Agli statali vietato l’insegnamento nelle private. Il docente è impiegato e non professionista


Il Consiglio di Stato ha stabilito che i docenti statali non possono insegnare anche in altre scuole, sia civiche sia private. Qualunque attività svolta al di fuori dell’occupazione principale configura il cumulo di impieghi ed è quindi incompatibile con il ruolo di insegnante pubblico. La sentenza mette la parola fine alla disputa di un gruppo di insegnanti pubblici diffidati anni fa dal Ministero dell’Istruzione e invitati a interrompere il rapporto di lavoro con le Scuole civiche del Comune di Milano. Il Tar della Lombardia aveva dato ragione ai docenti: secondo il Tribunale amministrativo il rapporto di lavoro con le scuole civiche non era di tipo subordinato (gli insegnanti lavoravano solo per poche ore), ma piuttosto assimilabile alla collaborazione coordinata. Di parere opposto il Consiglio di Stato, che ha accolto l'appello del Ministero stabilendo che non si tratta di attività libero-professionale (come avevano sostenuto i docenti), in quanto tutte le motivazioni addotte - le poche ore di lavoro prestate, la mancanza di retribuzione per ferie e malattia, e altro - sono elementi ricorrenti nei rapporti di impiego di durata limitata (come nel caso dei supplenti retribuiti solo fino al termine delle lezioni) e non sono dunque incompatibili con il rapporto di lavoro subordinato. Ma ciò che il Consiglio di Stato ha considerato decisivo per riconoscere la natura subordinata del rapporto di lavoro con le scuole civiche del Comune di Milano è stata la continuità della prestazione, la subordinazione gerarchica dei docenti, «assunti a tutti gli effetti» nella struttura organizzativa, oltre che obbligati a partecipare agli organi collegiali, al rispetto degli orari e dei programmi, dell’orario di servizio, dei poteri direttivi degli organi scolastici, alla valutazione periodica e finale degli alunni. La retribuzione poi era calcolata su base oraria come avviene in alcuni casi nel pubblico impiego. Insomma il Consiglio di Stato li ha riconosciuti professori a tutti gli effetti anche nelle strutture private e dunque ha giudicato corretto il provvedimento emanato dal ministero della Pubblica Istruzione che impone ai docenti di porre fine entro un termine prefissato all’incompatibilità che deriva da questo cumulo di impieghi. C’è però una conseguenza non voluta ma interessante di questa sentenza: si dice cioè a chiare lettere che quella dell’insegnamento non è e non può essere una libera professione ma “un’attività impiegatizia subordinata”. La cosa non è di poco conto in tempi in cui gli insegnanti stanno rivendicando professionalità, area contrattuale separata, stato giuridico per legge e non per contratto. Se la prima parte della sentenza dovrà trovare qualche cointeressato che la sollevi davanti alla Corte Costituzionale (perché un docente dello stato per legge può fare fino a 24 ore, sempre nello stato e non può completare sempre fino a 24 ore nelle scuole paritarie ?) il secondo aspetto non dichiarato ma presente solleverà qualche discussione.
 
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