Italia 2030, vecchia e sempre più divisa. Più abitanti al Nord Sempre meno al Sud, che rischierà di perdere giovani e lavoratori
Avvenire – 5 giugno 2010 - DA MILANO PAOLO L AMBRUSCHI
Come saremo tra vent’anni? Il Censis ha provato rispondere scattando una foto immaginaria all’Italia del 2030 nel corso di una tavola rotonda ieri a Roma, alla presenza tra gli altri del presidente del centro ricerche Giuseppe De Rita e del Presidente del Cnel Antonio Marzano. Saremo 62 milioni di persone. Grazie all’apporto degli immigrati, però. Con un milione di giovani in meno e circa un milione di ultraottantenni in più. Le prospettive non paiono esaltanti.
Lo scenario demografico presenta infatti un paese invecchiato con uno squilibrio demografico ed economico crescente tra Centro Nord e Sud. Nell’area più ricca la popolazione tenderà ad aumentare del 7%, soprattutto grazie ai giovani neo immigrati attratti dalle prospettive di lavoro. Nel Mezzogiorno calerà per contro quasi del 4,5. Nel medio periodo crescerà quindi l’Italia più ricca (2,8 milioni di persone in più nel Centro- Nord nei prossimi vent’anni), mentre quella più povera, in assenza di interventi significativi, continuerà a perdere popolazione (890 mila abitanti in meno) anche per una ripresa dell’immigrazione verso il Settentrione. Il depauperamento di capitale umano al Sud comporterà l’allargamento della forbice con il Nord per la riduzione del bacino di lavoratori e di consumatori.
Innegabile l’impatto economico e sociale. Per tenere i livelli di vita attuali, ci serviranno per il 2020 480 mila nuovi posti di lavoro all’anno e 120 miliardi per ridurre il debito pubblico.
Il Belpaese avrà sempre più i capelli bianchi. In base alle previsioni demografiche, i giovani tra 18 e 34 anni diminuiranno bruscamente nel decennio appena avviato, passando dai 12 milioni del 2010 (il 20% del totale) ai quasi 11 milioni del 2020. Poi il calo si attenuerà , fino ai 10 milioni 791 mila del 2030 (il 17,5). I bambini sotto i 14 anni caleranno di un punto, i nonni over 65 nel 2030 costituiranno un quarto della popolazione. Oggi sono un quinto. Gli ottantenni saliranno al 9%. L’invecchiamento porta anche buone notizie. La vita media continuerà ad allungarsi di quasi due mesi all’anno fino a 82,2 anni per gli uomini e 87,5 per le donne nel 2030. Si alzerà l’età media delle neo mamme, al Sud 31 anni e al Centro-Nord 33 anni e mezzo. Rispetto ai principali paesi europei restiamo al palo. Se ad esempio nel 2010 in Francia gli abitanti sono il 4,3% più degli italiani e la differenza con il Regno Unito è del 3,3%, nel 2030 il divario aumenterà rispettivamente al 10 e all’12%. Gli italiani continueranno a essere i più vecchi in Europa, in lotta coi tedeschi. Una strada che porta al declino.
L’intervista «Sfida per il federalismo solidale»
Viesti: lo studio è una scossa salutare per i nostri politici «Gli squilibri previsti farebbero salire l’assistenzialismo nel Mezzogiorno. Serve una riforma federale che preservi l’unità »
Avvenire -5 giugno 2010 - DA MILANO
Una scossa salutare per la classe dirigente di un paese avviato verso il federalismo. La proposta del Censis di immaginare l’Italia che verrà nel medio e lungo termine elaborando le proiezioni dei dati Istat è insolita quanto utile per un Paese che non ama pensare al futuro.
«Già , di previsioni demografiche non si discute mai – puntualizza l’economista barese Gianfranco Viesti – e questo è un errore». Viesti, acuto e moderno meridionalista, concorda con le previsioni del Censis e prende in esame le conseguenze del calo di abitanti nel Mezzogiorno.
«Anzitutto finisce un’epoca durata 40 anni, dove ci siamo abituati a un Sud prolifico, con la popolazione in continua crescita. Invece, vuoi per la ripresa dell’immigrazione interna, vuoi per la diminuzione della natalità , si genererà uno squilibrio a favore del Settentrione».
Alcuni sostenevano che le famiglie del Sud facessero troppi figli e questo ne ostacolasse lo sviluppo.
«Invece lo studio smentisce questa tesi, la popolazione diminuirà perché se ne andranno i giovani e tutta l’area si impoverirà di conseguenza. Perderà risorse umane e capitale sociale, fondamentali per lo sviluppo, e i consumatori che alimentano la domanda sui mercati Anche gli immigrati stranieri preferiranno il Nord».
Dove non saranno rose e fiori, stando al Censis. «Certo, il nostro declino demografico, che in Europa ha paragoni solo con quello tedesco, sarà contenuto dall’immigrazione. La quale produce un duplice effetto positivo, l’arrivo di gente giovane e mediamente più prolifica dei nativi. Per chi ama la società multiculturale non ci saranno problemi, ma per il resto della popolazione prevedo inevitabili difficoltà ad accettare una società in ulteriore mutamento». Demograficamente è insomma probabile un’Italia più squilibrata dell’attuale, con un centro nord più giovane e il resto del paese abitato da anziani, come in Florida. Quali conseguenze?
«Crescerà la spesa pubblica per sanità , servizi sociali e assistenza a sud. In generale avremo inevitabili problemi a coprire la spesa previdenziale. E aumenterà ulteriormente in tutta la Penisola la difficoltà dei giovani a trovare lavoro, comprare casa, sposarsi e avere figli». Viesti non si iscrive al partito dei catastrofisti. Nulla è scontato, il federalismo potrebbe cambiare lo scenario.
«Solo il federalismo solidale. Lo studio da ragione ai sostenitori di una riforma federale che, però, punti all’unità nazionale. E lancia un allarme alla classe dirigente. Perché un’Italia così squilibrata invoglierebbe alla separazione da un Mezzogiorno improduttivo dove cresce la spesa assistenziale pubblica. Certo, tutte le regioni potranno e dovranno contenere gli sprechi e aumentare il rigore nella sanità . Ma in questi anni serviranno politiche fiscali nazionali per la famiglia e i giovani, per la scuola e l’occupazione. Se i trentenni lavoreranno, non migreranno, la vecchiaia dei cinquantenni sarà più tranquilla ovunque. Queste scelte politiche, anche in uno stato federale, toccano al premier, non al governatore. Richiedono una visione che supera i confini regionali». (P. Lam.)