Apprendistato e alternanza: due strumenti per combattere la dispersione


Apprendistato, la scuola rilancia

Il raccordo fra istituti e imprese abbandona i «vincoli» regionali

il Sole 24 Ore - 05-11-2013 - G.Falasca

Il decreto legge sulla scuola contiene una norma che è giusta dal punto di vista concettuale, ma che presenta qualche punto critico dal punto di vista tecnico. Parliamo dell'articolo 8 del decreto legge 104/2013, che passa ora al Senato dopo l'ok dato giovedì scorso dalla Camera. Tale norma prevede che le università (con esclusione di quelle telematiche), le scuole e gli istituti tecnici superiori potranno stipulare convenzioni con singole imprese o con gruppi di imprese, per realizzare progetti formativi congiunti che prevedano che lo studente, nell'ambito del proprio curriculum di studi, svolga un adeguato periodo di formazione presso le aziende, sulla base di un contratto di apprendistato. Le convenzioni firmate con le aziende avranno la possibilità di definire i corsi di studio interessati, le procedure da adottare per individuare gli studenti da coinvolgere nei percorsi di apprendistato, le caratteristiche dei tutori, le modalità di verifica delle conoscenze acquisite durante il periodo di apprendistato e il numero di crediti formativi riconoscibili a ciascuno studente (ma viene fissato un tetto massimo di sessanta crediti). La norma afferma un principio valido e indiscutibile, quello dell'alternanza tra i percorsi di istruzione, anche di livello universitario, e il lavoro: tale principio, come accede in altri Paesi europei, dovrebbe informare tutto il nostro sistema educativo, in quanto costituisce la strada maestra per creare un ponte efficace capace di traghettare i giovani nel mercato del lavoro. Il problema della norma sta nel fatto che questo principio, dal punto di vista legislativo, è stato già affermato nell'ormai lontano 2003, quando la legge Biagi (il decreto legislativo n. 276/2003) ha introdotto tre diversi percorsi di apprendistato, uno dei quali caratterizzato proprio dall'alternanza tra università (o scuola) e lavoro. Per molti anni questa normativa è rimasta sulla carta, in quanto non sono state approvate le norme regionali che avrebbero dovuto darvi attuazione. Nel 2011, con il Testo unico sull'apprendistato, per superare questi ritardi, tale forma di apprendistato è stata riformata, acquistando il nome di “apprendista”.

Il decreto scuola è stato approvato dalla Camera giovedì scorso ed è ora in attesa dell'esamedel Senato. In occasione dell'approvazione alla Camera, venerdì 1° novembre sul Sole 24 Ore è stata pubblicata una pagina dedicata a tutte le novità contenute net provvedimento, dall'apprendistato al bonus maturità to di alta formazione"; la nuova disciplina ha confermato il ruolo centrale delle Regioni nella disciplina di questa forma di apprendistato, ma ha riconosciuto la possibilità per le singole aziende, in assenza di una normativa locale, di stipulare intese con le istituzioni formative allo scopo di attivare il percorso formativo. Anche dopo questa novità, le normative regionali sono rimaste molto poche, e anche le convenzioni tra aziende e istituzioni normativa. Il Dl 104/2013 ripropone, quindi, un sistema già previsto dall'ordinamento, e invece di andare a toccare i punti critici che ne hanno frenato il decollo, la ripropone come se fosse una novità. A ben vedere, la nuova disciplina ha un elemento innovativo, nella parte in cui si esclude qualsiasi rinvio alle norme regionali come fonte di regolazione dell'apprendistato di questo tipo. Questo tipo di soluzione va sicuramente incontro alle esigenze di semplificazione del mercato, ma non può essere perseguita in maniera affrettata: le competenze regionali sono sancite dall'articolo 117 della Costituzione e, per quanto tale norma stia oggi dimostrando tutti i suoi limiti, bisogna evitare di andare incontro a sicure pronunce di incostituzionalità. Una buona prassi seguita in passato per evitare questo rischio è quella relativa alla più comune forma di apprendistato, quello professionalizzante: il Testo unico del 2011 ha superato la frammentazione regionale, ma solo all'esito di un percorso che ha visto un accordo preventivo in conferenza Stato-Regioni. Sarebbe quindi opportuno lavorare su questi aspetti, onde evitare inutili ripetizioni legislative che non portano alcun miglioramento effettivo al sistema.

 

Alternanza ad alto gradimento

Studenti coinvolti +20%, prospettivie occupazionali +11%

Italia Oggi - 05-11-2013 E.Micucci

Cresce l’alternanza scuola-lavoro nelle scuole italiane e offre buone possibilità occupazionali agli studenti diplomati. Segni tutti positivi nelle prime anticipazioni del monitoraggio nazionale dell’Indire per l’a.s. 2012/2013, che verrà presentato a fine mese a Verona durante Job & Orienta, la fiera nazionale dell’orientamento.

Scuole coinvolte: + 34,3%. Studenti: + 20,3%. Percorsi realizzati: +18,5%. Strutture ospitanti: + 19,2%. Incrementi percentuali considerevoli rispetto allo scorso anno, a conferma di un trend di crescita impennatosi negli ultimi tre anni.

Si è passati casì dai 90.228 studenti in alternanza nell’a.s. 2010/11 ai 189.457 del 2011/12 fino ai 227.886 del 2012/13.

Le scuole sono divenute 3177 rispetto ai 1518 di due anni prima e ai 2395 del 2012.

I percorsi sono addirittura arrivati a 11.600 rispetto ai 3.991 del 2011 e ai 9.791 dello scorso anno. E aumentano anche le strutture che ospitano gli studenti: erano 25.347 due anni fa, 65.447 l'anno successivo e nel 2013 hanno sfiorato quota 78mila. Il 45,6% delle scuole superiori, appunto 3.177 su 6.972, ha utilizzato nel 2012/2013 l'alternanza come metodologia didattica per sviluppare le competenze previste dall'ordinamento degli studio.

La maggioranza, il 44,4%, sono istituti professionali, seguono i tecnici (34,2%) e i licei con un interessante 20%. Le altre scuole si fermano all'1,5%. Il 67,1% dei percorsi, 7.783, è stato realizzato nei professionali, di cui 6.043 nelle ultimi due classi.

Il 22% ha riguardato i tecnici (2.556) e il 7,8% i licei (903). I professionali sbancano anche per tipologia di studenti: 149.255 ragazzi, il 65,5% del totale.

 Confermati il secondo posto dei tecnici con 55.335 giovani, il 24,3%, e il terzo dei 21.554 liceali, il 9,5%. Si è così formato con l'alternanza scuola-lavoro 1'8,7% della popolazione scolastica delle superiori, grazie al contributo del mondo del lavoro, in particolare delle 45.365 imprese che hanno accolto gli studenti, il 58,2% delle strutture ospitanti. Gli alunni in alternanza si concentrano nelle IV classi, il 48,2%, sebbene sia una metodologia prevista dai 15 anni di età. Seguono le V con il 28,8%, le III con il 17,2%,le II con il 5,5% e le I ferme allo 0,4%.

Esiti, quindi, confortanti. Tuttavia, «se analizziamo in profondità i dati spiegano dall'Indire si scopre che i percorsi in alternanza realizzati nelle diverse realtà scolastiche presentano caratteristiche molto diverse in termini di lunghezza, articolazione interna, tipo di stage, utenza risorse coinvolte, modalità di valutazione e certificazione, costi». Esperienze fortemente differenziate, che solo in parte risente delle diverse realtà socio-economiche, ma che sembra molto centrata sul modello organizzativo proprio a ciascuna scuola. Di qui la necessità di azioni, strumenti e indicazioni che rendano unitarie le diverse esperienze realizzate nei singoli territori. Interessante l'andamento degli esiti occupazionali degli studenti in alternanza diplomati nel 2009/10, 2010/11 e 2012/13. Nell'ultimo anno analizzato crescono dell'11,5% gli ex studenti che lavorano. Ma aumentano anche i ragazzi che, conseguito il diploma, scelgono l'università: +37,5%. Così come chi frequenta un corso formativo, passati da 150 nell'anno precedente a 252, o uno stage o tirocinio non retribuito (da 219 1 305): tendenze in costante aumento negli anni. Ci sono però un 9% di inoccupati e un 10,2% di disoccupati, saliti in un solo rispettivamente del 112,2% e del 141,3%: erano appena i14,85 e il 4% nel 2010.

 

 
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