C’era
grande attesa per la riapertura delle scuole, anche per i presidi. Uno di loro
ci racconta com’è stata questa giornata particolare
L’attesa è
alta e anche la preoccupazione. È una preoccupazione comprensibilmente più
intensa del solito. Da sempre la preoccupazione e un poco di ansia
interessa i “primini”, come si usano definire nel nostro Istituto gli alunni
che vanno a cominciare la Primaria o la Secondaria di primo grado. Si è
sempre trattato di una preoccupazione intensa dei genitori, per i futuri
apprendimenti dei loro piccoli (o meno piccoli) e dei docenti per l’attesa
della nuova classe assegnata e della possibilità di un nuovo inizio. O meglio
dello sfidare un nuovo inizio come possibilità di mettere alla prova
l’esperienza maturata e contemporaneamente avventurarsi in piccole o grandi
novità, in funzione del coraggio didattico di ciascuno.
Nella mia
scuola, quest’anno, abbiamo prudentemente rinviato l’inizio dei “nuovi” a ogni
livello a domani. Per cui si vedrà. Oggi, primo giorno,
l’attesa riguardava proprio il ricominciare, anzi il riprendere a entrare
nell’edificio, il muoversi all’interno, gestire gli spazi e finanche i bagni,
come mai si era fatto. Tutto per il Covid.
La
preparazione ha occupato molto del tempo a disposizione nelle due scorse
settimane, quasi si trattasse di una “prima teatrale”: vietato steccare!
Nessuno lo ha esplicitamente detto; personalmente mi sono guardato bene dal
minacciarlo in una delle numerose circolari dispositive di questo inizio di
settembre, ma è un sentimento sorto spontaneo e corale. La scuola è stata tanto
caricata di responsabilità che è risultato difficile sottrarsi a un’ansia da
prestazione. Dal giugno scorso, infatti, è cominciato il martellamento delle
artiglierie di Ministero e Comitati vari che hanno disposto, contro-disposto,
informato, consigliato, “preferibilmente ammesso” o “probabilmente vietato”,
distanziato, avvicinato e alleggerito (anche l’edilizia; per la felicità degli
operai edili … mestiere da sempre tra i più pesanti e faticosi!), fatto
misurare, fatto rilevare e infine fatto autocertificare…
Insomma,
questa mattina la tensione si percepiva a pelle e l’aria era densa di
elettricità: “ma guarda quelli non hanno capito nulla …!”. Questo rivolto ai
colleghi che malgrado tutte le istruzioni si infilano con la loro classe dalla
parte sbagliata. O ancora: “Abbiamo inviato a tutti i genitori il Patto di
corresponsabilità educativa con l’autodichiarazione sullo stato di salute,
senza cui non si entra, e questi arrivano senza!”. E lì sulle panche del
portico di ingresso, rigorosamente distanziati, si vanno aggiungendo i poveri
tapini di alunni (tipicamente pre-adolescenti) che del famoso documento
asseriscono di non averne visto neppure l’ombra. Loro vabbè, ma mamma e papà?
Così
cominciano a partire a raffica le telefonate alle famiglie, ovunque esse siano,
per rimediare al grave inconveniente.
A me tocca
una sgroppata in bicicletta ad accompagnare un’alunna, da sempre più bisognosa
di tutti gli altri, la cui mamma non riesce a muoversi in autonomia. Si è
trattato di un Patto stipulato “porta a porta”. Se si aggiunge che i genitori
ai cancelli non hanno colto che non erano stati chiamati ad assistere a tutti i
turni di ingresso, sapientemente pensati proprio per non creare assembramenti
né dentro gli edifici, né sulla pubblica via e che, ripreso il mio posto in
direzione mi trovo a dover rispondere a qualche genitore che desidera avere “la
certificazione di idoneità del layout delle aule”, lo sconforto mi
assale. Come un attore, o meglio il regista, che si accorge che il pezzo
in scena non sta andando come doveva.
A quel
punto mi risulta chiaro che urge riprendere le cose per il verso giusto,
ricentrare sguardo e scopi di tutto l’impegno e di tutta la fatica. Mi aiuta
ricordare gli occhi della ragazzina accompagnata a casa. Spalancati dietro le
lenti degli occhiali mostravano tutto lo smarrimento per la mancanza in cui si
era venuta a trovare. Incrociandoli avevo colto che accompagnarla non era forse
tra le mie priorità della giornata, ma era il modo migliore per accoglierla il
primo giorno di scuola. Ecco, le priorità!
Sono
passato, allora, in tutte le classi a condividere la ripresa della scuola, non
(solo) con le disposizioni, ma semplicemente con un saluto e a ricevere,
soprattuto dai più piccoli della Primaria, la freschezza di un sorriso e la gioia
di esserci, anche con la mascherina.
Ecco qui mi
accorgo che la “prima” è
andata bene! Così bene che alle repliche mi è venuta voglia di invitare anche
la Ministra: deve però venire accompagnata da un bel po’ di docenti, quelli che
mi mancano. Non quelli promessi in più per tutta l’estate. Voglio quelli che mi
servono per chiudere i tanti buchi nell’organico normale. Ne sarei proprio
felice, perché la ragazzina degli occhiali ha bisogno della sua professoressa
per evitare di ributtarla nello smarrimento.