La sentenza che pubblichiamo in calce è stata pronunciata dalla Corte di Cassazione e riguarda il caso di un alunna, all’epoca dei fatti minorenne, che, a seguito di un infortunio occorsole mentre scesa dal pulmino scuolabus attraversava la strada per recarsi a scuola. Il Comune nei giudizi di primo e secondo grado aveva invocato, a sostegno della propria esclusione da ogni responsabilità , un orientamento della giurisprudenza penale secondo il quale la responsabilità dell’autista del pulmino era limitata alle fasi del trasporto (ivi comprese quelle preparatorie ed accessorie di salita e discesa dal veicolo), dovendo, quindi, escludersi, responsabilità per l’attraversamento della strada da parte del minore sceso dal veicolo senza che vi sia qualcuno pronto a prenderlo in consegna.
La III Sezione Civile della Cassazione ha però nuovamente disatteso il citato orientamento giurisprudenziale sostenendo che nel caso di accompagnamento di studenti minorenni a mezzo di scuolabus, il fatto che la conduzione del minore dalla fermata del veicolo alla propria abitazione competa ai genitori o ai soggetti da loro incaricati non esime gli addetti al servizio di accompagnamento, quando alla fermata dello scuolabus non sia presente nessuno dei soggetti predetti, dal dovere di adottare tutte le necessarie cautele suggerite dalla ordinaria prudenza in relazione alle specifiche circostanze di tempo e di luogo, tra le quali va inclusa quella di curare l’assistenza del minore nell’attraversamento della strada.
Roma, 11 giugno 2004 - testo della sentenza
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE CIVILE SENTENZA n. Cass. 4359/2004). - Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 9 luglio 1988 O.R. e R.T., nella loro qualità di genitori e legali rappresentanti della minore K. R. (nata il 23 luglio 1975), convenivano davanti al Tribunale di Pordenone il Comune di San Vito al Tagliamento e B.A., dipendente comunale, chiedendone la condanna solidale al pagamento della somma di lire 7.000.000 (oltre rivalutazione ed interessi) dovuta quale risarcimento del danno (patrimoniale, biologico e morale) patito dalla figlia a seguito dell’incidente stradale avvenuto il 19 aprile 1986, allorquando ella fatta scendere, al previsto punto di fermata, dal minibus utilizzato per il servizio di trasporto dei minori della scuola elementare, nonostante ivi non ci fosse nessuno ad attenderla era stata travolta, nell’attraversamento della strada, da una autovettura, riportando plurime lesioni personali dalle quali erano derivati una inabilità di 40 giorni e postumi permanenti nell’ordine di tre punti di invalidità . Costituitisi i due convenuti, il Tribunale adito, con la sentenza depositata il 6 agosto 1996, rigettava la domanda.
K. R. (divenuta nel frattempo maggiorenne) proponeva appello. Costituitisi i due appellati con separate comparse, la Corte di appello di Trieste, con la sentenza depositata il 3 marzo 2000, riformava la sentenza di primo grado, ravvisando la responsabilità del Comune (gestore del servizio di trasporto dei minori) e della A. (accompagnatrice incaricata) per la "mancata assistenza alla R. K. nella fase di attraversamento della via Murano", ove il minibus si era fermato per fare discendere la R., la quale abitava all’inizio diva Tolmezzo, posta sul lato Opposto di via Murano. In ordine all’entità dei danni, la Corte di appello liquidava alla R. il solo danno biologico per l’invalidità temporanea totale di 30 giorni e per i postumi permanenti (nell’ordine del 2-3%), escludendo la sussistenza del danno patrimoniale e del danno morale. Avverso la sentenza della Corte di appello il Comune di San Vito al Tagliamento ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi, a cui K. R. ha resistito con controricorso e ricorso incidentale, notificato anche, il 2 novembre 2000, a B.A., la quale non ha svolto attività difensiva davanti a questa Corte. La ricorrente incidentale ha presentato memoria.
Motivi della decisione. 1. Il ricorso principale ed ìl ricorso incidentale vanno riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza (articolo 335 Cpc). 2. È logicamente prioritario l’esame del ricorso principale del Comune, con i cui due motivi si contesta la responsabilità del Comune stesso.
3. Con il primo motivo il ricorrente principale, deducendo "violazione di legge ed omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia", sostiene che la responsabilità dell’autista e dell’assistente in materia di trasporto di bambini con il c.d. scuolabus sussista soltanto per le fasi del trasporto, ivi comprese quelle preparatorie ed accessorie di salita e discesa dal veicolo, ma non anche per quelle situazioni di pericolo che si determinino nelle fasi successive al trasporto, e quindi nell’attraversamento della strada da parte del minore dopo che egli sia disceso dallo scuolabus (salvo che siano stati assunti impegni ulteriori, che non vi sono stati nel caso di specie). A suo favore il ricorrente fa richiamo a due sentenze di questa Corte in sede penale (10201/87 e 9212/88). Soggiunge che la sentenza della Cassazione civile (13125/97), che ha affermato il principio opposto e che è stata richiamata dalla pronunzia impugnata, è stata male interpretata dalla Corte di appello, la quale non ha indicato "le specifiche circostanze di tempo e di luogo che avrebbero dovuto suggerite all’A. di assistere la bambina nell’attraversamento della strada", tenuto conto delle differenze di fatto tra la fattispecie decisa dalla sentenza 13125/97 ed il presente caso. 4. Il motivo di ricorso è infondato. Il ricorrente richiama pertinentemente due sentenze della Cassazione penale (12201/87, Ciccocioppo, rv 176742 e 9212/88, Valerio, rv 179154) che hanno limitato la responsabilità del conducente di uno scuolabus adibito al trasporto di bambini alle fasi del trasporto (ivi comprese quelle preparatorie ed accessorie di salita e discesa dal veicolo), escludendo quindi che tale responsabilità possa estendersi anche all’attraversamento della strada da parte del minore sceso dal veicolo senza che vi sia qualcuno pronto a prenderlo in consegna. Ma questo orientamento della giurisprudenza penale è stato già motivatamente disatteso da questa Sezione con le sentenze 13125/97 (sulla quale sì è fondata la pronunzia impugnata) e 2380/02. Il principio affermato in sede civile, e condiviso da questo Collegio, è che, nel caso di accompagnamento di studenti minorenni a mezzo di scuolabus, il fatto che la conduzione del minore dalla fermata del veicolo alla propria abitazione competa ai genitori o ai soggetti da loro incaricati non esime gli addetti al servizio di accompagnamento, quando alla fermata dello scuolabus non sia presente nessuno dei soggetti predetti, dal dovere di adottare tutte le necessarie cautele suggerite dalla ordinaria prudenza in relazione alle specifiche circostanze di tempo e di luogo, tra le quali va inclusa quella di curare l’assistenza del minore nell’attraversamento della strada. La sentenza impugnata ha ritenuto che circostanza tale da rendere doverosa l’assistenza della minore R. nell’attraversamento della strada che ella doveva compiere una volta scesa dal veicolo per recarsi alla sua abitazione (che si trovava dall’altro lato della strada) fosse, nella occasionale assenza di una persona incaricata di prenderla in consegna, l’età della stessa, inferiore ad 11 anni, e tale quindi da non potere attraversare da sola la strada, senza "pericolo" per la sua "incolumità fisica". Non può, quindi, ritenersi che la sentenza impugnata abbia interpretato il richiamato precedente di questa Sezione della Corte in modo errato ovvero limitandosi alla sola massima, tenuto conto che il caso precedentemente giudicato non presentava sostanziali differenze dalla fattispecie qui decisa. Non assume rilievo, invero, la differenza di età del minore (che, nel precedente caso, aveva sette anni), perché il giudice del merito ha ritenuto che anche per il minore di poco meno di anni undici era pericoloso l’attraversamento della strada; né è rilevante il fatto, segnalato nel ricorso, che, nel precedente caso, il minore fu investito da un autoveicolo che aveva superato lo scuolabus, mentre nel presente caso l’investimento è stato causato da un autoveicolo che procede a in senso opposto, perché la situazione di pericolo (che si è addebitata agli addetti al servizio di scuolabus di non avere evitato) è stata identificata nell’attraversamento della strada da parte del minore lasciato a se stesso, non ostante l’età inidonea a tale condotta. 5. Con il secondo motivo il ricorrente principale, deducendo "omessa ed insufficiente motivazione", censura la ricostruzione del fatto compiuta dalla sentenza impugnata, contestando che "su via Murano vi fosse la piazzola" (ove lo scuolabus si è fermato per fare discendere la R.) e che "l’attraversamento (scil: della strada da parte della minore) sia avvenuto quando ancora l’autobus era fermo o partito da poco". Il motivo di ricorso è infondato. La sentenza impugnata ha ricostruito il fatto sulla base della relazione dei carabinieri di San Vito al Tagliamento, accertando motivatamente che la minore discese dallo scuolabus "in corrispondenza della fermata sita nella via Murano, sul lato opposto a quello dove sbocca la via Tolmezzo (al civico n. 2 della quale si trova la sua abitazione)" e che ella attraversò "la carreggiata per portarsi sul lato opposto" della via Murano, quando fu investita dall’autovettura di Vegnaduzzo Enrico, il quale transitava su via Murano ed era "giunto all’altezza della via Tolmezzo (sita sulla sua destra)". Non rileva, poi, se l’autobus era o meno fermo o partito da poco quando è avvenuto l’investimento della R., dato che la responsabilità dei convenuti è stata affermata per avere lasciato senza assistenza la minore R. discesa dallo scuolabus, la quale doveva attraversare la strada (via Murano) per andare alla propria abitazione. 6. Ritenuto infondato il ricorso principale, con cui si è contestata la responsabilità del Comune, occorre esaminare il ricorso incidentale proposto dalla R. con cui si è censurato il diniego del danno morale. La ricorrente osserva che è stato violato l’articolo 2059 Cc e che manca la motivazione della sentenza impugnata. Il motivo di ricorso è fondato. In ordine al danno morale la Corte di appello si è limitata ad osservare che "non si ravvisano i presupposti richiesti dall’articolo 2059 c.c. [1] per la liquidazione del danno morale". Tale motivazione è generica, perché non precisa quali sono i presupposti ritenuti assenti dal giudice del merito, onde essa si riduce ad una mera formula di stile inidonea ad esprimere la ratio decidendi sul capo della domanda relativo al risarcimento del danno morale subito dalla R. per il reato di lesioni personali colpose da lei sofferte. L’esistenza del reato causativo del danno non patrimoniale può essere accertata, incidenter tantum, anche dal giudice civile, onde non è ostativo al suo risarcimento il fatto che non vi sia stato un processo penale a carico dei dipendenti o incaricati del Comune convenuto, responsabili del fatto (Cassazione 2380/02). Va, inoltre, tenuto presente che, come ha recentemente affermato la Corte costituzionale 233/03, l’interpretazione conforme a Costituzione dell’articolo 2059 c.c. esige che il riferimento al reato contenuto nell’articolo 185 Cp (che è uno dei "casi determinati dalla legge" in cui trova applicazione la risarcibilità dei danni non patrimoniali prevista dal citato articolo 2059) non sia limitata alla "ricorrenza di una concreta fattispecie di reato", ma, più in generale, comprenda "una fattispecie corrispondente nella sua oggettività all’astratta previsione di una figura di reato", "con la conseguente possibilità che ai fini civili la responsabilità sia ritenuta per effetto di una presunzione di legge". 7. In conclusione, mentre il ricorso principale va respinto, va accolto il ricorso incidentale, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha negato la sussistenza del danno non patrimoniale. La causa va, perciò, rinviata ad altra sezione della Corte di appello di Trieste, che giudicherà nuovamente sulla domanda dell’appellante R. di risarcimento del danno non patrimoniale conformandosi al principio di diritto espresso nel precedente § 6. 8. Il Comune, soccombente, va condannato a pagare alla ricorrente R. le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in dispositivo.
P.Q.M. - La Corte, riuniti i ricorsi rigetta il ricorso principale ed accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia la causa ad altra Sezione della Corte di appello di Trieste. Condanna il Comune di san Vito al Tagliamento a pagare a K. R. le spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.100,00, di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre le spese generali e gli accessori di legge. Così deciso in Roma il 12 novembre 2003. Depositata in Cancelleria il 3 marzo 2004.