Riordino Istituti Professionali: il Trentino non ci sta


Trento chiude gli Istituti Professionali di Stato di fronte allo snaturamento della Riforma

Lettera ASASI (Associazione Scuole Autonome Sicilia)

Trento non ci sta a subire una riforma che stravolge l’istruzione professionale e decide di assegnare alla sola formazione professionale la risposta all’utenza orientata alla qualifica.

Di fronte all’ipotesi di omologare gli Istituti Professionali agli Istituti tecnici, Trento non ci sta e, non potendo modificare la legge nazionale, decide, forte della sua autonomia, di smascherare lo scempio con cui si stanno distruggendo i percorsi finalizzati alla qualifica professionale, assumendo la decisione di indirizzare alla sola istruzione/formazione professionale di sua competenza i giovani orientati alla qualifica, e di trasformare contestualmente gli istituti professionali esistenti in istituti tecnici e/o centri di formazione professionale.

In questo modo Trento semplifica i percorsi del 2° ciclo, costruendoli su 3 sole gambe:
1.licei,
2.istruzione tecnica,
3.istruzione/formazione professionale costituzionalmente assegnata alle Regioni e alle Province Autonome.
Contestualmente si appresta ad un orientamento serio dei giovani e alla valorizzazione dell’ istruzione/formazione professionale, dando nuovo senso e dignita’ alla cultura improntata al lavoro.

Questo e’ possibile in una Provincia autonoma che ha una lunga, gloriosa tradizione di formazione professionale, a cui accede circa il 20% della popolazione scolastica che esce dalla scuola secondaria di 1° grado, e che aveva gia’ di fatto soppiantato gli istituti professionali statali.

Ma cosa succedera’ nel resto d’Italia?
Possibile che le Regioni non abbiano coscienza della gravita’ della situazione che si va prospettando?
Nella maggior parte del territorio italiano non c’e’ una tradizione di qualificata formazione professionale.
La riforma del 2° ciclo era l’occasione per dare agli istituti professionali una nuova connotazione, per portare l’istruzione professionale, nel rispetto della Costituzione, alla progressiva fusione con la formazione professionale, rilanciando e ridando nuova dignita’ a questi percorsi, e non quello di determinare, come si sta facendo, una distribuzione dell’utenza del 2° ciclo su una scala sempre piu’ confusa e classista di percorsi, creando vuoti drammatici nell’offerta di qualifiche.

Il legislatore, ma non solo lui, pare ignorare le caratteristiche dell’attuale utenza della formazione professionale. In passato erano giovani delle classi sociali meno abbienti che si iscrivevano ai corsi di primo livello, oggi la maggior parte dei giovani che non proseguono gli studi o che li abbandonano precocemente, non lo fanno, nella maggioranza dei casi, per motivi economici. Ad approdare alla formazione professionale sono quelli che hanno concluso la scuola media con quel verdetto di “sufficiente” che suggella un’infausta carriera scolastica.

La scelta della formazione professionale si configura oggi, prevalentemente, come un ripiego, per chi non possiede la necessaria tolerance for education; piu’ che come scelta obbligata per motivi economici.

L’ignoranza del Legislatore delle caratteristiche dell’utenza della formazione professionale e dell’apprendistato si accompagna all’ignoranza sulla situazione dei centri di formazione professionale, oggetto di malintesi, alimentati anche dalla difformita’ nelle prestazioni dei centri stessi. Il che fa ritenere al Legislatore (e non solo a lui) che il tempo della formazione professionale di primo livello sia finito. Si ritiene con disinvoltura che l’era del diploma per tutti sia vicina, che la domanda di lavoro si stia ormai orientando verso persone con alti livelli di scolarita’, che la formazione professionale di primo livello sia un retaggio parassitario del passato. In base a questo tipo di considerazioni, in molte Regioni i finanziamenti per i corsi post-licenza media, negli anni scorsi, sono stati ridotti a favore dei corsi post-diploma.

In realta’, il contatto con giovani che, se erano fuggiti dalla scuola, non per questo mostravano disponibilita’ ad accettare la disciplina di fabbrica che in passato regnava nei centri, ha costretto numerosi centri di formazione a produrre innovazioni.

A questo li ha spinti non solo la necessita’ di entrare in relazione con allievi sempre piu’ difficili, ma anche l’aumento degli abbandoni (che - a differenza delle scuole - i centri pagano con una riduzione dei finanziamenti regionali) e la crescente esposizione a una cultura internazionale della formazione stimolata dall’Unione Europea.
I centri di formazione professionale infatti, piu’ della scuola di Stato, da anni sono chiamati, per poter accedere ai finanziamenti del fondo sociale europeo, a entrare in relazione con partner di altri paesi dell’Unione, a progettare insieme attivita’ di formazione, a confrontarsi sui risultati raggiunti.
Nella progettazione e nella realizzazione dei percorsi formativi nella formazione di primo livello compaiono con sempre maggiore frequenza alcuni tipi di innovazione, come i moduli di orientamento o di accoglienza, gli stage, i bilanci di competenza, l’accompagnamento all’inserimento lavorativo.
C’e’ dunque un terreno fertilissimo per la contaminazione fra istruzione professionale e formazione professionale.

La provincia di Trento, a differenza di quanto avviene in gran parte delle regioni italiane, puo’ vantare tra i suoi punti di forza una formazione professionale di qualita’, diffusa capillarmente su tutto il territorio provinciale, in grado di intercettare una quota significativa di studenti e di prepararla adeguatamente all’inserimento nel mondo del lavoro.

La formazione professionale trentina, non e’ una scuola di serie B, ma una scuola, di pari dignita’, che risponde con metodologie appropriate, piu’ centrate sullo studente e la didattica laboratoriale, a studenti con bisogni formativi diversi da quelli che frequentano i licei e gli istituti tecnici. Tra i suoi punti di forza va ricordato, inoltre, che non e’ un percorso chiuso: dopo la qualifica triennale gli studenti possono proseguire con il quarto anno e completare la loro preparazione professionale, per poi accedere all’alta formazione oppure transitare nell’istruzione tecnica e conseguire il diploma di Stato e quindi approdare all’Universita’.

In conclusione da questo punto di vista gli studenti trentini sono in una situazione di privilegio in quanto hanno la possibilita’ reale di scegliere tra: formazione professionale, istituti tecnici e licei e quindi possono optare per percorsi di tre, quattro o cinque anni.

Questa possibilita’ non e’ assicurata ai ragazzi della maggior parte delle Regioni italiane, che dopo la licenza media possono iscriversi solo a percorsi liceali o tecnico-professionali (tutti quinquennali e di impostazione teorico-astratta) non avendo a disposizione nei loro territori una formazione professionale adeguata ai loro bisogni formativi. Questa, infatti, o manca o e’ inadeguata.

Dal sito www.adiscuola.it, Associazione Docenti Italiani

 

 
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