Dal 1992, con significativa fedeltà, un gruppo di presidi e direttori di Diesse si confronta mensilmente sulla propria professione, nella tensione ad incarnare l’ideale educativo incontrato nella esperienza personale. Negli anni è cresciuta una “compagnia al lavoro” che, in alcuni momenti, ha sentito di bisogno di interrograsi sul significato stesso del dirigere una scuola, sugli atteggiamenti e dimensioni che meglio potevano esprimere l’autentico interesse per una comunità di educazione e cultura. Così si è giunti ad un incontro con don Luigi Negri, che, iniziando una amicizia poi continuata net tempo, ha suggerito un quadro di immagine e delle proposte.
L’incontro, svoltosi il 14/11/1996, era stato preparato mettendo a fuoco una serie di domande scaturite dall’esercizio quotidiano della professione, che in parte risentivano della contingenza del momento, caratterizzato da un imperversare nelle scuole di una ideologia del cambiamento e da un processo di riforma foriero di grandi perplessità. Riportiamo prima tutte le domande da cui è scaturito l’incontro (anche se non tutte hanno avuto risposta esplicita), per meglio comprenderne il clima, la problematica che respiravano i partecipanti, una trentina di presidi o direttori di scuole statali e non statali di ogni ordine e grado.
1. Come conciliare un impegno serio, un'operosità intelligente nel lavoro con il fatto di sostenere, in fondo, un sistema che fa acqua da tutte le parti e di cui non condividiamo gran parte delle prospettive di riforma? 2. Di questi tempi ci si chiede di "traghettare" questa scuola verso qualcosa di “nuovo”, di “migliorare” questa istituzione scolastica: è veramente migliorabile questa istituzione? E comunque, è questo il compito precipuo della nostra professione ? 3. Si può dire che la prospettiva di un'autonomia, pur limitata, dando al capo di istituto maggiore responsabilità nelle decisioni e maggiore libertà di movimento, può permettere di creare più efficacemente le condizioni per realizzare una reale unità formativa, dove possibile, attraverso la valorizzazione delle diverse presenze, individuali e non, subendo meno il condizionamento, per esempio, delle varie maggioranze del momento ? 4. Quale posizione o atteggiamento personali favoriscono la costruzione di una unità tra gli adulti ? Scegliere pochi con cui lavorare ? Dirigere con decisione curandosi più della chiarezza di impostazione delle proposte che della loro condivisione ? 5. E' giusto e rispettoso delle persone che il direttore o preside assuma una iniziativa educativa o culturale diretta con gli studenti, quando non c'è una proposta educativa cristiana nella scuola ? 6. Vale la pena che il preside assuma iniziativa di una aggregazione di genitori della propria scuola su tematiche educative ?
Durante l’incontro è scaturito un dialogo profondo e stimolante: sugli elementi educativi costitutivi di un ambiente scolastico capace di formazione della persona e facilitante l’attività di apprendimento; sulle funzioni e ruoli delle componenti adulte della scuola nella costruzione del processo educativo; in particolare sulla figura di chi nella scuola è posto ad esercitare una funzione direttiva. Si è volutamente mantenuto gran parte della freschezza della esposizione orale, sia per la lucidità che esprime che per fare un poco (platonicamente) rivivere il momento di dialogo vissuto.
Credo che inizialmente sia sufficiente ricordare alcune dinamiche fondamentali relative al problema educativo. Mi sembra, quindi, che sarebbe interessante rispondere a questa domanda: che cosa significa svolgere una funzione regolativa, ordinativa di una realtà istituzionale come la scuola, avendo a cuore questi ideali, avendo a cuore questa preoccupazione ?
Le dinamiche educative fondamentali sono costituite dal riferimento, all’origine, ad una posizione culturale esplicita, che ha come caratteristica fondamentale quella di rappresentare una ipotesi di spiegazione tendenzialmente adeguata della vita dell'uomo, grande discriminante tra cultura e ideologia, l'ideologia essendo una formulazione culturale che non spiega adeguatamente la vita ma che deforma, riduce la realtà, sopravvalutando o assolutizzando alcuni aspetti della realtà. Nel tentativo di spiegare adeguatamente il senso della vita, della persona e della realtà, la cultura non può non mantenersi aperta, continuamente aperta, anche a possibilità che non siano prevedibili o previste; la cultura autenticamente umana infatti ha sempre una dimensione religiosa. Una cultura è sempre formalmente in posizione di autotrascendenza, non può mai chiudere tutte le possibilità. L'ideologia invece vive chiudendo tutte le possibilità che non siano quella esplicitamente messa a tema.
L'educazione non può essere pensata fuori da un riferimento ad una cultura, alla cultura globale di un popolo, l'embrione di questo popolo essendo la famiglia. Non si può pensare all'educazione fuori dalla memoria di un popolo e quindi fuori da una tradizione, l'educazione essendo l'introduzione critica di chi, cosciente o maturo non è ancora, nel complesso dell'organismo della cultura, in modo che lo assimili personalmente e assimilatolo personalmente lo verifichi esistenzialmente. Si può solo da questo punto di vista sottoscrivere l'espressione dell'educazione come formazione integrale della personalità. La formazione integrale della personalità esige appunto che ci sia un principio formale della personalità che è la cultura. Quella formazione non è psicanaliticamente l'armonia delle dimensioni della personalità, le reciproche integrazioni tra i vari aspetti della personalità. Il principio formale dell'educazione è l'esplicitarsi di una soluzione al problema della vita. La psicologia e le altre scienze ausiliarie intervengono per facilitare l'assimilazione ma non sostituiscono l'assimilazione.
Da un lato mi pare che l'elemento adulto è messo in campo perchè in qualche modo è portatore di una cultura; sottolinerei "in qualche modo". L'elemento adulto - nella sua varietà di posizioni, famiglia, insegnanti, rapporti tra adulti e giovani nella vita sociale - una cosa è chiara, è in qualche modo portatore di cultura. O se non fosse portatore di cultura sarebbe un grave handicap e mancherebbe il primo elemento essenziale del movimento educativo.
Il primo elemento essenziale del movimento educativo è quindi l'autorità. Una qualche autorità ha pur da esserci. È tanto vero questo che quando non ce ne è una autentica, in qualche modo la si inventa. L'operazione culturalmente più degradata, nella nostra società, è la questione educativa, perchè il mondo adulto ha delegato una certa rappresentanza culturale ai mezzi della comunicazione di massa, i quali agiscono da vera e propria autorità ideologica. Ideologica nel senso che vengono a proporre un ideale di vita standardizzato, che non si misura sui problemi reali della persona, ma su un'immagine artificiosa dell'uomo fatta passare come indiscutibile. C'è un'antropologia materialistica, edonistica, nei confronti della quale i mezzi della comunicazione sociale rappresentano la legittimazione e la diffusione capillare.
L'adulto è chiamato in causa nella questione educativa come portatore, in qualche modo, di una cultura. Se non la porta, la questione educativa si realizza in modo assolutamente inautentico.
Il secondo fattore è che non esiste metodo, cammino educativo senza un appello sistematico, organico, concreto, puntuale alla libertà del discente e quindi l'elemento adulto nella questione educativa non è semplicemente implicato come portatore in qualche modo di una cultura, ma anche come fattore di vigilanza perchè l'impatto fra la cultura e l'educando avvenga in termini propositivi e sollecitativi al cammino, e non impositivi. Non è sufficiente soltanto che il mondo adulto, il livello adulto della vita sociale abbia una cultura, ma che la sappia trasmettere in modo provocante, in modo provocante la liberta, quindi non formale, non autoritario, non generico. Se inizialmente ho ricordato che l'elemento adulto è implicato fondamentalmente nel processo educativo come portatore in qualche modo della cultura, ora voglio sottolineare che l'elemento adulto è implicato nell'educazione come colui che deve vigilare perchè la cultura venga comunicata e quindi assunta come un'ipotesi che sollecita la libertà e quindi sostanzialmente perchè ci sia una convivenza adeguata tra adulti ed educandi in ordine alla assimilazione e alla verifica della cultura. Questo è il dinamismo educativo nella sua completezza: che l'educando possa assimilare la proposta educativa in modo positivamente provocante e possa verificarlo esistenzialmente.
La realtà scolastica, nel senso della istituzione scolastica, interviene a salvaguardare la criticità dell'assimilazione e della verifica. La scuola deve assicurare la criticità, nel senso che deve fornire una criticità conoscitiva nel rapporto col reale, secondo tutte le angolature e gli interessi con cui la persona vi si rapporta. La criticità in atto si chiama moralità, cioè criterio di giudizio e di comportamento. La scuola ha una funzione essenziale in ordine alla criticità, perchè deve garantire i criteri di conoscenza e di azione, utilizzando la professionalità non come ruolo sociale ma come responsabilità. Si sarebbe tentati di usare il termine cristiano di “vocazione”. Un progetto educativo deve arrivare ad una zona che è prossima, come interesse, a quella della “vocazione” personale.
È evidente che il semplice essere adulto non è essenziale. Un adulto portatore di una cultura, che vigila sull'impatto tra la cultura e la libertà dell'educando, in modo che sia un impatto reale e non traumatico, un adulto così è tale se riesce a vigilare, se è testimone, se la sua proposta culturale è fatta nell'orizzonte della testimonianza e non soltanto nell'orizzonte della dottrina o del richiamo moralistico. La testimonianza implica certo un aspetto dottrinale, il formularsi di un ideale, ma la cultura è proprio la testimonianza di un'esperienza di vita, di una maturità di vita più grande ed è in questo aspetto, complesso, totale, che diventa per l'educande un ipotesi di lavoro. Don Giussani ha già sottolineato molte volte con gli approfondimenti de “Il rischio educativo” - che costituiscono la seconda parte del volume recentemente editato - che in fondo l'ipotesi culturale è l'esperienza vissuta dell’adulto; se quell'ipotesi non è un'ipotesi vivente, si fa fatica a sentirla come ipotesi. Se invece è una testimonianza viva, allora è più facile che la libertà si senta presa. "Tutto ciò che avete visto, udito, imparato, amato in me, fatelo anche voi" dice S. Paolo.
Vediamo ora, in questa opera comune degli adulti, il compito specifico di chi dirige l’istituzione scolastica, di chi deve garantire l’ordine di una convivenza. Dico questo con qualche discrezione, non avendo, se non analogicamente, mai fatto un simile lavoro. Garantire l'ordine di una convivenza è garantire la possibilità dell'educazione. L'educazione non avviene se non nell'ordine, l'ordine essendo disciplina, la disciplina essendo la gerarchia adeguata dei valori, della convivenza benevola di un interlocutore diverso, la funzionalizzazione di istanze e soggetti con funzioni diverse, nello svolgersi di un'unica opera che appunto è più agevole se non c'è dialettica, non c'è scontro, non c'è separazione astratta, contrapposizione. L'assenza di disciplina è la discordia. Il disordine è un aspetto della discordia. L'ordine è espressione della concordia. Concordia vuol dire nella diversità avere lo stesso cuore; e avere lo stesso cuore per la realizzazione della stessa opera. Discordia è avere un cuore diverso: nella discordia non si realizza un’opera comune.
Se io che non ho mai avuto la funzione di regolatore dell'ordine della convivenza, della convivenza scolastica e non son più così vicino alla vostra situazione, tento di rispondere, se devo rispondere io, nella seconda parte del mio intervento, che comincia adesso, mi sento più impotente che nella prima. La prima mi pare un richiamo ad alcuni valori irrinunciabili. Mi pare la delineazione di quello a cui non si può mai rinunciare se non con un tradimento, nelle sue varie forme, dai genitori, agli insegnanti, ai preti. Un tradimento a cui ci si rassegna progressivamente, che si consuma nella famiglia, nella scuola da parte di tutti, dagli adulti ai giovani. Ci si rassegna alla impossibilità di una comunicazione vera, sentendo le cose vere come retorica.
Man mano che la struttura scolastica procede, tutti ritengono che queste cose vere non possono accadere. È una lenta rassegnazione all'impossibilità di realizzare sul serio un' opera educativa. Vediamo così una famiglia che non si sente assolutamente provocata da niente ad essere portatrice di una cultura; una scuola che nei suoi momenti migliori spera di poter realizzare e favorire un impatto educativo, ma l'intervento e la modalità stessa con cui la scuola si realizza rende tutto così precario da sembrare impossibile l'impatto educativo e quindi tutto viene felicemente delegato alla grande scuola dei mezzi di comunicazione, scuola che non educa ma omologa.
A me pare che le cose che abbiamo fin’ora detto sono vere e senza una grande differenza, secondo me, tra l'autorità della scuola pubblica e l'autorità della scuola libera. Se quindi sono vere credo che un’altra funzione del preside o del direttore sia quella di aiutare gli adulti a prendere coscienza della loro funzione culturale. È una funzione, la sua, di pressione osmotica, non una funzione burocratica. Questa funzione di sollecitazione è più facilmente vissuta, ma in senso sostanziale, è più sentita e più amata dagli insegnanti in una situazione non dico omologa, ma omogenea, con una scelta comune condivisa. L'adulto che ha nelle mani la scuola statale e privata è uno che deve mettere in questione se stesso e gli altri adulti sul problema della cultura. Deve costringerli a una presa di coscienza, ad una verità, ad un impegno sostanziale con la propria umanità, con quella ipotesi che in qualche modo sentono corrispondente.
Ho detto pressione osmotica perchè secondo me, parlando con gli insegnanti, prima ancora che la convivenza scolastica si determini in momenti formali, ciascuno dei quali ha una sua precisa autonomia perchè ha una sua precisa funzionalità, prima ancora di questo, nella convivenza, parlando con gli insegnanti o parlando con i genitori, chi ha più autorità ha una funzione di sollecitazione a che venga recuperata la condizione primaria all'educazione: cioè che chi educa sia un uomo. Secondo me anche il Vescovo dovrebbe avere questa funzione di pressione osmotica innanzitutto sui suoi preti e poi sui cristiani, perchè siano uomini. È il compito dell’autorità.
Quindi una funzione di pressione osmotica circa la verità della testimonianza, che non deve uniformare le ipotesi, soprattutto la dove le ipotesi obiettivamente sono più d'una. Deve favorire l'autenticità dell'impegno personale.
Un altro aspetto del come le cose che abbiam detto all’inizio mettono in questione una funzione regolativa della scuola è che non solo gli insegnanti siano presenti come uomini, ma che tra loro non vi sia confusione. Una funzione regolativa della scuola innanzitutto è una funzione regolativa degli insegnanti, essendo la scuola non tutta la società e il luogo di tutta l'azione educativa, ma il luogo in cui l'azione educativa è aiutata nel senso della criticità. Quindi la scuola è l'insegnamento che realizza il suo compito e la sua responsabilità.
Chi dirige allora non solo preme osmoticamente perchè questi adulti siano portatori di una cultura, prima e più profondamente che insegnanti di materie, ma deve garantire che l'esplicitarsi delle varie opzioni (qui si tratta evidentemente della scuola statale) o anche solo l'esplicitarsi dei vari ambiti di insegnamento non diventi dialetticità. Il termine che unifica la pluralità delle posizioni culturali e degli insegnamenti si chiama pluralismo. Allora, che occorre il pluralismo, mi si perdoni il termine, non sia un casino. Il direttore deve garantire che la pluralità non sia un disordine, non sia disorganica, non diventi dialetticità. Questo può riguardare il confronto di posizioni, la competizione fra insegnamenti, la competizione fra temperamenti di insegnanti, soprattutto nella attuale composizione dei collegi docenti. Cioè, la disorganicità non è soltanto la coopresenza di posizioni ideali diverse.
Quante volte sentivo: "Questa materia vale più di tutte le altre". Si tratta di un'artificiosa primazia, un'artificiosa egemonia di un insegnamento sugli altri che distorce completamente. Ho fatto nella mia giovane età un'esperienza allucinante nei primi anni di ordinazione nonchè da insegnante di religione in un istituto religioso di Milano, una delle scuole più famose di Milano, dove al classico insegnava un certo professore di latino e greco, assolutamente agnostico, con il culto di una cosa sola: del latino e del greco. In quella sezione c'era la psicosi del latino e del greco, non era un liceo classico, era l'insegnamento di quel professore con qualche appendice insignificante per gli studenti che erano la storia, la filosofia, la religione. È stata una delle esperienze più desolanti perchè non era una scuola cattolica, ma non era neanche una scuola. Era lo strapotere di uno che essendo certamente molto bravo, dettava le condizioni anche materiali della vita di classe.
Non si tratta soltanto dell'eventuale dialettica di posizione, ma è l'equilibrio degli interessi culturali ecco, non delle posizioni. Il direttore deve garantire l'ordine delle posizioni, l'ordine degli insegnamenti, degli interessi e l'ordine rispetto alla convivenza. Per svolgere questa funzione credo che ci siano strutture e momenti di lavoro che io non riuscirei neanche ad analizzare nella loro specificità.
Bisogna essere chiari: la scuola non è l'ambito educativo per eccellenza: è un momento che ha importanza per l'educazione. E anche le scuole nate dalla nostra esperienza, non sono l'ambito definitivo dell'educazione, ma sono un momento importante per l'educazione, la quale educazione avviene nel cuore della persona, nella realtà e non nella scuola. Ed una persona posta ad esercitare la direzione di un momento importante per l'educazione, deve vigilare che l'educazione stia avvenendo e questo si vede da come uno vive, quando torna a casa e non tratta sua madre come un pezzo di legno.
Abbiamo quindi visto che la direzione di una scuola, che è momento fondamentale dell'educazione, ha una funzione di richiamo alla verità di una posizione culturale. Poi abbiamo visto che ha una funzione di vigilanza sull'ordine della convivenza. L'ordine della convivenza implica una pluralità ordinata e non egemonica di posizioni culturali (dove ce ne è più d'una), una integrazione positiva e non egemonica di interessi e una convivenza reciprocamente rispettosa. Ricordo le scuole elementari della mia infanzia, dove il disegno e il canto sono sempre stati la "cenerentola" della formazione, per cui la mia generazione non sa disegnare e non sa cantare. Il bambino ha anche una dimensione poetica che è più facilmente realizzata nel canto e nel disegno, piuttosto che nel dire "ba, be, bi, bo, bu". Così come una scuola dove si canta e basta, o si disegna e basta corre lo stesso eccesso, lo stesso rischio: i contenuti del canto o del disegno diventano una cura cervellotica che distanzia dalla realtà. L'integrazione delle posizioni e degli interessi e il rispetto della convivenza sono come l'aria sana che ognuno respira: se respira l'aria sana i polmoni si sviluppano.
Un terzo fattore della direzione di una scuola è l'accoglienza dei più giovani. Formulo con il termine “accoglienza” l’invito a vigilare perchè la proposta delle posizioni, degli interessi avvenga in modo sostanziale, non formale. Cioè che possa accadere nella vostra scuola che i giovani incontrino qualche cosa per cui val la pena di vivere. Avverrà esplicitamente, con un'esplicitezza che ha un grandissimo valore educativo, là dove questa ipotesi è chiaramente alla base della scuola: quì siamo nella scuola libera. Incontri con una o più di queste proposte possono accadere, con una certa implicitezza, anche nella scuola statale. Questo è il suo limite, poichè la statale non fà la scelta di una proposta educativa esplicita e lascia (quando le cose vanno bene) convivere più proposte. Occorre allora che queste, nella loro varietà, siano incontrabili in modo non traumatico e per favorire questo non si tratta di uniformazione artificiosa delle varie proposte, ma di far si che le proposte vengano fatte tenendo presente le esigenze dei più giovani, commisurandosi cioè ai loro bisogni reali. Perchè questo accada il nodo elementare da tener presente è ravvisabile nel rispetto della tre dimensioni presentate nel libretto di Gioventù Studentesca “Il cammino al vero è un'esperienza”, il primo libretto di quando io facevo il liceo, laddove si ricorda che la proposta cristiana deve essere fatta in modo elementare, concreto e comunitario.
Allora il preside non può dire: “Tu sei marxista: non fai il marxista”, oppure "Tu sei cattolico e non fai il cattolico”, o peggio invitare a mettersi d'accordo su un pastone unitario che è il cattocomunismo, che gloriosamente o ingloriosamente ci sta dirigendo da due anni a questa parte. Il problema è che, nella varietà delle posizioni, gli insegnanti abbiano di mira i ragazzi. Aver di mira i ragazzi vuol dire formulare la proposta in termini che siano elementari, comprensibili e soprattutto positivi, perchè facendo una proposta positiva e avendo di mira i giovani, ci si trova più vicini che se si dicesse "Io son marxista, tu sei cattolico.....".
Il preside lo deve dire: "Amici dobbiam misurare la varietà delle nostre posizioni non su un'ideologia astratta e sulle tessere che avete in tasca o sul rigore ideologico”. Occore misurare la varietà di posizioni - che purtroppo non sono superate in una scuola come la nostra, ma sono un "di fatto", se non un "di diritto", ma un "di fatto" sostanziale perchè a questo è legata la libertà di insegnamento – occorre collaborare tenendo presente che queste proposte devono essere formulate a giovani, a bambini che devono crescere, non a militanti di un'organizzazione.
Evidentemente là dove la proposta è unica, la vigilanza deve essere perchè sia formulata in modo così mordente e così provocante la libertà da far diventare la scuola l'inizio di un cammino educativo che procede oltre la scuola e che impegna in modo integrale la libertà di più piccoli e giovani. Il compiersi dell'educazione non può avvenire in nessun momento dell'età formativa prescindendo dal tempo libero, dall'uso intelligente del tempo libero, come si ricorda ne "Il rischio educativo".
C'è un ultimo fattore di vigilanza nella funzione del capo di istituto e riguarda la valutazione. Un preside, un direttore intelligente almeno dovrebbe premere perchè nel fenomeno della valutazione siano compresenti i due aspetti principali, cosi che la valutazione globale sia la compresenza, magari dolorosa, impegnativa di questi due aspetti: la valutazione in ordine all'apprendimento e la valutazione in ordine all’incremento della personalità nel suo insieme. Allora un ragazzo potrà valere da 4 per il riferimento estrinseco, oggettivo, meccanico alla capacità di apprendimento e essere da 10 per il cammino di maturazione personale che è stato suscitato attraverso l'interesse che ogni insegnamento ha saputo introdurre, pur non conosciuto adeguatamente nei suoi contenuti. In questo caso non dico si debba dare 10 o 8, ma non darei soltanto 4, perchè la valutazione è un atto globale, è un problema culturale e morale e non soltanto tecnico.
Queste vari aspetti della vigilanza che vi ho proposto allora cominciano con una pressione osmotica circa la verità della persona, una vigilanza sull'ordine delle posizioni ideali, degli interessi conoscitivi e del rispetto, con le specificazioni che ho fatto. La dove la pluralità delle posizioni è un dato di fatto di partenza, non si chiede che vengano artificiosamente eliminate le differenze, ma che si verifichino con le esigenze reali degli educandi. La formulazione non è più sfumata: è di altra natura. È più umana. Dovete quindi vigilare perchè nella varietà di posizioni quel che viene fuori sia un amore all'umanità, attraverso le posizioni che vengono formulate. Bisogna che la scuola si pieghi di fronte ai bisogni, altrimenti che scuola è?
Ora, l'altra vigilanza è che la proposta venga formulata con essenzialità, sia decisa come gesto, elementare nella comunicazione, concreta nelle realizzazione. Se questa vigilanza plurima, pluriforme viene realizzata io credo che ci sarà un grande verifica: che i più giovani sentiranno chi ha in mano la convivenza della scuola, chi dirige la scuola, come una cosa molto vicina alla figura del padre e della madre. Forse l'esperienza dell'autorità in una scuola come quella statale (evidentemente le differenze sono molte e molto precise), l’esperienza di un ragazzo di fronte al suo preside o direttore non dipenderà dal fatto che lui dice "io sono la proposta vivente che coinvolge la tua vita" (forse questo potrà esserlo più facilmente un insegnate), ma che invece può fare esperienza di una guida. Se uno fa quel che ho detto io, alla fine dei cinque anni è molto probabile che il bambino capisca che quello che non ha a casa lo trova forse a scuola (nel senso che non ha il padre perchè il padre è semplicemente il secondo convivente della madre e il suo vero padre invece è il secondo convivente di un'altra donna con altri bambini). Queste situazioni raggiungono tante persone che incontro, come mi è capitato di recente incontrando famiglie molto giovani che volevano dividersi.
Allora uno guardando il direttore percepisce che forse quell'esperienza di autorevolezza che non ha mai fatto è molto più dentro il dialogo con questo personaggio di quanto non fosse a casa. Mi sembra che la verifica sia nell'esercizio di un'autorevolezza reale. Reale vuol dire fatta sulle cose e nelle cose e non previamente, programmaticamente affermata. A parte il fatto che anche la dove è programmaticamente affermata, se non diventa un'esperienza sulle cose e nelle cose, rimane ideologica. Voglio dire che anche là dove è esplicita la posizione di partenza, e più esplicita l'affermazione dell'autorità, dell'autorevolezza, anche in quel caso deve essere conquistata sul campo. Non c'è nessuna autorità che non sia conquistata così. Ce ne è una sola che non è conquistata sul campo ed è quella del vescovo, che viene da un'istituzione superiore a lui. Però anche lui, dopo aver ricevuto questa istituzione in modo totalmente gratuito, se non se la conquista sul campo, innanzitutto non vive con gusto e non aiuterà la vita a crescere.
Rispetto alla vostra funzione io ho usato l'espressione “vigilanza” proprio perchè son convinto che non fa immediatamente corpo con le funzioni riconosciute dai mansionari del ministero. La vigilanza è qualcosa che viene prima ed eccede tutti i ruoli. È un momento questo nella vita della scuola e della società dove è molto più importante quello che è implicito, non detto (e uno può viverlo dalla mattina alla sera), che quello che viene rigorosamente messo a tema dai sindacati e dal ministero. Ecco, spero vi aiuti.
D/ Come aiutare i docenti a mantenere una sana inquietudine nel loro lavoro, a non appiattirsi sul loro lavoro ? E un’altra questione: anche nel documento “La scuola cattolica” si dice che la scuola può esser luogo di proposta di Chiesa per i genitori.
R/ Entrambe le domande hanno significato in un ambito di scuola libera. Credo che non in quanto preside, ma in quanto fratello cristiano ciascuno di voi abbia la responsabilità di aiutare la verità di chi gli è vicino. Essere cristiani sul serio vuol dire maturare ogni giorno di più l'attaccamento alla propria origine. In questo, niente ci potrà assolvere, neanche la potenza delle nostre realizzazioni. Cristo è sempre altro e sempre oltre, perciò è molto importante che in una convivenza scolastica e adulta nella scuola, soprattutto se si tratta di una realtà cristianamente qualificata, la fede non sia una questione formale o di discorso, ma sia una testimonianza. Non tutti possono avere lo stesso modo di realizzazione, ma sarebbe importante che si rendessero conto che devono continuare ad educarsi nella fede.
Inoltre una scuola cattolica seria ha una funzione temporanea di supplenza della Chiesa. Se si rileggesse il documento "La scuola cattolica oggi in Italia" del 1983 si vede che tra le righe vengono indicate alla scuola una serie di responsabiltà di carattere formativo che, leggendole tredici anni dopo uno dice che sono cose che la Chiesa ha sempre pensato legate alla parrocchia (gli esercizi, la stessa celebrazione dei sacramenti). Chi è il vero sacerdote ? Il vero sacerdote è quello che è abilitato ad annunciare la parola e a fare il sacramento, ma poi c'è un sacerdozio diffuso. C'è l'ambiente dei laici cristiani non i preti, che dilatano nel mondo di fronte alle persone la responsabilità di annuncio e nell'impatto con la scuola siano richiamati ad essere seri con la loro fede. O hanno un ambito dove questo può andare avanti o se non ce l'hanno non dovete dichiarare le distanze, dovete fare qualcosa per loro, almeno usando il principio della sussidiarietà. Facendo un pezzo di strada con voi, poi, sono capaci di realizzare un ambito di lavoro, di amicizia cristiana nella parrocchia; allora poi procederanno più speditamente. Insomma il punto drammatico del mondo adulto cattolico in Italia è che non ha ricevuto la formazione adeguata. Allora la formazione comincino a viverla da adulti. In un mondo come questo non si può in partenza pretendere di fare tutte le distinzioni cartesiane. La vita non vive di distinzioni cartesiane, ma di bisogno e di risposte reali.
D/ La questione della concordia mi suscita il problema dei valori, che adesso per esempio nella scuola statale in molte circolari ritorna di moda. Si accorgono che la crisi giovanile può essere riempita solo di valori. Ci sono circolari che hanno parlato addirittura di educare all'appartenenza alla scuola, in termini istituzionali. Allora mi domandavo: questa attenzione alla concordia, questa vigilanza che la diversità viva in una proposta concreta, positiva misurata rispetto ai ragazzi, su cosa si incontra ? Certe volte incontrarsi su dei valori produce solo discorsi astratti. Ma allora su cosa ci si può incontrare ?
R/ Ci si incontra sui valori. Soltanto che i valori emergono nell'impatto tra gli adulti e i ragazzi se il clima è di amore e di attenzione ai ragazzi. I valori non possono essere fissati previamente in modo astratto. Se io sono preoccupato che la mia proposta aiuti i giovani e se l'altro è preoccupato allo stesso modo dal suo punto di vista, abbiamo certamente un valore comune su cui lavorare pur nella diversità delle posizioni, perchè la libertà del giovane sia promossa. E’ promossa se io e lui siamo lì per realizzare la libertà dell'educando, che è un valore, e che si promuove aiutandoci nella diversità. Queste cose vengono fuori e si formalizzano in modo obiettivo se la preoccupazione è educativa; in modo del tutto astratto, dottrinario e formale se vengono prefissati nel cammino educativo in modo ideologico.
I valori ci sono, io non sono contro i valori. La patria è un valore, la nazione nell'aspetto per cui è l'ambito di memoria storica, che potrebbe aver avuto un'origine negativa, ma che ha 120 anni di storia, soprattutto se si mantiene aperta la possibilità di un continuo rinnovamento. Solo che la patria non puoi affermarla come valore a monte. La devi ritrovare all'interno di un cammino positivo, fatto da gente adulta che si aiuta a crescere libera. Diventando coscienti della nostra nazione aiutiamo anche l'altro. Perchè dobbiamo dire che non è un valore ? Devi riscoprirlo all'interno di un cammino e allora lo riscopri in modo concreto, adeguato alle esigenze, senza retorica e con un'esperienza. Ho parlato del valore che sembra più estraneo, ma io non credo affatto che sia estraneo da un itinerario educativo e da una convivenza sociale. Leggevo oggi la relazione di uno storico ad un convegno che è stato fatto all’Università Cattolica sul periodo della Repubblica di Salò. Raccontavano che appena scappati tutti (il Re, il capo del Governo, scappati a Pescara e poi a Brindisi) in un incontro con le autorità religiose locali, Badoglio ha fatto una illazione pesante sul fatto che i Vescovi fossero stati realmente italiani. Il Vescovo di Salerno, un vecchietto, si alzò - disse lo storico - e disse "Io son qui per contraddire il generale; io e i miei preti siamo rimasti e il generale Badoglio non l’abbiamo più visto”. E’ chiaro il diverso modo di parlare della patria. Il valore va riscoperto dentro un contesto storico, un itinerario educativo, perchè se lo affermi come ideologia poi con la stessa astrazione ideologica con cui l’hai affermato, lo distruggi, come hanno fatto col valore della patria. Perciò io non ho paura di dire che in una convivenza, soprattutto pluralistica, occorra lavorare sui valori comuni. Io dico che la strada dei valori comuni non è quella della astrazione ideologica, ma è un cammino concreto in una compagnia intelligente. La compagnia intelligente è un criterio: l'amore all'educazione, non l'amore alla propria ideologia.
A cura di Roberto Pellegattta - (testo non rivisto dal relatore)