Riprendiamo, per informazione, i seguenti termini del dibattito sul valore e l’utilità delle prove INVALSI (che si lega inevitabilmente al tema della valutazione delle scuole e dei docenti), tenendo presente che nelle pagine “Attività e Comunicati” sono presenti le proposte di DiSAL in merito.
Oltre ai testi sotto riassunti si possono trovare interessanti riflessione anche alle seguenti pagine del quotidiano “IlSussidiario.Net”(DiSAL)
SCUOLA/ Israel: il problema non sono i test Invalsi ma chi li "governa"
SCUOLA/ Fa più paura l’Invalsi o Virginia Woolf? di Feliciana Cicardi
SCUOLA/ Vittadini: i test Invalsi possono davvero migliorare la scuola
SCUOLA/ Bottani: le prove Invalsi non possono sostituire le scelte della politica
SCUOLA/ Ora "usiamo" Invalsi e Pisa per certificare le competenze di Tiziana Pedrizzi
La guerra dei test/1. Boeri: sono indispensabili, ma vanno spiegati
Tuttoscuola - 6 giugno 2011
Rispondendo qualche giorno fa sul quotidiano Repubblica alle molte critiche suscitate da un suo precedente articolo favorevole alle prove Invalsi nelle scuole secondarie superiori, l’economista Tito Boeri ha precisato che “i test Invalsi sono solo uno degli ingredienti del processo valutativo”, ma ha ribadito che essi “hanno il vantaggio di essere comparabili tra scuole, regioni e addirittura paesi, a differenza delle valutazioni ‘soft’ che molti docenti sostengono di preferire”.
E ai docenti che avevano minacciano di incatenarsi per protesta alla sede del ‘suo giornale’ ha fatto ironicamente presente che il sito da lui coordinato, lavoce.info, “ha solo una sede virtuale, cui difficilmente potrebbero incatenarsi”.
Boeri difende con forza i test, che rispondono a “metodiche consolidate a livello internazionale nella costruzione di test di competenza cognitiva”, ma nega che possano essere utilizzati per valutare indirettamente l’operato dei docenti al fine di differenziarne le retribuzioni perchè “allo stato attuale, i test servono semplicemente a informare gli insegnanti, gli studenti e le loro famiglie”. Per questo sarebbe anzi opportuno “fare i test in modo tale da poter rendere pubblici i dati scuola per scuola”. Dati che riguardano i livelli di apprendimento degli studenti, non la maggiore o minora capacità degli insegnanti.
Alla fine del suo articolo Boeri auspica comunque che l’Invalsi e il ministro Gelmini dedichino più attenzione alle “richieste di chiarimento” sull’uso e sull’utilità dei test che vengono dal mondo della scuola, richieste che impropriamente sono state rivolte a lui…
La guerra dei test/2. Giusto valutare i docenti universitari. E gli altri?
Tuttoscuola - 6 giugno 2011
A livello universitario, invece, la valutazione dei singoli docenti è una pratica che si va consolidando, e che secondo Boeri va giudicata in modo assolutamente positivo: “Premetto che sono anche io un docente e che mi sottometto periodicamente a valutazioni”, scrive, “ci sono infatti classifiche standardizzate che guardano alle mie pubblicazioni e al modo con cui vengono citate. Esistono poi valutazioni degli studenti che seguono i miei corsi e vengono raccolti dati sugli esiti di questi studenti in altri esami e poi sul mercato del lavoro, valutando poi il valore aggiunto dei miei corsi. Certo qualche volta non posso non avvertire un senso di fastidio nel leggere qualche giudizio negativo di studenti o provare gelosia nel vedere che qualche collega più bravo di me mi precede nei ranking, ma, al contrario di chi mi ha scritto, non mi sento affatto ‘umiliato’ da queste valutazioni. Mi sentirei umiliato, sia come docente che come contribuente, se non ci fossero perché vorrebbe dire che molti miei colleghi possono ricevere uno stipendio rimanendo inattivi senza che nessuno se ne accorga e che ogni mio sforzo per migliorare la qualità della ricerca e della didattica non viene minimamente monitorato e riconosciuto”.
Abbiamo citato con ampiezza questo passaggio dell’articolo di Tito Boeri perché alcune delle motivazioni che lo inducono ad apprezzare il fatto di essere sottoposto a valutazioni plurime in quanto professore universitario potrebbero valere anche per gli insegnanti della scuola, dove pure esistono casi di docenti ‘inattivi’ e non viene minimamente ‘monitorato e riconosciuto’ lo sforzo di chi si impegna per migliorare la propria attività didattica.
Probabilmente gli indicatori non sarebbero gli stessi, o meglio dovrebbero essere adattati al diverso profilo professionale dei docenti scolastici e al diverso contesto in cui operano. Il problema va comunque studiato e affrontato: non è accettabile che tanti insegnanti di scuola si sentano umiliati per il fatto di essere valutati quando un docente universitario come Tito Boeri (seguito, si spera, da tanti altri) si sente altrettanto umiliato per la ragione opposta, se non viene valutato.
La guerra dei test/3. Israel: vade retro test
Tuttoscuola - 6 giugno 2011
Questa volta non ha usato formule esorcistiche del tipo ‘vade retro test’, titolo di un suo articolo pubblicato lo scorso mese di aprile sul Foglio di Giuliano Ferrara, ma la sostanza delle obiezioni ai test mosse dal professore di storia della matematica Giorgio Israel in un intervento su ilsussidiario.net è rimasta invariata: “I test sono utili esclusivamente al fine di valutare l’avvenuta acquisizione di livelli imprescindibili, naturalmente secondo i vari gradi scolastici, sul piano ortografico, grammaticale, sintattico, di calcolo, di conoscenza di basilari ordinamenti storici e geografici, ecc”.
Tuttavia i test Invalsi, a suo giudizio, “non si sono affatto limitati a tale profilo di base ma, almeno per una parte consistente, hanno debordato verso l’obbiettivo assai più ambizioso di valutare le capacità logiche, matematiche (intuitive e deduttive) e di interpretazione dei testi”. Cosa che a suo avviso non può essere fatta tramite test, e che possono fare solo gli insegnanti (quelli preparati, naturalmente) in interazione con gli studenti.
Israel critica la pretesa delle prove di andare oltre l’accertamento delle conoscenze di base, e cita alcuni “paradossi”: diversi test di matematica “presentano gradi di difficoltà incongrui: alcuni test liceali sono quasi di pari livello di test proposti in quinta elementare”, e “basterebbe questo a ridicolizzare la pretesa di poter formulare dei test rispondenti a criteri oggettivi”. Ma “sul piano letterario il risultato è ancora peggiore: far credere a uno studente che l’interpretazione di un testo consenta risposte univoche, da questionario, è devastante e, radendo al suolo l’idea stessa dell’esegesi interpretativa, educa all’assenza di spirito critico e di riflessione, alla superficialità, alla tendenza alle risposte stereotipate e schematiche”. Senza contare che le recenti esperienze hanno messo in luce una dannosissima tendenza a introdurre nella scuola il "teaching to the test". A l riguardo, Israel menziona le critiche che si fanno strada negli USA al sistema del testing e dell'accountability, in particolare da parte di un'autorità come Diane Ravitch.
Il problema, insomma, non sono i test, ma l’uso che se ne fa, la filosofia tecnocratica e fondamentalmente autoritaria che sembra ispirare alcuni dei loro sostenitori, e soprattutto la delegittimazione degli insegnanti, deprivati del loro ruolo di protagonisti del processo educativo: “Trovo francamente insopportabile l’idea che il processo educativo venga tolto dalle mani degli insegnanti per metterle in quelle degli ‘esperti’ scolastici - la cui competenza specifica è tutta da dimostrare, e che spesso non producono altro che verbosa tuttologia - sostenuti da un apparato finanziario che s’impone con la brutalità del potere economico”. Nell’articolo si cita il caso della Fondazione di Bill Gates, che sta investendo somme ingenti “per imporre una ristrutturazione della scuola americana che ne abbassi il livello verso soglie minime, imponendo un uso massiccio dei test per valutare studenti e professori”, ma qualche mese fa nel mirino di Israel era finita Confindustria con motivazioni non troppo diverse.
La guerra dei test/4. Ma c'è una terza via
Tuttoscuola - 6 giugno 2011
Al di là della dialettica tra i fautori e i critici dei test, di cui si è offerta qualche esemplificazione nelle precedenti news, ci sono buone ragioni per ritenere che una equilibrata composizione dei diversi approcci e metodi non sia impossibile, e che anzi sia opportuna.
Si tratta certo, e in via preliminare, di concepire i test solo come una delle componenti di un processo valutativo più complesso e articolato. Assegnare ad essi un compito in linea con il loro “mestiere” (come ben ricordava Israel, i test sono utili per “valutare l’avvenuta acquisizione di livelli imprescindibili (…) sul piano ortografico, grammaticale, sintattico, di calcolo, di conoscenza di basilari ordinamenti storici e geografici, ecc”), e non pensare di usarli per compiti e scopi a cui non possono rispondere adeguatamente. Ma una volta affermato questo principio si deve riconoscere l’utilità di strumenti come i test che consentono screening di massa sui livelli di acquisizione di alcune competenze di base fondamentali, con possibilità di analisi comparative dei risultati, e che sono finora colpevolmente mancati nella scuola italiana.
Ai test possono e devono affiancarsi altre modalità valutative più idonee a valutare quelle componenti del processo formativo (senso critico, creatività, capacità riflessive complesse ecc.) che non possono essere ‘testate’ e che possono emergere ed essere valutate solo nell’interazione tra docente e alunno.
Insomma, per la valutazione complessivamente considerata c’è una terza via. A noi sembra che proprio la pluralità dei punti di vista e degli accenti consentirebbe di effettuare valutazioni più comprensive, sistematiche e approfondite, e che questa sia quindi la strada da battere, l’unica capace di valorizzare insieme la valutazione tramite test e quella dei docenti, senza metterle in competizione, ma integrandone le caratteristiche e i risultati.