che dall’altro propugnano l’apprendimento di competenze transdisciplinari che sarebbero richieste in modo impellente dalle nuove modalità di produzione e di organizzazione del lavoro nelle aziende e nel mercato globale.
In tutti i sistemi scolastici nei quali recentemente si sono riformati i programmi scolastici prendendo le distanze dall’ approccio disciplinare per adottare quello sulle competenze, come è successo per esempio in Francia oppure in Spagna, il punto scottante è proprio quello della valutazione. Per esempio la creazione in Francia dei nuovi programmi impostati per realizzare lo zoccolo comune di competenza si urta proprio contro l’ ostacolo della valutazione che è uno dei fattori principali del rallentamento della riforma .
La ricerca americana di "Education Sector"
La fondazione americana Education Sector ha pubblicato recentemente un rapporto redatto da Elena Silva [1] proprio su questa questione.
Anche negli USA il paradigma delle competenze è diventato uno dei punti fissi del dibattito pedagogico contemporaneo sui risultati scolastici. Moltissimi responsabili scolastici, numerosi leaders del settore produttivo e parecchi accademici di ogni livello nonché una considerevole stregua di insegnanti sostenuti dai loro sindacati ritengono che sia giunta l’ora di cambiare i curricoli agli studenti per apprendere un ampio ventaglio di competenze ritenute indispensabili per i fabbisogni delle società post industriali del 21esimo secolo, come, per essere ancor più precisi di poco fa, la capacità a valutare e analizzare l’informazione, la capacità a pensare in maniera creativa, a risolvere problemi del mondo reale in situazioni inedite L’inserimento nei programmi scolastici di questi apprendimenti non è un operazione affatto semplice e lo è ancora di più se si considerano le competenze degli insegnanti, le loro opinioni, la cultura scolastica nella quale sono cresciuti. Le modalità di valutazione dei progressi segli studenti in questo campo è un fattore ulteriore di complicazione.
Necessità di prove strutturate diverse
Il rapporto della fondazione americana non contesta né la pertinenza né la validità di questi obiettivi che ritiene anzi del tutto adeguati . Pregio del rapporto però è quello di trattare in modo sistematico la questione della valutazione che fin qui è stata poco affrontata dai fautori dell’approccio per competenze i quali, in molti casi, ritengono del tutto fasulla e sballata questa esigenza. In altri termini, un pedagogia impostata sull’approccio per competenze sarebbe incompatibile con la valutazione esterna su vasta scala.
L’autore della ricerca, Elena Silva, afferma invece che gli obiettivi propugnati dall’approccio per competenze nei programmi scolastici possono essere accuratamente misurati e che si possono sviluppare prove strutturate che permettano di valutare correttamente le competenze acquisite dagli allievi.
Nel rapporto, l’autore esamina diversi modelli di valutazione che svolgono questa funzione e che dimostrano come si possano valutare, con scale di misura comparabili e oggettive, modalità di pensiero complesse e nello stesso tempo apprezzare la padronanza delle competenze essenziali come il sapere leggere e contare . Questi modelli emergenti di prove strutturate devono essere studiati con grande attenzione perché sono essenziali per la nuova strategia di riforma che ribalta degli obiettivi scolastici. La credibilità degli insegnanti sarà in futuro legittimata soltanto se si potranno disporre di strumenti che forniscono un’informazione attendibile sui progressi degli studenti, sui passi percorsi e su quanto necessario o non sarebbe necessario fare per conseguire gli obiettivi delineati nei programmi che propugnano in priorità l’acquisizione di nuove competenze.
La misura di queste competenze richiede strumenti molto più complessi dei test a scelta multipla . Gli specialisti della valutazione ne sono consapevoli. Non per nulla, nel settore della psicometria, lo scetticismo prevale sulla fattibilità di queste valutazioni. Se ne ha del resto una prova su vasta scala quando l’ OCSE ha provato, nell’ambito dell’indagine PISA 2003, di valutare la capacità a risolvere problemi . Gli esiti di questa tentativo non sono stati brillanti per cui iniziativa è stata in seguito lasciata cadere . In ogni modo, afferma Elena Silva, l’ analista della fondazione Education Sector, valutazioni di nuovo genere sono possibili, sono tentate e sono molto promettenti.
Un nuovo tipo di test
Tra gli esempi prodotti nel rapporti si cita il caso del test College Work and Readiness Assessment (CWRA) utilizzato in alcune scuole private americane nonché in una scuola statale del nono anno di scuola. [2] Il test propone agli studenti di risolvere uno dei problemi che costituisce sovente un rompicapo per l’amministrazione pubblica di una città ma che raramente si incontra nelle prove strutturate, ossia la gestione degli ingorghi del traffico cittadino prodotti dalla crescita della popolazione . Ali studenti viene dato un carteggio contenente una serie di documenti per aiutarli a formulare le loro risposte . L’obiettivo del test consiste nel raccogliere informazioni sulla capacità a valutare e analizzare la situazione, a proporre soluzioni originali, a applicare l’ informazione ricevuta a un problema reale. Lo stesso test permette di valutare la competenza nella comprensione della lettura di testi di vario genere e quella di effettuare calcoli complessi.
Prove strutturate di questo tipo sono rare. Nella maggioranza dei casi agli studenti vengono somministrati test a scelta multipla che sono prove relativamente semplici da valutare. Per altro, negli Stati Uniti, questi test sono somministrati nella modalità più elementare che consiste a ritrovare passaggi o informazioni incluse nelle domande . Un passo avanti nell’elaborazione di test complessi è stato senz’altro compiuto nell’indagine PISA che propone prove molto più elaborate, con scale difficoltà crescenti, ma le informazioni sui problemi posti dalla valutazione delle domande aperte sono carenti. Test complessi per misurare competenze transdisciplinari, come per esempio quelle studiate nell’ambito del gruppo di lavoro per l’OCSE sulle competenze CCC [3] o nel progetto DESECO [4], sono stati tentati e analizzati ancora sotto una forma molta confidenziale.
Un cambiamento di direzione nella valutazione
Molti convengono che i test a scelta multipla non sono sufficienti per misurare le competenze richieste dall’ organizzazione del lavoro e dalla tecnologia del 21º secolo e che occorrono prove molto più elaborate per cogliere questi aspetti. Gli studenti universitari, i lavoratori di ogni genere, i cittadini delle società democratiche complesse come quelle odierne devono essere in grado di affrontare problemi ardui, sviluppare l’immaginazione, pensare in modo creativo, produrre idee originali, sfruttare una massa di informazioni provenienti da molteplici fonti, valutare queste informazioni, scegliere quelle che contano. I futuri test pertanto devono permettere di misurare aspetti finora trascurati nelle prove strutturate.
La valutazione delle competenze di base: le indicazioni delle scienze della cognizione
In pieno disaccordo con l’approccio per competenze, diversi sistemi scolastici mettono l’accento sull’ urgenza di insegnare le competenze di base come la comprensione della lettura, la scrittura, i calcoli aritmetica. Questo è per esempio il caso in Inghilterra, in Germania o negli Stati Uniti. Questo punto di vista sfocia nella produzione di test imperniati sugli standard o sui livelli da conseguire a vari momenti della scolarizzazione. Le scienze dell’apprendimento invece [5] sono in disaccordo con questa impostazione. Da decenni sostengono che l’apprendimento migliore si realizza quando le conoscenze di base sono insegnate non a se stante, come un campo disciplinare isolato, ma nell’ambito di esercitazioni che stimolano la capacità a svolgere ragionamenti complessi, a risolvere problemi inediti, a comparare le proprie opinioni con quelle di altri, a provare da soli o in gruppo a trovare soluzioni a questioni il cui grado di difficoltà è crescente. Decenni di ricerca scientifica nel corso del ventesimo secolo hanno dimostrato ampiamente che non ci sono argomenti per separare l’acquisizione delle cosiddette competenze di base come la lettura o il calcolo da attività molto più complesse come l’analisi di situazioni inedite o la discussione di problemi complessi, tutto ciò a partire già dai primi anni di scuola.
Conclusione: il portfolio è la soluzione del futuro?
L’amalgama tra la tradizione scolastica disciplinare da un lato e il contributo delle scienze della cognizione maturate nel corso del ventesimo secolo non è però un’operazione che si può realizzare facilmente anche perché di mezzo non ci sono soltanto gli allievi con i loro comportamenti e la loro cultura, che riflette le trasformazioni in atto nell’ambito sociale, quanto gli insegnanti con le loro abitudini e i loro problemi professionali. Per finire, l’ultimo ostacolo, resta quello della valutazione. Il costo di nuovi test, il tempo richiesto per svolgerli e le difficoltà per valutare risposte a domande che non sono a scelta multipla ma a problemi che richiedono risposte aperte, difficilmente quantificabile, rallentano moltissimo i progressi in questo settore. Basti qui ricordare quanto complicato sia definire standard comuni di valutazione per valutatori da applicare in modo uniforme, senza discriminazioni, le risposte degli studenti. Questo è d’altronde una problema non recente e che era stato affrontato già nella prima metà del secolo scorso quanto ci si era accorti e si era fatta la dimostrazione che valutatori diversi o addirittura uno stesso valutatore soppesavano in modo diverso uno stesso lavoro scolastico. Le discussioni avviate agli inizi degli anni Novanta sul portfolio miravano a superare questo ostacolo, ma i progressi in questo campo sono stati molto lenti e si sono pressoché arenati.
Valutazione di tipo nuovo come quelle proposte sono possibili. Sappiamo che esiste la possibilità di valutare in modo accurato, secondo scale comuni e comparabili, anche i test a risposta aperta. Questi modelli di prove strutturate dimostrano la potenzialità dei nuovi strumenti di valutazione. Per sviluppare questi nuovi strumenti occorre però da un lato una chiara volontà politica e dall’altro molte risorse finanziarie e tecniche per contrastare le resistenze delle aziende private che in questi ultimi decenni sono riuscite ad imporsi nel mercato della valutazione scolastica e a generare una cifra d’affari considerevole con i test a scelta multipla
[1] Il rapporto completo è allegato a questo articolo
[2] In Italia sarebbero gli studenti che frequentano l’ ultimo anno della scuola media o dell’insegnamento secondario di primo grado
[3] Cross-Cultural- Compentencies
[4] Définition et sélection des compétences
[5] Le scienze dell’apprendimento comprendono un insieme di specializzazioni diverse come le scienze cognitive o della cognizione, la psicologia dell’ apprendimento, le scienze dell’informazione e e le neuroscienze