L’inarrestabile declino dell’istruzione tecnica
Tuttoscuola – 9 settembre 2010
Malgrado l'impegno a farla ripartire, condiviso dai ministri Fioroni e Gelmini, da Confindustria e dai principali sindacati, l'istruzione tecnica sembra continui a perdere appeal: -2,3% (dal 34 al 31,7%) è il dato provvisorio degli iscritti al primo anno nel 2010-2011 rispetto all'anno scorso (che tuttavia non considera i nuovi ripetenti), secondo le elaborazioni di Repubblica pubblicate nei giorni scorsi.
Le precedenti operazioni di licealizzazione (Berlinguer-Moratti) e quella di delicealizzazione e forte rilancio (Fioroni-Gelmini) sembrano non aver avuto successo.
Nel 1995-96 l'istruzione tecnica era scelta dal 42,4% degli studenti. Se il declino dell'istruzione tecnica è proseguito, malgrado gli imponenti sforzi, si deve, dunque, pensare che ci sia qualcosa di non più adeguato nel suo impianto strutturale.
Lo intuì la commissione Brocca agli inizi degli anni novanta, quando propose di irrobustire la formazione generale in non più di una decina di indirizzi tecnici, compreso lo scientifico-tecnologico, rinviando quella specialistica ad appositi percorsi post-secondari di istruzione tecnica superiore o all'università .
Ma la strada intrapresa è stata un'altra, anche per impulso di una Confindustria che non si è mai rassegnata alla scomparsa dei vecchi periti, ragionieri e geometri, e ha fatto di tutto per opporsi al processo di tendenziale despecializzazione dell'istruzione tecnica a livello secondario, insistendo per il mantenimento di indirizzi di settore, che anche nel nuovo regolamento Gelmini sono arrivati a ben 25, comprese le varie ‘articolazioni'. Una strada alternativa a quella che già vent'anni fa proponeva di spostare a livello postsecondario la formazione tecnica specialistica.
Diventa a questo punto ancora più evidente quanto sia stato e resti grave l'errore di non aver puntato in Italia, in uscita dagli studi secondari, su una vera, seria, organica alternativa all'università : un sistema di bienni o meglio trienni davvero professionalizzanti e quindi essenzialmente centrati su insegnamenti e apprendimenti di carattere applicato, pratico, esperienziale.
IFTS e ITS, purtroppo, non rimediano all'errore perché non formano un sistema: non sono, e non possono diventare, quel soggetto stabile, istituzionale, omogeneo sul territorio nazionale, non obbligato a complicate partnership e mediazioni, titolato a rilasciare titoli di studio riconosciuti in campo nazionale e internazionale, di cui ci sarebbe bisogno ma che non si è avuto il coraggio e la previdenza di avviare nei tempi giusti.