Fonte: Avvenire martedì 25 gennaio 2022–
Articolo di Francesco Riccardi - La morte di Lorenzo Parelli – il diciottenne
ucciso venerdì scorso da una putrella d’acciaio nella fabbrica in cui
completava la sua formazione professionale – ha riacceso il dibattito
sull’alternanza tra scuola e lavoro e sul sistema duale di apprendimento. A
tratti anche in modo fuorviante e strumentale, confondendo piani, mezzi e fini.
Il punto centrale è che una persona, un ragazzo, in un ambiente di lavoro ha
perso la vita. E su questo dato – tanto doloroso e inaccettabile per la nostra
coscienza, quanto purtroppo reale e non isolato – occorre concentrare
prioritariamente l’attenzione. Per capire innanzitutto che cosa abbia
determinato l’incidente mortale. E ovviamente per verificare se vi siano delle
responsabilità , dolose o colpose.
Lo diranno le indagini, lo stabilirà il tribunale. Certo sarebbe ancora più
terribile e doloroso, questo lutto che colpisce la famiglia Parelli e tutti
noi, se emergesse che non di fatalità si è trattato ma di una cattiva gestione
dei macchinari o peggio, come accaduto per Luana D’Orazio, della rimozione di
presidi di sicurezza. Quel che va accertato prioritariamente, insomma, è ciò
che è accaduto nel capannone affinché non accada più. Soprattutto, va chiarito
in quali condizioni Lorenzo fosse lì, non il perché della sua presenza nella
fabbrica. Ciò che va indagato, infatti, è se sia stato informato dei rischi, se
per lui siano state adottate adeguate misure di sicurezza, se fosse formato e
seguito a dovere. Ma senza tagliar corto od obiettare ideologicamente che uno
studente in formazione professionale non debba metter piede in un ambiente di
lavoro.
Anzitutto, perché se l’incidente
fosse capitato tra un anno – quando presumibilmente e sperabilmente Lorenzo
fosse stato assunto in quella stessa impresa con un contratto a tempo
indeterminato – la tragedia sarebbe stata ugualmente straziante e
inaccettabile. E poi perché è un errore pensare che lo studio e l’esperienza
lavorativa debbano essere momenti rigidamente distinti, che non comunicano tra
loro, senza terreni comuni di conoscenza e incontro. Per i percorsi tecnici e
di formazione professionale certamente, ma a tutti i livelli e nei diversi
ambiti di istruzione.
Conoscere direttamente mestieri e professioni, 'toccare con mano' il lavoro, le
responsabilità che comporta, le relazioni che vi si sviluppano, partecipare
alla 'creazione' di un oggetto, di un progetto, di un servizio per altri
rappresentano esperienze fondamentali mentre si completa la propria istruzione
e si inizia a scegliere quale futuro costruire. Così come – dall’altro lato –
oggi non solo è auspicabile, ma va rivendicato come diritto, che i lavoratori
possano alternare alla loro attività periodi di formazione e di studio. Aula e
ufficio, banco e bancone di lavoro sono due mondi che sempre più dovranno
fondersi in coesistenza e alternanza piuttosto che separarsi fisicamente e
temporalmente. Perché profondamente complementari, tanto dal punto di vista
professionale quanto a livello umano.
Sbagliato, invece, pensarli semplicisticamente l’uno il paradiso della libertÃ
e l’altro l’inferno dello sfruttamento, in una visione meramente classista dei
rapporti sociali, dove esistono solo sfruttati e sfruttatori. Pensiero che, in
un’eterogenesi dei fini, finisce per non aiutare proprio coloro che hanno
maggiore bisogno dell’opera di tanti maestri in ambiti diversi, di un più ampio
e migliore accompagnamento nella vita. Che non si risolve in un astratto programma
culturale calato dall’alto, ma che ha necessità in particolare di un di più di
umana compagnia e di esperienze tangibili.
Senza nulla togliere alle
possibilità di aprire la propria mente, di imparare a sognare e nutrire le
speranze attraverso lo studio sui libri. Questo è il senso autentico dei
percorsi duali di istruzione e lavoro. Che andrebbero ampliati e ben
regolamentati, piuttosto che limitati o peggio proibiti, proprio mentre si fa
giustamente pulizia di tante forme di lavoro 'improprio'.
Certo, tutto questo va fatto
ricercando, anzi pretendendo la massima sicurezza e trasparenza dei rapporti,
tanto nelle scuole quanto nei luoghi di lavoro. Che si tratti di ancora
studenti o di già lavoratori cambia poco: la vera 'lotta di classe' (e 'in
classe', dove si possono formare donne e uomini consapevoli) su cui impegnarsi
consiste nel far sì che la logica del profitto e le ideologie non prevalgano
mai sulla dignità delle persone.