Ocse: Italia penultima per spesa, record di Neet e prof anziani
venerdì 16 settembre 2016 - da Il Sole 24 Ore - di Alessia Tripodi
Una spesa pubblica scesa del 14% in 5 anni – che mette l’Italia al penultimo posto dopo l’Ungheria – record di insegnanti over 50 (con salari in calo) e di Neet, cioè di ragazzi che non studiano e non lavorano. E poi un tasso di accesso all’università di gran lunga inferiore alla media degli altri paesi, borse di studio soltanto per uno studente su cinque, tasso di rendimento della laurea tra i più bassi dell’area. È il quadro del nostro sistema di istruzione tracciato dall’Ocse nell’edizione 2016 di «Education at glance», il rapporto che analizza i sistemi educativi di 35 paesi nel mondo: si tratta di dati del 2014 e, dunque, per quel che riguarda il livello di spesa i numeri non considerano gli investimenti messi in campo con la «Buona scuola».
Spesa pubblica in calo
Secondo i dati, tra il 2008 e il 2013 l’Italia ha tagliato la spesa pubblica per le istituzioni scolastiche del 14%, pari a quasi il doppio del calo del Pil nel periodo (-8%) e contro un calo inferiore al 2% per altri servizi pubblici. Nel 2013 il nostro Paese ha stanziato solo il 7% della spesa pubblica complessiva per l’insieme dei cicli d’istruzione – contro l’11% della media Ocse – percentuale più bassa dopo l’Ungheria. Per l’Ocse in Italia «il livello relativamente basso della spesa pubblica per l’istruzione – si legge nel rapporto – non è riconducibile al basso livello della spesa pubblica in generale, ma al fatto che all’istruzione è attribuita una quota del bilancio pubblico relativamente esigua». La spesa annua dell’Italia per l’istruzione dalla scuola primaria all’istruzione universitaria nel 2013 è stata in media di 9.238 dollari per studente, inferiore di oltre 1.200 dollari alla media Ocse. In ogni caso, spiega il rapporto, la gran parte della spesa per l’istruzione in Italia resta finanziata da fonti pubbliche (il 96%, 5 punti più della media Ocse), ma al calo dei fondi statali si è contrapposto un aumento della spesa privata che ha segnato +21% nel 2008-2013, contro il +16% Ocse.
Identikit del prof: donna e over 50
Il corpo insegnante italiano è il più anziano rispetto a quello di tutti i Paesi Ocse e registra una delle quote più basse di docenti di sesso maschile. Sei/sette prof su dieci sono ultracinquantenni (58% nella scuola primaria, 59% nelle medie e 69% nelle superiori) mentre otto su dieci sono di sesso femminile. Nel rapporto Ocse si dà tuttavia atto al governo italiano di aver varato un piano di assunzioni che potrebbe “ringiovanire” il corpo insegnante del Paese. Lo squilibrio di genere è molto meno spiccato a livello dirigenziale. Sebbene, infatti, il 78% degli insegnanti della scuola secondaria di primo grado sia di sesso femminile, solo il 55% dei dirigenti scolastici è donna.Sul fronte delle retribuzioni, l’Ocse indica poi che dal 2010 al 2014 i salari degli insegnanti sono diminuiti del 7% in termini reali sia nella scuola primaria che in quella secondaria. Nel 2014 un insegnante italiano poteva contare su un salario di 32.995 dollari a parità di potere d’acquisto, contro i 35.367 dollari del 2010, a fronte di medie Ocse rispettivamente di 42.675 dollari e 42.112 dollari rispettivamente. I prof più “ricchi” sono quelli del Lussemburgo con 108mila dollari, ma ben sopra la media risultano anche i quasi 64mila dollari dei tedeschi.
Crescono i Neet
I dati Ocse dicono che in Italia oltre un terzo dei giovani tra i 20 e i 24 anni di età non lavora e non studia e tra il 2005 e il 2015 la loro percentuale è aumentata di 10 punti, molto più che negli altri paesi. Secondo il rapporto questo è in parte dovuto alla crisi economica che ha avuto come conseguenza un calo del 12% del tasso di occupazione dei, ma l’Ocse fa notare che altri paesi, come Grecia e Spagna, hanno visto una diminuzione simile (o maggiore) del tasso di occupazione senza registrare un aumento così vistoso dei Neet: in Grecia la percentuale di 20-24enni iscritta a un corso di studi è aumentata del 14% e inSpagna del 12%, mentre in Italia è solo +5%). In ogni caso è da segnalare che, secondo l’Istat, nel 2016 i Neet italiani sono scesi al 22,3% contro il 25% del 2013.Unica nota positiva sul fronte dell’occupazione è quella di chi ha frequentato un istituto tecnico o professionale: in Italia i giovani con questo titolo di studio vantano un tasso di disoccupazione inferiore rispetto agli altri paesi.
Spesa al lumicino e record di neet: la scuola italiana secondo l'Ocse. Lo studio annuale sull'istruzione è negativo, anche se su dati 2014. Stipendi bassi e docenti eccessivamente anziani
Repubblica.it - di SALVO INTRAVAIA - 15 settembre 2016
lavorativa e le esigenze di famiglia". Una speranza per attrarre più studenti verso gli atenei italiani è rappresentata dalla recente esperienza degli Istituti tecnici superiore - percorsi post diploma di due anni - ma è ancora troppo presto per valutarne l'impatto.
Alcuni commenti
Rapporto Ocse-EaG. Giannini, invertita la rotta. Intrapresa con decisione la strada del cambiamento
Tuttoscuola - 15 settembre 2016
“I dati del Rapporto Ocse offrono ogni anno interessanti spunti di riflessione e un quadro internazionale su cui ragionare e da cui ricavare sollecitazioni e buone pratiche. La richiesta di maggiori investimenti e maggiore attenzione a temi come quello dei Neet e della dispersione scolastica ha già trovato una risposta nell’azione di questo Governo che ha finalmente invertito la rotta sulla scuola, intraprendendo con decisione la strada del cambiamento”. Così il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini.
“Con la riforma Buona Scuola abbiamo previsto un investimento di 3 miliardi aggiuntivi all’anno sul capitolo istruzione. Abbiamo assunto 90.000 docenti nel 2015, con un Piano straordinario, e bandito un concorso per oltre 63.000 insegnanti contribuendo al ringiovanimento del corpo docenti. Un dato, quest’ultimo, riconosciuto anche dal Rapporto Ocse”.
“Attraverso l’alternanza scuola-lavoro, i laboratori territoriali per l’occupabilità, le scuole aperte anche in orari extra con il progetto ‘La Scuola al Centro’, il rilancio degli ITS (Istituti tecnici superiori) – prosegue Giannini - stiamo mettendo in campo azioni concrete per contrastare la dispersione scolastica, migliorare la possibilità dei nostri studenti di trovare un’occupazione una volta diplomati e strappare tanti ragazzi dalla condizione di Neet. Con l’ultima legge di Stabilità abbiamo previsto fondi aggiuntivi per le borse di studio universitarie e stiamo lavorando per rendere l’istruzione terziaria più vicina alle esigenze degli studenti. Vigliamo dare ai nostri giovani strumenti concreti per affrontare il futuro”.
Uno sguardo sull'istruzione 2016
Facebook - 15 settembre 2016
Sotto il link al testo integrale in italiano della Scheda Italia. Non torno sulle cose già, dette, sui commenti già fatti in primo luogo da Norberto, nè su un panorama che aggiunge depressione a depressione . Vorrei piuttosto rilevare un aspetto che non mi convince nella Scheda Italia: le considerazioni sull'istruzione tecnica e professionale e il paragone con gli altri Paesi. Pare che uno degli aspetti più positivi del nostro sistema sia il fatto che dagli istituti tecnici e professionali si ha accesso a tutte le facoltà universitarie. Credo che un'analisi seria avrebbe quantomeno dovuto analizzare quanti dei diplomati dagli istituti professionali che si iscrivono all'università raggiungono la laurea. Sono numeri da incubo e sprechi nel sistema complessivo. Senza contare che noi siamo ancora di fatto privi di un serio e solido sistema di istruzione terziaria non accademica, a cui altrove accede chi fa un percorso professionalizzante o di apprendistato. Gli ITS da noi sono una goccia nel mare e hanno ancora innumerevoli aspetti negativi
Alessandra Cenerini – ADI
I dati OCSE sull’istruzione ci preoccupano: confermano la tendenza a sacrificare le nuove generazioni nel lavoro e nella conoscenza
Comunicato stampa di Domenico Pantaleo, Segretario generale della Federazione Lavoratori della Conoscenza CGIL.
15/09/2016
L’articolata e attendibile ricerca dell’Ocse sui sistemi generali dell’istruzione conferma sostanzialmente l’allarme che ormai da anni la FLC CGIL, insieme alle altre organizzazioni sindacali, lancia, quasi sempre inascoltato. L’analisi della riduzione della spesa pubblica per l’istruzione, sia in relazione al PIL che in termini assoluti, tra il 2008 e il 2014, rilevata dall’Ocse, non solo fa scendere l’Italia agli ultimi posti della classifica mondiale, ma coglie le vere vittime delle politiche economiche di questi anni e dei tentativi di uscita dalla crisi attraverso meccanismi di austerity.
Il sistema dell’istruzione pubblica ha pagato, insieme ad altri settori del welfare e dei servizi, la politica sbagliata dei tagli alla spesa pubblica, mentre si consegnavano miliardi ai privati sotto forma di cunei fiscali e decontribuzioni e non si aggrediva l’enorme evasione fiscale. Ne hanno fatto le spese le istituzioni pubbliche dell’istruzione e della ricerca, dalle primarie alle Università, deprivate e impoverite di risorse; ne hanno fatto le spese i lavoratori della scuola e della conoscenza, i cui salari sono notevolmente al di sotto della media Ocse, mentre la riforma Fornero sulle pensioni, tra le peggiori in Europa, ha determinato una media di età sempre più alta tra i docenti. Ne hanno fatto le spese gli studenti che hanno visto negare dai governi il sacrosanto diritto allo studio e al lavoro sancito dalla Costituzione; sono state colpite le famiglie, la cui spesa privata per i figli a scuola è cresciuta in modo esponenziale, in assenza di risorse per il diritto allo studio.
Ci sembra che anche il governo Renzi non abbia invertito quelle scelte che vanno nella stessa direzione negativa denunciata dall’Ocse: ridurre sempre di più la spesa pubblica invece di investire, nella formazione e nella cultura delle giovani generazioni, nonostante i proclami della propaganda. Le risorse stanziate per la scuola sono positive, ma la legge 107 resta un disastro. Nei prossimi anni non si prevede l’aumento degli investimenti in istruzione e ricerca. Anzi, l’ennesima riduzione. Così non può più andare. Occorre alzare il dibattito pubblico sulla qualità della spesa pubblica e il destino delle nuove generazioni, investendo maggiori risorse in settori strategici come la scuola, l’università, la ricerca, e l’alta formazione.
Il testo italiano |
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