In Italia pochi laureati e 2 milioni di Neet. Ma si parla molto più di migranti
I dati del rapporto 2017 dell’Istat sui “Livelli di istruzione della popolazione e i ritorni occupazionali”, pur non essendo una novità, sono impressionanti: l’Italia è al penultimo posto in Europa per numero di laureati, precedendo solo la Romania: solo il 18,7% dei 25-64enni possiede un titolo di studio terziario in Italia, una percentuale di poco superiore alla metà della media europea (31,4%).
Per i più giovani va un po’ meglio, ma il ritardo è sempre notevole: la quota di 30-34enni in possesso di titolo di studio terziario è pari al 26,9% mentre la media Ue è del 39,9%. Nonostante un aumento del 7,7% fra il 2008 e il 2017, l’Italia resta penultima tra i Paesi dell’Ue. Pochi, rispetto alla media europea, sono anche i giovani stranieri laureati. Solo l’11,8% dei 30-34enni stranieri ha un titolo terziario: a riprova del fatto che “l’Italia attrae stranieri poco istruiti”. In Francia il divario fra stranieri e cittadini francesi è del 9%, mentre è praticamente assente in Germania e addirittura è più favorevole agli stranieri nel Regno Unito (dove lavorano molti italiani altamente istruiti, formatisi quindi nel nostro paese ma che trovano una collocazione adeguata ai loro studi nel Regno Unito, soprattutto a Londra).
Per quanto riguarda i Neet (giovani di 15-29 anni che non studiano né lavorano) l’Italia sta peggio di tutti in Europa: sono 2 milioni e 189mila nel 2017, il 24,1% contro la media Ue del 13,4%. Al Nord i Neet sono il 16,7%, nelle regioni centrali il 19,7%, al Sud arrivano addirittura al 34,4%: più di un giovane su tre non studia e non lavora, un dramma di proporzioni colossali. I Neet sono di più (25,5%) fra chi ha solo il titolo secondario superiore rispetto a chi ha un titolo inferiore (23,4) e a chi ha un titolo terziario (21,4). Nel 2008 erano assai più numerosi tra i giovani con basso titolo di studio, ma negli anni della crisi la crescita dei Neet ha colpito soprattutto quelli con medio e anche alto titolo di studio.
Come più volte rilevato anche da Tuttoscuola, all’origine degli scadenti risultati ottenuti dall’Italia nelle classifiche relative ai laureati e ai Neet sta – accanto a un sistema di orientamento inefficace e a un sistema di collocamento e di incrocio domanda/offerta di lavoro che non funziona – la storica carenza di corsi terziari di ciclo breve professionalizzanti, alternativi al sistema universitario: in Spagna e Francia circa un terzo dei titoli terziari dei 30-34enni ha queste caratteristiche, per non parlare della Germania, dove si arriva quasi alla metà.
Da noi, dopo vari tentativi falliti, sono stati messi in campo dal 2010 solo gli Istituti Tecnici Superiori (Its), scuole post-secondarie di alta tecnologia biennali legate al sistema produttivo, che però sono solo 98 con 435 corsi e 10.586 iscritti in tutto. Da ottobre 2018 partiranno anche le lauree triennali professionalizzanti con quindici corsi e un massimo di 600 studenti ciascuno: altri 9.000 potenziali laureati. Non sono cifre tali da cambiare strutturalmente il posizionamento dell’Italia nell’Europa dell’istruzione terziaria.
Ci si dovrebbe occupare molto più di questi problemi, che riguardano milioni di giovani italiani: gli oltre due milioni che oggi non fanno nulla, e i milioni che sono ancora in formazione ma che presto usciranno – prematuramente abbandonando la scuola o dopo aver completato gli studi – molti dei quali rischiano di ingrossare presto le fila dei Neet. Non è questa una questione di straordinaria importanza, che dovrebbe trovarsi in cima all’impegno del Governo, del Parlamento e di tutta la società, essere al centro dell’attenzione dei media e dei dibattiti nel paese, prima ancora di alcune decine di migliaia di migranti disperati che ogni anno premono sulle nostre coste?
Testo integrato e nota metodologica - ISTAT